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Musica

Jazz mania

JazzMi, sul palco con Gaetano Liguori il papà 90enne che dà spettacolo alla batteria fotogallery

Della bella maratona milanese di JAZZMI da poco conclusa si potrebbe scrivere molto visto il valore dei musicisti in scena. Qui però vorrei parlare di un concerto che mi ha stregato, un concerto forse considerato minore dalla critica, ma a mio parere pieno di fascino e di umanità.

Siamo al Teatro dell’Arte in Triennale e Gaetano Liguori, con lo storico Idea Trio, sta raccontando in note l’avventura di una vita musicale farcita da tanta passione politica e sociale. Conosco e stimo Gaetano, che intervistai pubblicamente un paio di anni fa quando lo chiamai a Bergamo per presentare la bella autobiografia “Confesso che ho suonato”.

Io aspetto impaziente che dalle quinte si materializzi Pasquale, che si presenta a metà concerto con incedere lento ma sicuro. È per lui che sono qui. Pasquale è il papà di Gaetano, classe 1927, novantenne batterista di gran caratura. Lì per penso che la sua sia un’apparizione sporadica, un fuoco d’artificio per aggiungere allo spettacolo una piega sentimentale. In realtà è come se cominciasse un secondo concerto con papà Pasquale che prende lo scettro e non esita a occupare in modo totale la scena. Una grinta e una resistenza inimmaginabile a quell’età, al punto da mettere a dura prova gli altri musicisti. C’è anche Gaetano certo, sulla sponda opposta della pedana, che duella col padre senza neppure inviargli uno sguardo d’intesa. Ogni volta che lo spettacolo pare terminato, riparte di nuovo con il vecchio Pasquale che decolla agitando cassa, rullanti, timpani e piatti come un ventenne, da solo o affiancato da Pintori in un trascinante duello di bacchette e pedali. Un’emozione pura vedere i due Liguori suonare alcuni brani del disco “Gaetano e Lino Liguori”, così distanti eppure così vicini.

La loro è una bella storia. Racconta di una famiglia napoletana segnata dalla batteria e immigrata a Milano per amore della batteria. La classica famiglia del sud – padre, madre, nonna materna e due figli – che trova casa al Corvetto, nel pieno della campagna resa fertile dai frati certosini di Chiaravalle. Obiettivo del trasferimento era la ricerca di opportunità di lavoro per il padre Pasquale, musicista, batterista d’avanguardia già affermato a Napoli, dove però non si trovava ombra di orchestra che gli garantisse un buon ingaggio. La mamma di Pasquale Liguori, nonna di Gaetano, di cognome faceva Di Giacomo. La famiglia Di Giacomo annoverava tra gli altri personaggi illustri come un monsignore teologo e un grande poeta, Salvatore Di Giacomo. Ma anche due straordinari batteristi, Peppino e Gegè, quest’ultimo noto ai molti perché membro del trio di Renato Carosone che fece la storia della musica leggera in Italia degli anni cinquanta. Con il matrimonio Pasquale entrò a pieno titolo tra i batteristi di questa pittoresca famiglia. Cominciò presto a battere piatti e grancassa. Dopo una breve periodo nell’Arma dei Carabinieri alle prese col brigantaggio siciliano, Pasquale decise di vivere solo di batteria, nonostante le perplessità dei congiunti. Riprese a suonare ed ebbe ingaggi con le migliori orchestre dell’epoca, tra le quali quella di Marino Marini. Era consapevole che “con il jazz non si vive”, un mantra che ha ripetuto sino all’ossessione a Gaetano, ma studiò la musica afro-americana con tale profitto che venne chiamato da Arrigo Polillo al primo festival di San Remo nel 1956.

Il periodo era favorevole, il boom economico creava molte opportunità, soprattutto a Milano. Ovunque ci fosse uno spazio si suonava, sale da ballo, caffè, balere all’aperto, night. In galleria del Corso, dove c’era la più ampia concentrazione di editori musicali, si formavano orchestre per singole serate oppure per crociere fino ai Caraibi che potevano durare anche mesi. Pasquale si dava molto da fare e divenne uno dei più affermati batteristi della scena discografica milanese.

Il primo ingaggio a Milano per Pasquale fu con l’orchestra Pizzigoni, in cui militava un giovane cantante pugliese, Nicola Arigliano. Suonavano all’Embassy in galleria Puccini in corso Buenos Aires. Fu in quel periodo che Pasquale invitò il figlio, ancora ragazzo, a suonare la sua batteria. La prova funzionò al punto che Gaetano decise che da grande avrebbe suonato anche lui la batteria, per poi abbandonarla poco dopo per rispondere al fascino irresistibile del pianoforte, amore che sigillò iscrivendosi nel 63 al conservatorio Giuseppe Verdi di Milano.

Papà Pasquale è sempre pieno di consigli per il figlio che cerca un ruolo originale nel difficile mondo del jazz, e sovente le sue opinioni sono graffianti e contrarie al pensiero e alle aspirazioni di Gaetano. È Gaetano ad affermare nella sua biografia “devo molto a mio padre, soprattutto perché mi ha trasmesso una professionalità e un’onestà intellettuale ai limiti dell’autolesionismo” ma anche a chiarire “un padre musicista e un figlio musicista è facile che la pensino in modo diverso. Mio padre, così importante nella mia formazione, è sempre stato il mio critico più severo. Un pessimista a oltranza. Non c’è stato momento in cui non abbia criticato le mie scelte musicali e non solo quelle.. Io invece ero sempre ottimista e un po’ spaccone. Il suo modo di ragionare sempre rigoroso e la sua perenne insoddisfazione mi hanno formato – è vero – ma mi sono costate molta fatica. Non ho nulla da recriminare, ma un padre ipercritico e pessimista è stato un fardello piuttosto gravoso da portare”.

Vederli suonare insieme, così vicini e così lontani, è stato un bagno di puro piacere. Sono certo di aver notato che papà Pasquale mette ancora soggezione a Gaetano, che a tratti sembra adombrarsi. Il concerto è stato seducente, bella musica ben eseguita, ma mi hanno incantato soprattutto la freschezza e l’abilità di questo giovane novantenne che per novanta minuti di percussioni ininterrotte non ha mai smesso di divertirsi.

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