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La causa

Assegno di maternità: basta il permesso di soggiorno, Cgil vince contro i comuni di Gorle e Azzano

Basta il permesso di soggiorno per l’assegno di maternità. La CGIL vince la causa contro i comuni di Gorle e Azzano San Paolo

All’assegno di maternità, prestazione sociale erogata dall’Inps a sostegno delle madri disoccupate, hanno diritto anche le donne straniere in possesso di regolare permesso di soggiorno, anche se a tempo limitato.

Lo ha stabilito il Tribunale del Lavoro di Bergamo che ha accolto il ricorso presentato da due cittadine, assistite dagli avvocati Alberto Guariso e Marta Lavanna, su mandato dell’Ufficio Migranti della CGIL di Bergamo, contro i Comuni di Gorle e Azzano San Paolo.
I due Comuni bergamaschi avevano rifiutato di concedere l’assegno perché le due donne non avevano un permesso di soggiorno a tempo illimitato (la vecchia “carta di soggiorno”).

“La legge italiana che prevede che alcune prestazioni assistenziali spettino solo ai lungoresidenti – spiega la responsabile dell’Ufficio Migranti della CGIL di Bergamo, Annalisa Colombo – è stata superata da una direttiva europea del 2011 che estende il diritto alle misure di sicurezza sociale a tutti gli stranieri in possesso di un permesso che consenta di lavorare. Molti Comuni della nostra provincia l’hanno già recepita, a partire dal capoluogo. Altri sono più rigidi, e rifiutano le prestazioni. Questa ordinanza ha dato loro torto. Ricordo che stiamo parlando di circa 1.600 euro destinate a madri in difficoltà, che il Comune deve solo anticipare per poi essere rimborsato dall’Inps. Il contributo è di modesta entità, ma serve a favorire l’integrazione: stiamo comunque parlando di famiglie con bambini”.

Scrive il giudice del Lavoro Monica Bertoncini in una delle due ordinanze che accolgono totalmente il ricorso: “L’articolo 12 della direttiva 2011/98/UE […] è una norma a cui va attribuita efficacia diretta in quanto il precetto è sufficientemente preciso, incondizionato, in quanto lo Stato non deve svolgere alcuna attività per applicarlo. Diversamente, si realizzerebbe una forma di discriminazione oggettiva. […] La ricorrente rientra quindi fra i soggetti nei cui confronti è applicabile la direttiva 2011/98/UE, che come già detto non prevede possibilità di deroghe alla rigorosa parità di trattamento con i cittadini dello stato membro in cui soggiornano per quanto concerne, fra l’altro, i settori della sicurezza sociale […]. Nel caso di specie la ricorrente è regolarmente soggiornante, è titolare di permesso di soggiorno che le consente lo svolgimento di attività lavorativa, tanto subordinata quanto autonoma, e dimostra altresì un preciso radicamento familiare sul territorio italiano. Può, quindi, ritenersi che la ricorrente sia in possesso di tutti i requisiti per beneficiare della provvidenza richiesta”.

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