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La lettera

Abbiamo molto da dire, perché non ci ascoltate?

Pubblichiamo la lettera di Martina Gritti, classe 1998, che vuole condividere con BGY un pensiero sulla sua vita personale

Avete mai sentito pronunciare la frase “non mi sa né di carne, né di pesce”?

Ero alle elementari la prima volta che sentì questa frase e ricordo che da subito mi incuriosì e mi suscitò un incostante insorgere di domande: che significava ma soprattutto perché si diceva proprio così?

Ricordo che una delle domande più ingenue e bizzarre che comparse nella mia mente da subito fu perché qualcuno avrebbe dovuto avere per forza il sapore della carne o del pesce, quando avrebbe potuto avere un sapore qualunque, di qualsiasi altra pietanza esistente al mondo. Ricordo che ero molto contrariata nel dover omologare mentalmente un numero così vario e differente di persone in quelle sole due misere categorie, pensando che ognuno in realtà sia molto più della categoria nella quale viene catalogato.

Crescendo, ho capito che in realtà quella frase era solo un modo di dire, un detto per esprimere quando una persona, una situazione o un oggetto non suscita in te alcuna reazione o sentimento e perciò che ci sia o meno, per te non fa la differenza.
Alcuni anni dopo, la stessa frase la risentì in un contesto differente: “Ormai non sei più una bambina, ma non sei nemmeno un’adulta, non sei né carne, né pesce”.

Sembrerà strano ma da allora quel detto iniziò mano a mano ad acquisire maggior significato. Effettivamente rappresentava a pieno come mi sentivo, come mi sento tutt’ora, abbastanza grande per avere una mia opinione ma non abbastanza perché essa abbia una valenza, abbastanza grande per prendersi le proprie responsabilità, ma non abbastanza per poter essere totalmente responsabile di sé stessi.

Mi sentivo esattamente al di fuori di qualsiasi categoria, a metà strada, ma in ogni caso troppo lontana per poter rientrare in una delle due.

Mi sentivo un puntino minuscolo all’interno di un sistema infinitamente grande.

Sentivo di essere cresciuta, di avere qualcosa da dire e un’opinione che volevo esprimere ma allo stesso tempo capivo giorno per giorno che il mondo degli adulti non era disposto a rallentare il suo ritmo frenetico per ascoltarmi e cercare di comprendere il mio punto di vista e perciò continuavo a rimanere senza una categoria precisa di appartenenza.

Ho capito che la maggior parte degli adulti parla di noi adolescenti, piuttosto che parlare con noi e, perciò, rimaniamo incastrati in intricati luoghi comuni e credenze senza fondamento, senza che i cosiddetti “grandi” conoscano realmente il nostro punto di vista.

Mi è capitato spesso di non essere ascoltata e seppur ora abbia raggiunto la maggior età, continuo a sentirmi esclusa da quel mondo di grandi che reputavo tanto lontano ma che in verità tende a schiacciarti costantemente. Tutt’ora non mi sento né carne, né pesce, tutt’ora non mi sento parte di nessuna categoria ma, sinceramente, lo ritengo un punto di forza, tutt’ora penso che siamo tutti troppo differenti per appartenere a solamente due modi di pensare, di essere.

Nel caso specifico degli adolescenti, vorrei parlare a nome di tutti quando dico “io ho qualcosa da dire”, perciò, seppur sia vero che siamo in una zona di transizione, a metà strada della nostra crescita, cari “grandi”, cercate di ascoltare un po’ di più e di parlare un po’ di meno.

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