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Musica

Il discomane

I dischi dell’estate dal sapore un po’ retro: svetta Malvis Staples con ospiti doc

Brother Giober ci accompagna in un lungo viaggio all'interno del disco che propone il concerto per i 75 anni di Mavis Staples: con lei Gregg Allman e Bonnie Raitt ma anche Jeff Tweedy e tanti altri.

DISCO DEL MESE

ARTISTA: Mavis Staples
TITOLO: I’ll Take You There – an all star concert celebration
GIUDIZIO: ****

Mavis Staples è un’artista che per molti anni della sua carriera si è dedicata, insieme al suo gruppo, gli Staples Singers, al gospel. Senonché Mavis ha sempre avuto una voce straordinaria e un carisma tale da attirare l’attenzione di numerosi artisti desiderosi di affidargli la fortuna di loro canzoni. È così che negli anni ’60 condivide parte del suo percorso artistico con Bob Dylan, negli anni ’70 con Curtis Mayfield mentre a metà degli anni ’80 il genietto di Minneapolis decide di produrre un paio di lavori di non grande successo (e neppure di tutto questo contenuto artistico, francamente).

Bisognerà aspettare gli anni ’90 e l’album We’ll never turn back, prodotto magnificamente da Ry Cooder, perché il mondo si accorga di Mavis Staples e delle sue capacità artistiche e la cantante esca da una dimensione di nicchia. Da quel momento Mavis inanella una serie di prove discografiche di altissimo livello e intraprende un percorso artistico fatto di collaborazioni con la “nouvelle vague” della musica rock: sono quindi arrivati due dischi prodotti da Jeff Tweedy e M Ward, autori del calibro di Nick Cave e Justin Vernon e, in ultimo, l’incontro con i Talking Heads e gli Arcade Fire. A tutti gli effetti può dirsi che Mavis Staples ha unito artisti di epoche diverse, di generi diversi e così facendo ha riunito circa 50 anni di musica intorno alla sua voce meravigliosa.

Nel 2014 Mavis ha compiuto 75 anni e per festeggiarli chi le vuole bene ha deciso di raccogliere una serie di artisti di grande livello a cui è stato chiesto, per una sera, di riproporre alcuni dei brani più celebri da lei interpretati. Ne è nata una serata evento la cui registrazione viene lasciata ai posteri con questo disco doppio, per molti motivi, degno della massima attenzione.

Per iniziare intorno alla protagonista si sono uniti artisti di epoche e stili diversi ma accomunati da un talento cristallino e mai banale: vecchi campioni del blues come Taj Mahal e Keb’Mo’, del rock come il compianto Gregg Allman e Bonnie Raitt , del soul come Aaron Neville, del country come Joan Osborne o Emmylou Harris. Ma non fanno parte del cast solo musicisti “datati” ma anche alcuni protagonisti degli ultimi anni come Jeff Tweedy, Ryan Bingham, Win Butler e Regine Chassagne (Arcade Fire), che offrono tutti il proprio contributo per la riuscita di una sera che può essere definita magica e durante la quale a volte in duetto, altre volte lasciando il palco all’ospite di volta in volta chiamato, vengono riproposti tutti i brani più noti di una carriera fantastica,.

Si respira, durante tutta la durata del concerto, aria di anni ’60 e ’70, di celebrazione: è presente quella voglia di suonare di allora, quella partecipazione del pubblico, quella voglia di condividere un evento di cui tutti percepiscono l’importanza. I meno giovani fra quelli che leggono non potranno non trovare atmosfere e, in genere, elementi comuni con The Last Waltz, il film concerto diretto da Martin Scorsese che celebrò l’addio alle scene di The Band.

Nessuno degli artisti sovrasta l’altro, ognuno dà tutto quello che può, desideroso di omaggiare una star della canzone americana. Le versioni spaziano dal blues, al soul, al rock e e persino al country, coprendo tutto o quasi lo spettro dei generi della musica moderna dando un’idea perfetta della versatilità dell’artista

Molti i brani noti, di quelli che hanno caratterizzato il songbook della canzone americana, e accanto ad essi anche registrazioni di canzoni meno conosciute ma non per questo minori.

La partenza è bruciante: You’re Driving Me (to the arms of a stranger), interpretata da Joan Osborne lascia attoniti grazie ad un basso pulsante e ad una sezione dei fiati in grado di garantire un suono pieno e compatto, mentre è puro rock blues, con qualche venatura di gospel, Heavy Makes You Happy , cantata e suonata (anche) da Keb’ Mo’con una sezione fiati ancora protagonista e un coro da brividi. Il ricordo dei grandi concerti di un tempo e ben presente e quello dell’incredibile tour di Joe Cocker immortalato su Mad Dogs end English Men in particolare.

Woke Up This Morning (with My Mind on Jesus) vede in qualità di guest la presenza di Buddy Miller ed è un gospel, quindi un genere che dalle nostre parti ha poco appeal, salvo che sotto le feste di Natale. L’intermezzo chitarristico imbastardisce un poco il suono, rendendolo più commestibile anche a chi non è così abituato a queste sonorità. Inutile dire che il gioco delle voci è fantastico.

Ancora a sfondo religioso è la successiva Waiting for my Child to Come Home dove protagonista è Patti Griffin. Bella e toccante, in particolare, l’interpretazione.

Il primo e vero colpo al cuore arriva però con For Celestial Shore una malinconica ballata interpretata in maniera magistrale da Emmylou Harris che regala una versione da brividi. Il resto lo fa la bellissima melodia.

È quindi la volta dell’adrenalinica Freedom Highway e questa volta ad interpretatre il brano è chiamato un altro campione del passato, Michael McDonald, grande interprete, buono un po’ per tutte le stagioni e noto al pubblico italiano per essere stato per un certo tempo corista negli Steely Dan e la voce dei Doobie Brothers. La versione è bella e potente con i cori e i fiati in primo piano.

Tocca quindi ad un classico, People Get Ready, interpretato nel passato da moltissimi artisti e noto originariamente per la versione del 1965 degli Impressions gruppo di cui leader era Curtis
Mayfield. Numerose poi sono state le versioni di altri artisti tra cui memorabile quella di Rod Stewart; lo stesso Springsteen ama riprenderla nelle sue performance live. Qui il protagonista è Glen Hansard (vincitore nel passato, come autore, di un premio Oscar e leader di The Frames) ma poi a farla da protagonista è la voce femminile sullo sfondo (forse la stessa Mavis) e l’arrangiamento, sontuoso con hammond, chitarra elettrica e sezione fiati protagonisti.

Ma oramai il concerto è nel suo pieno ed arrivano i classici senza tempo: il primo è Respect Yourself che vede sul palco Mavis Staples insieme a Aaron Neville di cui non ho mai amato il timbro vocale, ma che in questa occasione funziona egregiamente. Ancora una volta memorabili gli arrangiamenti dei fiati.

Uno dei miei eroi recenti è certo Ryam Bingham, artista discontinuo ma capace di di prove memorabili (se non l’avete procuratevi il suo disco Mescalito): If You’re Ready (Come Go With Me) è una hit degli Staples Singers degli anni ’70, un reggae leggero leggero e divertente, di buon impatto.

A salire sul palco sono quindi i Widespread Panic, una jam band di Athens, che interpreta, bene, Hope in a Hopeless World un brano in pieno stile anni ‘70, che ricorda un po’ Santana , un po’ i Blood Sweet and Tears e tutto “quel mondo lì”. La versione è particolarmente riuscita ed accattivante, forse un po’ troppo nostalgica anche se i “solo” in mezzo al brano sono proprio belli e valgono l’ascolto dell’intero brano.

Grandma’s Hands è un altro “pezzone” senza tempo; scritta da Bill Withers, rappresenta uno dei suoi più grandi successi. La versione presente sul disco vede Grace Potter, nota vocalist statunitense, cimentarsi al meglio delle proprie possibilità; l’arrangiamento è rarefatto, basato tutto sul dialogo tra voce e tastiere, molto suggestivo.

Eyes on the Prize è una vecchia folk song, già nel repertorio di Pete Seeger e di Bruce Springsteen: la versione è ben riuscita, basata sul suono dei tamburi, della chitarra e dell’hammond. Ancora una volta l’atmosfera è quella di fine anni ’60, della canzone di protesta con un “quid novi” rappresentato dal solo di tromba, molto jazzy.

Uno dei miei beniamini degli ultimi mesi è Taj Mahal (il suo ultimo disco con Keb’Mo’ gia recensito su queste pagine è eccellente): qui è alle prese con Wade in the Water un vecchio spiritual già nel repertorio, tra gli altri, anche di Eva Cassidy. La versione è arrembante, grintosa, piena. A fare l’ulteriore differenza ci pensa la sua voce roca.

È la volta di un altro classico: Have a Little Faith noto brano degli anni passati, già proposto da Joe Cocker e da John Hiatt tra quelli che ricordo, è affidata nell’occasione al compianto Gregg Allman che offre una versione pimpante, briosa, accattivante.

Turn me Around vede Mavis Staples confrontarsi con un altro mostro sacro della canzone americana: Bonnie Raitt. Il brano è di effetto e tende ad evidenziare le doti delle due interpreti anche se non è fra i più riusciti della raccolta. A mio parere un po’ troppo fracassone.

Per un classico come Will the Circle be Unbroken la chiamata sul palco è imponente: Mavis Staples, Bonnie Raitt, Aaron Neville, Gregg Allman, Taj Mahal si uniscono e offrono una versione intensa, molto soul e distante probabilmente anni luce da tutto quanto va di moda oggi. Ad ogni modo i brividi che si provano sono di quelli veri.

Vi è spazio per artisti anche più vicini alle nuove generazioni: per Slippery People, a Mavis Staples si uniscono, Win Butler e Regine Chassagne membri dagli Arcade Fire. Non che la cover del brano delle “Teste parlanti” sia brutta, semplicemente c’entra come i cavoli a merenda e sembra proprio che in questo caso Mavis si sia fatta prendere la man dai suoi ospiti.

Molto meglio, You’re not Alone, anche title track di un disco prodotto qualche anno fa per la Staples da Jeff Tweedy (Wilco): si tratta di un brano senza tempo, che “sa” tanto di The Band, di The Last Waltz, di CSN&Y e proprio per queste ragioni per me meraviglioso.

Questa volta sul palco c’è solo lei: Mavis Staples che si esibisce nella celeberrima I’ll Take You there portata al successo dalla band di famiglia all’inizio degli anni ’70. Versione nella quale la Staples gigionegga forse troppo, ma grinta e entusiasmo non le mancano e quindi la resa finale è buona.

Il brano finale è The Weight, celeberrimo successo di The Band e l’occasione è buona per riunire tutti gli ospiti che l’hanno omaggiata nella serata. È un brano che ho sentito centinaia di volte eppure in grado di emozionarmi sempre. La versione non è male anche se l’originale della band di accopagnamento di mr Zimmerman resta insuperabile.

Dimenticavo: il tutto è diretto dal grande Don Was, un tempo leader dei Was (not Was) e poi produttore di dischi per Bob Dylan, Rolling Stones, Joe Cocker, Bonnie Raitt solo per citare il nome di alcuni artisti e la registrazione sonora è perfetta.

Un tuffo in pieni anni ’70.

Se ti è piaciuto ascolta anche:
The Band : The Last Waltz
Joe Cocker : Mad Dogs and English Men
AA.VV: No Nukes

Legenda Giudizio:

* era meglio risparmiare i soldi ed andare al cinema;
** se non ho proprio altro da ascoltare…
*** in fin dei conti, poteva essere peggio
**** da tempo non sentivo niente del genere
***** aiuto! Non mi esce piùdalla testa

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little steven

Un disco per l’estate:

Dornik – God Knows

Isely Brothers & Santana – Gipsy Woman

October London – One shot To Love

Sonny Landreth – The U.S.S. Zydecoldsmobile

Garland Jeffreys – Spanish Heart

Diana Krall – Like Someone in Love

Little Steven – Standing in the Line of Fire

Mavis Staples – You’re Driving me

Paul Simon – Graceland

Andy J. Forrest – Bartender Friend

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carol king james taylor

La riscoperta

Carole King & James Taylor – Live at the Troubador – **** così, una sera, in auto, mi è venuta la voglia di andarmi a riascoltare questo album di circa una decina di anni fa. Adoro Carole King da una vita, un po’ meno James Taylor penalizzato alle mie orecchie da una voce troppo sottile per essere benvoluta; ma è indubbio che la sua scrittura sia di livello. Qui i due che nella vita sono stati anche compagni, ripropongono tutti le loro hit del passato, in una chiave prevalentemente acustica che dà risalto ai suoni cristallini e alle doti interpretative.

Per la durata del concerto il tempo si ferma; si ritorna agli anni ’70, agli ideali di quel tempo, all’ingenuità del pensiero di allora. Però quello che si ascolta è ancor oggi attuale e continua ad affascinare. Per momenti di intimità e di nostalgia.

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