• Abbonati
Lo sguardo di beppe

Salvini e Di Maio, quelle parallele che non convergono mai

Le due anime del governo proprio non si coordinano prima di talune decisioni ritenute rilevanti. Ognuno prende decisioni indipendentemente dal parere dell'altra parte, salvo poi dover rettificare i provvedimenti alla luce del buon senso

Osservando gli eventi di questi giorni, vien da pensare che il governo viaggi su una strada ferrata che, notoriamente, è costituita da due barre di ferro parallele. Il concetto allude chiaramente alle due anime del governo che proprio non si coordinano prima di talune decisioni ritenute rilevanti. Ognuno prende decisioni indipendentemente dal parere dell’altra parte, salvo poi dover rettificare i provvedimenti alla luce del buon senso che, per nostra fortuna e tutela, abita ancora su un colle di Roma, quello della Presidenza della Repubblica. Così, le tessere di questo mosaico tornano al loro posto riposizionate dalla mano che guida la legalità e le competenze dei differenti ministeri.

Solo la vecchia DC era riuscita a elaborare un concetto che già nell’enunciato dava evidenza della sua radicale contraddizione: le convergenze parallele. Le parallele, si sa, non si incontrano mai, ma l’espressione coniata da Eugenio Scalfari ed erroneamente attribuita ad Aldo Moro, stava ad indicare che due partiti, pur mantenendo la propria linea e la propria visione politica, su taluni punti rilevanti potevano far convergere il loro interesse e il loro accordo.

Se ben si osserva il comportamento dei due vicepresidenti del Consiglio, ognuno dei quali incarna un’anima politica radicalmente diversa dall’altra, non è difficile notare che ognuno di loro attua un percorso frutto di convinzioni personali o del proprio partito, senza raffronti, se non postumi, sulle decisioni derivanti dalle due diverse dottrine che si traducono poi in proposte di legge. Le operazioni di ricucitura tra affermazioni difficilmente conciliabili fanno chiaramente capire che queste parallele non si potranno incontrare nemmeno all’infinito. Troppe differenze ideologiche,
troppe decisioni subite da una parte e ignorate dall’altra al fine di poter continuare sulla via dell’ottenimento di risultati utili più all’attrazione di consensi popolari e a conferme da elargire al proprio parterre di sostenitori che utili a raddrizzare il timone di un’economia che fatica molto a seguire la rotta verso un lido sicuro. Il decreto lavoro ottiene il bollino di approvazione e la firma del presidente Mattarella ma, come si osserva da parte della quasi totalità degli esperti, rischia di essere sbilanciato a sfavore delle aziende.

I posti di lavoro non si creano penalizzando l’imprenditore e tanto meno per legge. Sembrerebbe elementare studiare e discutere con i rappresentanti dei settori coinvolti e interessati il modo migliore di tutelare entrambe le parti, ma se si fa pendere la bilancia da una sola parte, c’è il rischio che l’altra consideri i provvedimenti un tantino vessatori e che decida di rimanere nello stato
attuale o di traslocare dove ci siano condizioni più accettabili. Il risultato di questo sbilanciamento potrebbe penalizzare i lavoratori, in primis e, di certo, non incentiverà investitori stranieri ad impiantare attività sul suolo Italiano.

Pare, secondo il parere di esperti del calibro di Tito Boeri, presidente dell’Inps, che questo provvedimento omnibus porti come conseguenza la perdita di 80.000 posti lavoro nei prossimi 10 anni. Ma ecco che la stessa ispirazione, priva di verifiche reali sull’impatto, contraddistingue la proposta di chiudere gli esercizi commerciali di domenica e nei giorni festivi infrasettimanali. Un conto approssimativo dei danni provocati all’occupazione del settore, stima in un consistente numero i posti di lavoro che si potrebbero perdere se mai si attuasse un simile provvedimento.

Ma Luigi Di Maio, imperterrito, sembra non voler comprendere o non voler fare calcoli basati sul reale impatto delle pensate che gli vengono. Probabilmente, avendo avuto molto tempo libero a disposizione, il neo ministro ci vorrebbe tutti poveri ma con tanto tempo libero da dedicare alla famiglia e ad hobbies rilassanti, tra i quali, ahimè, temo diverrà molto di moda la questua per raccogliere qualche soldo che faccia sbarcare il lunario a tante persone.

Le buone intenzioni non bastano in politica. Tradurre in provvedimenti legislativi ideuzze ritenute buone da chi le propone, senza il confronto con l’impatto che possono avere sulla situazione concreta e reale di un settore che non ha ancora scontato gli effetti della pesante crisi in cui è incappata la nazione, significa amplificare problemi gravi già esistenti ai quali si fatica a porre rimedio per carenza di risorse. Certamente, in fase iniziale, può sembrare gratificante a molte persone vedere questo giovanotto occuparsi della loro sorte e tradurre in legge quello che egli pensa sia una protezione per i lavoratori e per gli addetti al settore commerciale.

Non ci vorrà molto a rendere evidenti gli impatti negativi di simili provvedimenti. Vedremo allora il recedere del consenso e la ricerca di nuovi idoli politici che raccoglieranno i cocci di questi vasi destinati a rompersi, e che, il cielo non voglia, ricalcheranno gli stessi atteggiamenti dei precedenti con promesse certamente allentanti ma altrettanto inapplicabili. È di questi giorni l’annuncio di un possibile ritocco all’insù dei pedaggi autostradali e la minaccia di non votare gli accordi sottoscritti dalla UE con il Canada, dopo l’incontro di Di Maio con gli agricoltori. In sintesi, non si può agire sulla spinta della captatio benevolentiae ogni volta che un settore fa presente le difficoltà in cui si trova. Ci vuole un minimo di conoscenza dell’ambito in cui si interviene e qualche riunione con esperti dello stesso. prima di prendere decisioni emotive, improntate all’aumento del consenso personale.

Matteo Salvini, dal canto suo, non fa altro che occuparsi di blocco dei porti e di immigrazione, lasciando perdere tutti gli altri punti del corposo programma sottoscritto con gli elettori. Se si pensasse a una flat tax meno miracolistica ma che iniziasse a diminuire il carico fiscale a tutte le categorie di persone e di aziende, se si semplificasse la burocrazia, macigno che blocca il progresso e la snellezza dei rapporti tra cittadini, aziende e stato, se veramente si avesse cura di una sanità razionalizzata per poterla rendere fruibile a tutti i cittadini, se si togliesse qualche accisa sui carburanti in un paese che ancora viaggia prevalentemente su gomma e se veramente ci fosse la volontà di perseguitare la corruzione, questi fatti, nel loro insieme, costituirebbero già un notevole passo in avanti e darebbero il segno di un cambiamento utile e proficuo per chi lo attua e per la gente sulla quale ricadrebbe come benefica pioggia.

Noi auspichiamo che, terminata l’ubriacatura di una campagna elettorale distruttiva che ancora continua, coloro ai quali è stato affidato il destino della nazione inizino a dar segni di competenza e di capacità nell’attuare quel bene che, stando alle prime mosse, sembra essere molto lontano. Venti di nuove problematiche di difficile composizione in un futuro non molto lontano iniziano a soffiare sulla nostra terra a causa di provvedimenti che la isolano dal contesto internazionale. Tra pensiero personale ed impatto dello stesso sulla vita della nazione va collocata la competenza, pena la costruzione di un disastro peggiore di quello che si è detto di voler risolvere.

Le parole pronunciate da Ignazio Visco all’assemblea dell’ABI devono farci riflettere: “In Italia e in Europa le riforme hanno perso slancio per i timori sui costi, spesso immediati, e i dubbi sui benefici che maturano lentamente e con tempi relativamente lunghi. In queste condizioni, davanti a una nuova crisi saremmo oggi molto più vulnerabili di quanto lo eravamo dieci anni fa”.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI