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La storia

“Riportate la meritocrazia in Italia, oppure ci perderete”

L'intervista a Zoe, ragazza neolaureata che, concluso il percorso di studi, ha dovuto subito affrontare le ingiustizie della vita e dei concorsi

Sommersa dai suoi libri Zoe ha dedicato tutta la sua vita allo studio, con l’unico scopo di raggiungere un sogno, forse troppo grande: potersi iscrivere a un dottorato e diventare un’insegnante universitaria.

In questo modo avrebbe potuto comunicare ai suoi studenti le bellezze della conoscenza, appassionarli con nuove nozioni e spingerli a domandarsi sempre il perché delle cose. Studio di giorno e di notte, non c’era week-end che tenesse. Pagine sparpagliate per la stanza, post-it attaccati ai muri e mille evidenziatori colorati. Un viaggio passato tra biblioteche e pullman, sempre con un nuovo manuale tra le mani. Finì l’università con un po’ d’anticipo riuscendo a ottenere il massimo punteggio; la strada che la divideva dal suo sogno, ormai, era davvero corta.

Zoe, però, non aveva fatto i conti con le salite della vita, e neanche con gli ostacoli che le si ergevano davanti agli occhi. Finita la cerimonia di laurea, di nuovo sotto con lo studio. “Stai attenta, guarda che ci vuole qualcosa in più per passare il dottorato” le dicevano, ma per lei erano solo parole senza senso che, con la tipica “stupidità” di una ragazza idealista decise di non ascoltare. Dedicò un anno a quei concorsi, dividendosi tra lavoro e studio. Fece l’application in un’università italiana, in una bella città che si affaccia sul mare. Si trattava di un dottorato cucito su misura, dedicato alle migrazioni, per lei che aveva fatto ricerca all’estero studiando i suoi connazionali residenti in un Paese straniero, per lei che insegnava italiano agli stranieri immigrati nella Penisola, per lei che aveva steso un progetto di ricerca sulle donne emigrate all’estero. Il concorso fu una presa in giro, sul bando non erano indicate le soglie dei punti attribuibili a ogni singola voce (tesi, ricerca, curriculum, laurea); proprio come accadde l’anno precedente in un’altra università del nord Italia.

Pubblicata la graduatoria, apparivano solo i nomi di coloro che erano stati ammessi allo scritto senza indicazione alcuna sugli sfortunati. A Zoe sembrava tutto un po’ strano e decise allora di approfondire: dopo aver chiesto informazioni le comunicarono che aveva totalizzato 13 punti ma che ne servivano 14 per essere automaticamente ammesso allo scritto. Una presa in giro che si ripeté in altri atenei: bandi poco chiari e personaggi sospetti.

“Questa è la disgrazia di non aver un cognome altisonante o un parente nell’università. Sono certa che ci siano molti dottorandi che hanno ottenuto il posto per merito ma mi sentivo in dovere di comunicare la mia esperienza e quella di molti altri. Mi è capitato persino di leggerlo in un libro di sociologia (Sociologia delle migrazioni, se non sbaglio), che la maggior parte dei concorsi universitari sono truccati. Penso che sia sbagliato generalizzare, sono certa che ci siano delle eccezioni ma ritengo anche che sia giusto che la gente sappia come funzionano molte cose” ci dice “Purtroppo non è solo l’universo universitario a essere affetto da corruzione e nepotismo; sono malattie che ormai si sono diffuse in tutt’Italia. Ho conosciuto tantissimi ragazzi più bravi, intelligenti e capaci di me ma, sorpresa delle sorprese, sono tutti incastrati qui, in questo Purgatorio senza luce. Riportate la meritocrazia nel nostro Paese”.

Non sorprendono le parole della nostra Zoe che ci dipinge un Paese malato ormai da tempo, dove vige la legge del più furbo e non del più bravo. Sì, perché questo potere malvagio ti trascina per i piedi togliendoti, per rassegnazione, ogni ambizione e rendendoti una persona tiepida, senza aspirazioni, incapace di percepire il freddo o il caldo. Viviamo in un Paese in cui i venticinquenni che hanno studiato o viaggiato oppure fatto volontariato o lavorato non vengono considerati a sufficienza e gli viene preclusa la strada per una vita lavorativa migliore solo perché non sono figli di una persona “importante”.

Non piangete poi se i vostri figli fanno le valige e se vanno all’estero in cerca di vere opportunità, lasciando il Paese che li ha allevati e guardando i genitori da uno schermo del computer.

Non piangete perché questo è il terribile destino di chi di noi non vuole piegarsi a queste ingiuste leggi del più prepotente.

“Forse ho la presunzione di parlare a nome di tutti i ragazzi italiani, forse sbaglio” continua Zoe “Noi non chiediamo stipendi da capogiro né tanto meno vogliamo diventare i dirigenti di una multinazionale così, tutto d’un colpo. Noi vogliamo solo essere valutati per quello che siamo: per la passione che ci mettiamo, per la volontà e per le nostre esperienze; non perché mio padre conosce Tizio che è amico di Caio. Riportate subito la meritocrazia nel nostro Paese, prima che sia troppo tardi”.

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