• Abbonati

Musica

Il discomane

REM: 25 anni dopo riecco Automatic For The People

È tempo di riedizioni: oltre al gruppo di Michael Stipe, anche "Hotel California" degli Eagles. E, in tema, Brother Giober ci regala la top 20 dei dischi country, country rock e simili da portare su un’isola deserta

ARTISTA: REM
TITOLO: Automatic for the People
GIUDIZIO: ****

Non amo le riedizioni e le considero solo un mero strumento per spillare qualche euro in più ai fans. Il mio livello di fastidio sale ulteriormente quando la novità rispetto all’originale consiste nella pubblicazione di demo, outtakes originariamente escluse. Quando accade mi chiedo perché dovrei pagare degli “scarti” e la motivazione storica mi pare debole. Devo dire che anche l’iniziativa di arricchire le riedizioni con concerti dal vivo la trovo abbastanza inutile visto che basta andare su YouTube per trovare quanto necessità a soddisfare la propria voglia di ascoltare un artista in una dimensione più diretta.

Poi ci sono delle eccezioni, come questa.

Il disco in studio

Automatic for the people esce nel 1992, dopo che i REM hanno già pubblicato 7 dischi di cui gli ultimi due per una major. Tra questi almeno due possono essere considerati fondamentali per la storia del rock ovvero Murmur, il mio preferito di sempre e Out of Time l’opera della consacrazione. Quest’ultimo porta in grembo il brano che ha portato la notorietà mondiale al gruppo di Athens, ossia Losing My religion, una sorta di cantilena basata essenzialmente sul suono ottimista di un mandolino.

Il disco trascinato dal singolo vende una marea di copie, parecchi milioni, ed assicura a Stipe e soci innumerevoli premi garantendogli l’immortalità, almeno quella artistica. Come spesso avviene, all’indomani della gloria e della fama subentra un periodo di rifiuto di tutto questo e allora capita che alcuni artisti tornino alle radici o pubblichino dischi dolorosi (vedi il Boss di Darkness on the Edge of Town). Così accadde ai REM i quali, all’indomani del successo di Out of Time, si rinchiusero in uno studio e, abbandonata l’idea di fare un disco rock, si dedicarono a composizioni che dessero l’idea del disagio, dell’inadeguatezza, perfettamente ed ulteriormente descritta dal viso di Michael Stipe sempre più, in questo periodo, consumato dal tormento.

L’idea fu quindi quella di pubblicare un disco di ballate, fatto di suoni intimi, pressoché acustici, di ritmi lenti, che parlasse di sentimenti, quelli più profondi; un disco difficilmente replicabile dal vivo. In realtà Automatic for the people è “il vero Out of Time” dei REM è il vero disco “fuori dal tempo”.

rem

Soprattutto Automatic for the People è un disco denso di atmosfere cariche di pathos, di canzoni riuscite, a partire da Drive, lenta e solenne, con un ritornello ipnotico che ti entra in testa. Atmosfere che si replicano nella successiva, bellissima, Try not to Brethe, semplice e diretta come solo le grandi canzoni sanno essere e che raggiungono l’apice delle emozioni nella famosissima Everybody Hurts, un vero e proprio capolavoro poetico, pregno di emozione e carico di soul.

E se si riesce a sopravvivere a Evereybody Hurts, allora si potrà anche godere della cristallina melodia di Man of the Moon, uno dei brani più popolari del gruppo, composto appositamente per il bel film omonimo diretto da Milos Forman sulla vita del comico Andy Kaufman interpretato magnificamente da Jim Carrey e poi si potrà affondare nuovamente tra le pieghe melodiche di Sweetness Follow, dove su un tappeto di tastiere e chitarre acustiche la voce di Stipe risulta ancor più melanconica che altrove.

C’è anche qualche scivolone in Automatic for the People: The Sidewinder Sleeps Tonite oltre che richiamare neppur troppo velatamente il titolo di un vecchio brano della tradizione popolare, è una cantilena che vuol fare il pari con la canzone della “gente felice che ride” e New Orleans Instrumental No. 1 è del tutto inutile. Ma sono episodi perché le reminiscenze rock di Ignoreland consentono a Stipe di esibirsi al meglio delle sue possibilità espressive e Star Me Kitten con i suoi suoni “simil esotici” è perfetta per raggiungere la serenità e la pace interiore.

Il disco live

Il secondo cd è la testimonianza dell’unico concerto tenuto tra il 1992 e il 1992, ad Athens, città di origine del gruppo.

Con Automatic for the People i REM avevano fatto un disco che difficilmente poteva essere replicato in pubblico. Le canzoni che lo componevano non avevano un grande impatto sui pubblici numerosi ed erano invece più adatte a spazi contenuti; tuttavia il concerto in esame aveva quale finalità la raccolta di fondi per GreenPeace e da qui la scelta di Stipe e compagni di fare un’eccezione a una regola che si erano al tempo dati, ovvero di non andare in tour per far conoscere il lavoro.

La registrazione non è del tutto inedita: alcuni brani erano già apparsi sulle b-sides di alcuni singoli pubblicati all’indomani dell’uscita di Monster e, tuttavia, la decisione della casa discografica di pubblicare l’intero concerto è da apprezzare perché la registrazione è di uno dei migliori “live” del gruppo. Molte le canzoni riproposte da Automatic for the People e, in più , oltre alle immancabili Losing My religion e Radio Free Europe anche una bella versione di FunTime degli Stooges di Iggy Pop quasi a voler anticipare la svolta del successivo Monster

Il terzo disco

Sul terzo disco costituito da B-sides, outtakes demo et similia varie sorvolo per quanto già sostenuto agli inizi, salvo segnalarvi una chicca ossia Mike’s pop song, un brano veramente piacevole cantato nell’occasione da Mills che ricorda molto da vicino i tempi di Murmur.

In definitiva una bella occasione per scoprire, se vi è sfuggito, un grande disco e ascoltare la band dal vivo in uno dei suoi migliori concerti.

***********************************************

ARTISTA: The Eagles
TITOLO: Hotel California
GIUDIZIO: ***

Leggermente più bassa è invece la valutazione per la riedizione di Hotel California degli Eagles, disco che immagino tutti conosciate. Anche in questo caso trattasi di una celebrazione, poiché nel 2017 ricorrono i 40 anni dalla sua originaria pubblicazione. Hotel California è stato il disco di maggior successo degli Eagles, ma forse non il loro migliore (personalmente preferisco Desperado).

Ai tempi rappresentò un vero e proprio blockbuster, innalzando il gruppo al rango di star planetaria. Vendette moltissimo in tutto il mondo e anche in Italia ebbe un buon successo, aprendo al country rock un pubblico allora dedito alla disco music o, nella migliore delle ipotesi, alla produzione dei cantautori nostrani.

Facile coglierne le ragioni: canzoni ben scritte, orecchiabili, arrangiate cantate e registrate benissimo, una musica che influenzata dal country aveva trovato nel disco il connubio perfetto con certo pop patinato.

Per questo motivo brani come Hotel California, New Kid in Town, Victim of Love, raccoglievano il plauso dei padri e dei figli, dei fans di Neil Young e di quelli di Barbra Streisand, accomunando ogni genere di pubblico, in una centrifuga dove il principale elemento di amalgama era una certa levigatezza dei suoni che piaceva un po’ a tutti.

Come per i REM anche questa riedizione è arricchita da un cd live mentre mancano outtakes, demo etc.

Va detto che dal vivo gli Eagles non sono mai stati entusiasmanti. Ho assistito a loro concerti due volte, la prima a Verona (concerto noiosissimo), la seconda a Lucca (molto meglio). Il problema è che dal vivo gli aquilotti suonano esattamente come in studio. Vi è in ogni concerto una spasmodica necessità di risultare perfetti come in sala di registrazione, togliendo all’esibizione live molti motivi di interesse di interesse e di novità.

eagles hotel california

Il concerto cui il cd si riferisce si è tenuto a Los Angeles nel 1976 e a sorpresa si tratta di una bella performance live che ha un unico neo ovvero quello di essere troppo corto, solo 11 pezzi per poco più di 40 minuti di di musica, con esclusioni dalla scaletta che per i fans fanno male, come Desperado o Doolin’ Dalton. Le altre ci sono tutte: da Hotel California a One of These Nights, a Take it Easy anche se a fare la differenza, a sorpresa, sono invece i brani minori come l’energica Good Day in Hell o Already Gone, nei quali prevale la vena rock.

Non male, forse si poteva fare di più vista l’importanza del disco da celebrare.

Venti dischi country, country rock e simili da portare su un’isola deserta

Crosby Stills Nash & Young: Four Way Street
Loggins & Messina: On Stage
Neil Young: After the Gold Rush
Poco: Crazy Love – The Ultimate live Experience
David Crosby: If I Could Only Remember My Name
Buffalo Springfield: Buffalo Springfield
The Byrds: Sweetheart of the Rodeo
Bob Dylan: Blood on the Tracks
Nitty Gritty Dirt Band: Will the circle Be Unbroken
Graham Parsons: Graham Parsons
Lucinda Williams: Sweet old World
The Flying Burrito Brothers: The Gilded Palace of sun
The Band: Music from Big Ping
Eagles: Desperado
Johnny Cash: At Folsom Prison
Kris Kristofferson: The Silver Tongued Devil and I
American Outlaws: the Highwaymen live
Willie Nelson: Spirit
Grant Lee Buffalo: Fuzzy
Wilco: Being there
The Jayhawks: Holliwood Town Hall

Legenda Giudizio:

* era meglio risparmiare i soldi e andare al cinema
** se non ho proprio altro da ascoltare…
*** in fin dei conti, poteva essere peggio
**** da tempo non sentivo niente del genere
***** aiuto! Non mi esce più dalla testa

 

 

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI