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La nuova legge

Chiesa e biotestamento: no all’accanimento, ma teme sia un passo verso l’eutanasia

L'eutanasia è illecita e lo sarà sempre, mentre evitare l'accanimento terapeutico non significa uccidere: questa da sempre è la posizione della Chiesa, spiega don Accornero.

La dichiarazione anticipata di trattamento (Dat), detta impropriamente “testamento biologico”, è legge, ma la Chiesa teme che sia il primo passo verso l’eutanasia.

Il 14 dicembre 2017 il Senato ha approvato definitivamente – 180 sì, 62 no, 10 astenuti – il disegno di legge 2801 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”. È l’espressione della volontà di una persona, lucida mentalmente, sulle terapie che intende o non intende accettare se dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte (consenso informato) per malattie o lesioni irreversibili o invalidanti, malattie che costringono a trattamenti permanenti con
macchine o sistemi artificiali.

L’eutanasia è illecita e lo sarà sempre, mentre evitare l’accanimento terapeutico non significa uccidere. “È moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde al criterio di “proporzionalità delle cure””. Su questa, da sempre posizione della Chiesa, i media hanno visto una mezza rivoluzione che non esiste.

Papa Francesco – nel messaggio del 16 novembre 2017 a mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, per l’incontro europeo in Vaticano della World Medical
Association – afferma: il no all’accanimento non significa eutanasia: “Più insidiosa è la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona”.

Bergoglio elogia i passi avanti: “La medicina ha sviluppato una sempre maggiore capacità terapeutica, che ha permesso di sconfiggere molte malattie, migliorare la salute, prolungare la vita”. Gli interventi sono “sempre più efficaci ma non sempre sono risolutivi: possono sostenere funzioni biologiche insufficienti ma questo non equivale a promuovere la salute”.

Pio XII al congresso di anestesiologia il 24 novembre 1957 disse: “Non c’è obbligo di impiegare sempre tutti i mezzi terapeutici potenzialmente disponibili: in casi ben determinati è lecito astenersene”. Francesco chiede “un supplemento di saggezza. L’eutanasia rimane sempre illecita perché interrompe la vita e procura la morte”.

Il ruolo primario del malato: “Ha titolo, in dialogo con i medici, di valutare i trattamenti che vengono proposti e giudicare nella situazione concreta, rendendone doverosa la rinuncia qualora tale proporzionalità fosse riconosciuta mancante. È una valutazione non facile nell’odierna attività medica”. La cultura dello scarto – dice ancora – porta “all’eutanasia nascosta degli anziani che vengono abbandonati”.

Per la Chiesa prioritario è non abbandonare mai il malato. Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, rammenta: “Non è facile stabilire il confine tra accanimento terapeutico ed eutanasia”. E sottolinea: occorre rifiutare terapie sproporzionate ma anche non rinunciare a gesti essenziali come nutrire, idratare, curare l’igiene. Bisogna riconoscere l’obiezione di coscienza del medico e delle strutture sanitarie cattoliche.

Il magistero della Chiesa dal 1957 al 2007

Pio XII, discorso «Risposte ad alcuni importanti quesiti sulla “rianimazione”», congresso di anestesiologia (24 novembre 1957);

Congregazione per la dottrina della fede, dichiarazione «De euthanasia. Iura et bona» (5 maggio 1980);

Pontificio Consiglio Cor unum, «Dans le cadre. Questioni etiche relative ai malati gravi e morenti» (27 giugno 1981);

Giovanni Paolo II, discorso al corso sulle preleucemie umane (15 novembre 1985);

Giovanni Paolo II, «Catechismo della Chiesa cattolica» (11 ottobre 1992);

Giovanni Paolo II, enciclica «Evangelium vitae» (25 marzo 1995);

Pontificio Consiglio per la pastorale degli operatori sanitari, «Carta degli operatori sanitari» (1° gennaio 1995);

Giovanni Paolo II, discorso al congresso sullo stato vegetativo (20 marzo 2004);

Congregazione per la dottrina della fede, «Risposte a quesiti della Conferenza episcopale statunitense circa l’alimentazione e l’idratazione artificiali» con «Nota di commento» (1° agosto 2007).

Il “Catechismo della Chiesa cattolica” (1992) afferma che la vita è il bene primario che merita di essere tutelato e promosso sempre. La nutrizione e idratazione artificiali, in linea di principio, sono moralmente obbligatori, ma non si può escludere che risultino inefficaci a nutrire e idratare, o di pesante aggravio psico-fisico per il paziente. Netta e costante la condanna morale dell’eutanasia, del suicidio assistito e dell’accanimento terapeutico. Afferma il Catechismo: “Coloro la cui vita è minorata o indebolita richiedono un rispetto particolare. Le persone ammalate o handicappate devono essere sostenute perché possano condurre un’esistenza per quanto possibile normale” (n. 2276).

“L’eutanasia consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte: è moralmente inaccettabile. Un’azione o un’omissione che provoca la morte, costituisce un’uccisione gravemente contraria alla dignità della persona e al rispetto del Dio vivente” (n. 2277). “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima: è la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole procurare la morte: si accetta di non poterla impedire” (n. 2278).

“Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d’ordinario sono dovute a una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L’uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate” (n. 2279).

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