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La giuria online

“Scribo ergo sum 2018”, si parte: i primi racconti del concorso letterario studentesco

I racconti si sfideranno a colpi di likes sulla pagina Facebook di BGY e i tre racconti che riceveranno più likes nel post pubblicato su Facebook riceveranno il premio della giuria popolare online.

Il dio dell’imperatore

Uno sguardo. Mi bastò un singolo sguardo lanciato dalle sue iridi cerulee per capire che io ero diverso, ego eram alter, io non ero il solito imperatore di Roma. Io, Adriano, l’uomo più potente ed influente dell’Impero, mi ero perdutamente invaghito di un ragazzino conosciuto durante una delle mie visite nelle province del dominio romano. Tutto cominciò quando approdai a Claudiopoli per discutere con i funzionari locali della gestione di tale territorio. Se devo essere sincero, non ho ascoltato alcuna parola del rapporto fattomi da quegli uomini insulsi: erano solo chiacchiere futili, parole gettate al vento: a Roma non importa nulla delle province, a meno che non siano da placare. Mentre naufragavo nel dolce mar dei miei pensieri, improvvisamente apparve la divinità che poco dopo avrebbe stretto il mio cuore con la sua aurea mano in una presa mortale per il resto della mia vita: Antinoo, il giovane della Bitinia che riuscì a far crollare ai suoi piedi la colonna portante dell’Impero. Me lo ricordo ancora come se fosse ieri: la sua carnagione era pallida come il latte appena munto, i suoi occhi erano una limpida polla di acqua fresca e cristallina, le sue labbra erano petali di rosa intonsi e i suoi capelli erano più splendenti del miele dell’Imetto! In quel momento non esisteva nulla all’infuori di lui. Solo lui e la sua aura divina erano visibili ai miei occhi mortali. Con una scusa zittii il petulante funzionario e lo congedai per il resto del soggiorno per poi avvicinarmi, incurante degli sguardi degli astanti, verso il giovane intento a sorvegliare il suo gregge di capretti al pascolo. Appena mi vide le sue labbra si contrassero in un dolce sorriso, un sorriso mai visto sulla bocca di un umano! Quello doveva essere il sorriso di Apollo in persona! Furono sufficienti solo poche parole, qualche sguardo, parchi baci rubati all’ombra di un ampio faggio e diventammo subito necessari a vicenda: ci bastò poco per intendere che io non potevo vivere senza di lui e lui senza di me. Da quel giorno iniziarono lunghe giornate di viaggio per completare la sua istruzione e spendere del tempo insieme. Non c’era attimo che non trascorsi con lui, come se fossimo un tutt’uno. A differenza di mia moglie, lui non si stancava mai della mia presenza, mai si tediava a passare del tempo con me: perfino quando dovevo redigere inutili scartoffie per dirigere sciami vani di soldati, lui appoggiava il suo capo riccioluto sulle mie ginocchia, celava le magnifiche iridi con le palpebre e con la sua melodiosa voce canticchiava sottovoce qualche lirica imparata nel corso delle nostre fughe amorose. Più il tempo passava, più io rimanevo avvinto nella sua rete, più io mi perdevo nei suoi occhi e lui nei miei. Era troppo bello per essere umano: anche quando si imbronciava e faceva tremolare il labbro osservando le ormai lontane coste della sua patria natia, Antinoo era la creatura più incantevole che io avessi mai scorto.
Purtroppo però il detto “non è tutto oro quel che luccica” è veritiero: io, la pecora nera, il diverso, il fedifrago, ero additato da tutti come impuro, come vergogna per la propria stirpe e la propria casta. “Come può una persona del tuo rango lasciare la propria stupenda moglie per un volgare plebeo provinciale? Sei solo un lurido insetto!” mi apostrofava sempre la mia consorte, arpia orgogliosa e fin troppo superba. “Quel ragazzo dovrebbe morire e sparire per sempre! Come si permette di giocare all’amore con un suo superiore, lui essere inferiore?”. In quegli attimi di fiele chiudevo semplicemente gli occhi e pensavo a lui, a quanto fosse aggraziato, a quanto lo amavo. Lui avrebbe dato la vita per me e io avrei fatto lo stesso per lui, mentre la mia donna (se tale può essere definito quell’essere), in preda alla gelosia e ai complessi di inferiorità, non sapeva far altro che sputarmi addosso i miei difetti e le mie mancanze, non importava quanto piccole fossero. Coglieva ogni pretesto possibile per odiarmi di più e per umiliarmi dinnanzi agli altri. Non potevo neanche cercare conforto nei miei vecchi amici e nelle persone che solitamente affollavano la mia corte: tutti mi detestavano, tutti mi vedevano come la sciagura di Roma, tutti quanti! Così mi ritrovai presto ad essere solo, ma non mi dispiaceva affatto poiché essere solo significava essere con Antinoo, scintilla che illuminava la mia piccola anima smarrita. Lui mi amava e stimava così tanto che ogni sera, cingendo le sue fragili braccia attorno al mio busto, mi inondava il petto di salate lacrime per l’enorme senso di colpa che provava nei confronti della mia situazione. “Scusami, mio imperatore! Chiedo venia per il male che ricevi a causa mia!” balbettava tra le lacrime, inframezzando ad ogni parola un dolce bacio implorante. “L’unica cosa di cui ti devi scusare” rispondevo io ogni volta asciugando le gocce di rugiada che gli stillavano dagli occhi “è di aver rubato il mio cuore, ladro!”. Ormai però le consolazioni, i gesti d’amore e i viaggi non bastavano più a rallegrarlo. Di giorno in giorno diventava sempre più ombroso, perfino il cielo nei suoi occhi si era annuvolato e io non sapevo fare nulla per sollevarlo. Era avvinto dalla morbosa ossessione di dovermi liberare dalle angherie subite da mia moglie e dagli altri, di dovermi guarire dai mali che mi affliggevano, di dovermi rendere imperituro e immortale come gli dei e niente poteva distoglierlo da tale compulsiva mania. Egli era la sintesi perfetta tra Cassandra in preda ai deliri divini per opera del sacro Apollo e il malinconico Odisseo che sull’isola di Ogigia osserva malinconico il mare, smanioso di riprendere a viaggiare e a conoscere.
Da quel momento vi fu una climax discendente che portò direttamente alla sciagura che ha distrutto per sempre l’età dell’oro. La notte era stupenda, ma non quanto lui. Le stelle brillavano per noi e si riflettevano nei suoi occhi, adornandoli di una luminosità celestiale. Stavamo percorrendo su una nave il Nilo in uno dei nostri innumerevoli viaggi ed eravamo contenti, ma lui sembrava tetro, cupo, inanimato e per tale motivo ci coricammo prima del solito. Provavo un forte senso di nausea e di ansia per qualche ragione, come se il mio corpo volesse comunicarmi un infausto presagio, ma lo ignorai e strinsi a me il divino compagno per poi addormentarmi celermente. Verso la mezzanotte fui svegliato di soprassalto da una delle mie guardie, il letto accanto a me era vuoto, vuoto proprio come la mia testa mentre sentii le parole: “Antinoo è morto, è affogato mio signore!”. Corsi sul ponte della nave senza neanche vestirmi, mi pulsavano le tempie e non vedevo davanti a me se non tutte le immagini in rapida successione dei momenti vissuti insieme. Quando giunsi nel nefasto luogo, lo ritrovai lì, rigido e bagnato, disteso sul nero legno. Il suo pallido corpo nudo era coperto di fango e i suoi folti capelli avevano perduto quel colore del miele, imbrattati del limo fertile del fiume. Credo di essere svenuto a quella visione. Caddi sul corpo del mio amato e da quel giorno non fui più Adriano. La visione immaginaria di lui che affoga infesta da allora il mio sonno: si getta nell’acqua, si lascia abbracciare dai flutti e tende le candide braccia verso la mia nave, gridando con l’ultimo fiato rimastogli in gola il mio nome e l’amore provato per me. Tale intenso amore è stato ciò che ha spento per sempre quei dolci occhi che mi hanno fatto cadere: sono sicuro che lui volesse suicidarsi per donare la sua vita a me, come aveva appreso da certi sacrifici umani orientali. Ormai io non sono più lo stesso e sono vecchio, sono solcato da questa sciagura che mi ha devastato nelle profondità dell’animo. Sto per morire, ma lui è immortale, è un dio: ora il suo culto è diffuso in tutto l’Impero e i mortali lo venerano come una divinità. Ti ho reso eterno, mio imperatore, e ti giuro che pagherei tutto l’oro del mondo per ridarti il respiro che hai perso e averti qui accanto a me. Ti amo.

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