Ponte Morandi, Genova. 14 agosto 2018
Era una mattinata piovosa con traffico intenso, tipico delle città grandi e del periodo di Ferragosto.
Improvvisamente alle 11.55 il boato, il crollo.
Un ponte che cade per 45 metri e si porta con sé vite, speranza, sogni e ambizioni.
La pioggia che cade forte, la fuga di gas, i cloro fluoro carburi riversati nel fiume, i video, le immagini e le parole.
Il terrore psicologico, l’ansia, l’allerta, le evacuazioni, i soccorsi.
La speranza, in questo caso, gioca da padrona, diventa protagonista affinché qualcuno si salvi, qualcuno dia segnali di vita.
La speranza, il sentimento che avevano quelle tante persone che si sono visti finire la vita all’improvviso.
La speranza, quella sensazione forte che avevano tutte quelle persone che si accingevano a passare il ferragosto, delle buone vacanze, una buona gita turistica all’insegna della compagnia e del divertimento.
Il boato e poi subito di contrasto il silenzio di una tragedia che ha segnato il mio cuore e quello delle persone più sensibili a questi eventi che non dovrebbero mai succedere nel 2018.
I telegiornali, le immagini diffuse su ogni social e su internet che lasciano a noi esterni l’amaro in bocca e l’incredulità di quanto è successo.
Le polemiche, le mille parole e i messaggi di solidarietà racchiudono tutti i sentimenti mischiati: rabbia, paura, dolore, delusione, angoscia e stupore.
1967 tutti esultanti e in festa per il quel capolavoro ingegneristico di ponte.
2018 tutti in lutto, amareggiati e delusi per un pezzo di ponte spezzato e per le innumerevoli vite andate in frantumi insieme ad esso.
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