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La riflessione

“Lo sport si ribella a Trump, e anche io”

"Sono un diciannovenne che crede che lo sport sia unione ed è incaccetabile che un presidente sfrutti lo sport per dividere un popolo"

Nonostante la già difficile situazione in cui si trova – gli ultimi sondaggi evidenziano una crescita del malumore del popolo americano nei confronti del Tycoon – Donald Trump sta riuscendo nell’ardua impresa di far ulteriormente crescere questo malcontento, attirando su di sé anche l’antipatia di buona parte dello sport degli USA. Il rapporto fra il presidente ed il football americano, infatti, sta toccando in questi giorni i minimi storici.

Il motivo? Il fatto che, in segno di protesta, un numero crescente di giocatori della NFL ha deciso di non cantare più l’inno prima della partita, preferendo piuttosto inginocchiarsi, mostrando così la propria insofferenza nei confronti di una Casa Bianca in cui oramai non si riconoscono più. La prima volta che un giocatore decise di inginocchiarsi al posto che cantare a squarciagola le note di “The Star-Spangled Banner” accade lo scorso anno, e fu opera di Colin Kaepernick, quarterback dei San Francisco 49ers che lo fece al fine di denunciare la violenza della polizia nei confronti degli afroamericani.
Da allora la campagna takeaknee – inginocchiamoci – si è diffusa in tutti gli Stati Uniti, raccogliendo molti sostenitori, tra cui anche figure importanti come la star NBA LeBron James (riferendosi a Trump, ha dichiarato “Andare alla Casa Bianca era un onore prima che arrivasse lei”), come la rockstar Stevie Wonder (durante un concerto si è inginocchiato sul palco contro le discriminazioni razziali), come il giocatore Bruce Maxwell (il primo giocatore di baseball ad inginocchiarsi durante l’inno in segno di solidarietà nei confronti dei suoi colleghi) e come il colosso dell’abbigliamento sportivo Under Armour.
Secca la risposta del presidente Trump, che oltre a chiedere di boicottare le partite e di licenziare i giocatori in questione, afferma “Non cantare l’inno è una totale mancanza di rispetto verso la nostra storia e dei nostri valori”, aggiungendo poi “Cacciamo questi figli di p…a fuori dal campo”.

Sinceramente, sono davvero indignato. Indignato perché, visto ciò che sta succedendo con il leader nordcoreano Kim Jong-un, credo che l’ultima delle preoccupazioni che il presidente degli Stati Uniti (non proprio un paese poco influente) debba avere sia quella di far nascere e, ancor peggio, di continuare ad alimentare un’inutile polemica, usando per lo più un linguaggio ed un modo di fare non congrui agli abiti che indossa.
Il fatto stesso che Trump usasse Twitter, un social network in cui al massimo si possono scrivere 140 caratteri, per pubblicare a volte commenti disarmanti – sia per la maniera in cui erano scritti che per il contenuto – e a volte addirittura vere e proprie offese nei confronti dei suoi avversari politici, offre un notevole spunto di riflessione riguardo al tipo di persona che Donald Trump era prima di diventare presidenti USA; figurarsi ora che è stato insignito di un titolo così prestigioso, forse troppo per ciò che sta dimostrando.

Indignato perché, come ha giustamente affermato l’attuale commissario della NFL Roger Goodell, “Il messaggio che arriva dal football americano è un messaggio di unità, e non di divisione del Paese”. Indignato in quanto reputo che le “minacce” di boicottaggio e di licenziamento fatte dal presidente Trump siano una mancanza di rispetto nei confronti dei giocatori e, soprattutto, dei pensieri che i giocatori hanno, indipendentemente dal loro colore della pelle, dal loro orientamento sessuale o dal loro schieramento politico.
Indignato perché, dal punto di vista di un diciannovenne che crede che lo sport sia unione, è inaccettabile che un presidente sfrutti, appunto, lo sport, per dividere un popolo, quello americano, che allo sport è fortemente legato, soprattutto se consideriamo quali sport sono coinvolti: football, basket e baseball, i tre sport più praticati negli USA.

Trump in un’intervista ha dichiarato: “Patrioti coraggiosi hanno combattuto e sono morti per la nostra grande bandiera, dobbiamo onorarli e rispettarli”, invitando i giocatori a non dimenticare la storia degli Stati Uniti. Ma forse non sono loro che se la sono dimenticata…

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