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On the road

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Via Vittore Tasca, un po’ defilata, come il patriota a cui è dedicata fotogallery

Personaggio per nulla banale del nostro Risorgimento ma per svariati motivi condannato ad un ruolo defilato: sia storico che, per così dire, viabilistico. Vediamo di restituirgli una minima parte del debito che Bergamo e l’Italia hanno verso di lui

Non sempre i gregari sono figure di secondo piano: talvolta la modestia, il riserbo o la coscienza di seguire uomini di straordinario valore fanno sì che personaggi di alte virtù si ritaglino soltanto ruoli secondari.

Questo destino, in certi casi, pare riverberarsi anche sulla memoria storica e, conseguentemente, sulle sorti odonomastiche degli individui. È il caso di Vittore Tasca, personaggio per nulla banale del nostro Risorgimento, ma condannato, in vita, dalla sua venerazione per Garibaldi e, post mortem, dalle decisioni della giunta comunale dell’epoca, ad un ruolo alquanto defilato, sia storico che, per così dire, viabilistico.

Perchè per una sorta di “reductio ad unum”, per molti bergamaschi il lungo rettilineo che rappresenta uno degli assi viari della città e che va dalla Rotonda dei Mille fino a via Pignolo, si chiama semplicemente, via Verdi: invece, il primo tratto di strada, ovvero quello che va dalla rotonda a viale Vittorio Emanuele, è dedicato proprio all’illustre concittadino Vittore Tasca, mazziniano, garibaldino e, infine, a lungo parlamentare del Regno.

Circondato, toponomasticamente, da vie che celebrano suoi commilitoni, come Cucchi, Crispi e lo stesso Eroe dei due mondi, Vittore Tasca è un eroico bergamasco davvero poco conosciuto, e la via a lui intitolata, pur essendo centralissima e molto trafficata, è stranamente poco nota.

Vediamo, perciò, di fare un po’ di giustizia. Tasca, brembatese, possidente, benestante, di ottima famiglia, appartenne a quella peculiare categoria di patrioti orobici disposti a mollare tutto quanto per seguire Garibaldi, e sempre pronti a fare proselitismo o ad arruolare volontari, su indicazione del Generale.

Nonostante le grandi differenze caratteriali, possiamo accostare Tasca a Nullo: entrambi imprenditori, entrambi, al tempo della spedizione dei Mille, non proprio di primo pelo (Tasca era del 1821 e Nullo del 1826), dopo il fallimento quarantottesco, non smisero di lavorare per la causa mazziniana e garibaldina e, nel 1860, partirono per la Sicilia, facendosi molto onore.

Certo, Nullo era molto più appariscente, nel suo eroismo di cavalleggero: tuttavia, entrambi incarnano quel volontarismo bergamasco d’antan, serio, affidabile, incrollabile.

Altro personaggio notissimo tra i patrioti bergamaschi, con cui Tasca collaborò nell’opera di proselitismo, fin dai moti del 1848, è Gabriele Camozzi: lui pure, per molte ragioni biografiche, può essere accostato a Tasca, pur godendo di una fama assai più larga e diffusa.

Dopo l’unità d’Italia, Vittore Tasca, come molti altri protagonisti dell’epopea risorgimentale, entrò in politica, pur mantenendo viva la venerazione per il suo mentore Garibaldi: allora si credeva che il lavoro parlamentare potesse rappresentare il seguito delle battaglie risorgimentali, come ben racconta Federico de Roberto ne “L’Imperio”.

Visti gli esiti attuali, la delusione del protagonista del romanzo derobertiano, ahimè, è del tutto giustificata. Sia come sia, Tasca venne eletto in quattro legislature, non demeritando neppure come deputato. Fu anche pittore di buona mano e amico di molti uomini illustri del secondo Ottocento. Insomma, fu tante cose e in tutte si comportò onorevolmente e con valore. Nonostante questo, la sua fama è modesta e la sua via poco conosciuta: speriamo, con queste poche note, di restituirgli una minima parte del debito che Bergamo e l’Italia hanno verso di lui.

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