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Il punto di valori

La dottrina militare russa

La medaglia coniata dallo Stato ungherese, dopo che le Forze del Patto di Varsavia, ormai evanescente, dovettero ritornare alle loro basi e, in particolare, in Russia, entro il 31 Marzo 1991, era molto significativa: sul recto il tragitto di ritorno dei militari russi e del Patto, disegnato con l’ironia di un fumetto, sul verso il sedere di un generale russo-sovietico su cui si staglia la forma di una grossa pedata.

Era questa la situazione, alla fine di un sistema politico, militare ed economico che inglobava l’area parasovietica in una rete molto pericolosa sul piano della sicurezza ed economicamente instabile.

Se le ali tecnocratiche sovietiche teorizzavano una contabilità a fattori, secondo il modello di Leont’jev, ma con prezzi reali, le classi politiche imposero invece una alleanza economica e militare basata sul semplice coordinamento dei piani economici nazionali.
Non poteva durare, non durò.

La Cina, notizia utile, usa il modello per la contabilità pubblica di Leont’jev, ancora oggi.

Ecco quindi la prima crisi strutturale dell’Est, che nasce negli anni ’60 e che poi si trascina fino allo spegnimento del Patto di Varsavia e alla crisi della stessa URSS.
Non era solo una economia “programmata”, era un sistema produttivo diretto a fini strategici e politici che non potevano essere più credibilmente mantenuti.
Fu, soprattutto, la caduta dei prezzi del petrolio con la nuova produzione proveniente dal Mare del Nord, che la Thatcher non mancò di utilizzare politicamente, e la collaterale caduta del prezzo del barile mediorientale, l’insieme dei fattori che bloccò le residue voglie di rivalsa dell’URSS e dei suoi alleati.
Il canto del cigno strategico fu invece la “battaglia degli euromissili” in Europa.

Fu peraltro un dirigente milanese del PCI, di casa a Mosca, che informò direttamente Helmut Schmidt della linea esplicitamente offensiva del dispiegamento degli SS-20 sovietici nelle aree del Patto di Varsavia. Missili molto più potenti e precisi dei Pershing II, ma costosi e pesantissimi. Ci volle il genio strategico di Bettino Craxi, oltre che dell’ammiraglio Fulvio Martini, indimenticabile amico, poi di Francesco Cossiga, per bloccare una serie di operazioni, che oggi chiameremmo di Information Operations, destinate a delegittimare e a bloccare il dispiegamento parallelo dei Cruise della NATO.

E oggi? Vladimir Putin afferma che deve proteggere lo “spazio esterno” della Federazione Russa, altrimenti essa può implodere.
Ama, il presidente russo, ripetere che la Federazione Russa ha solo tre basi fuori dai suoi confini, ma in effetti sono circa 30, mentre gli Usa hanno una rete militare di circa 800 basi.
In parte, la polemica dei russi è vera.

La NATO ha confini ad est che sono già degli obiettivi, ma Mosca ha sacche semipopolate o in cui sono presenti popolazioni infide, che se vengono penetrate possono arrivare fino ai punti nevralgici della difesa russa.

Quindi, oggi la Federazione Russa si pensa come una nuova grande potenza, dopo la sua fase sovietica, per il tramite di uno strumento militare potente, aggiornato, di rilievo mondiale e attento a sigillare sia la madrepatria che le aree di primario interesse strategico per Mosca, lo abbiamo visto in Siria e lo vedremo presto in Libia e nel resto dell’Africa.
Se, durante la guerra fredda, le Forze Armate sovietiche dovevano passare la Soglia di Gorizia, dall’Ungheria, e la Soglia tedesca dal Baltico alla Turingia fino a Passau, per poi dilagare nell’Europa occidentale; oggi le FF.AA. russe devono proiettare la potenza di Mosca nelle aree dell’Europa dell’Est, proteggere il proprio Fianco Sud tra Georgia e Ucraina, securizzare, è questo un dato di pochi giorni fa, anche le aree al confine con la Cina.

Un progetto globale che è ben diverso da quello del vecchio confronto bilaterale con gli Usa e i suoi alleati, come accadeva fino al 1989. Non è nemmeno da escludere che la “caduta del Muro” sia appunto una fase del confronto strategico, non la sua cessazione.

In un vecchio testo di un importante defezionista del KGB, Anatoly Golytsin, New Lies for Old, “bugie nuove al posto delle vecchie”, pubblicato in Occidente nel 1990, si afferma infatti che tutte le grandi operazioni di “apertura” del regime sovietico sarebbero state gestite dalla stessa nomenklatura del Partito, per prendere tempo e coinvolgere gli occidentali nella risoluzione della crisi economica strutturale dell’Urss. Crisi, questa, che dura fin dall’inizio del potere bolscevico e che fece scrivere ad uno dei più lucidi intellettuali dissidenti russi, Andrei Amalrik, un testo anch’esso rivelatore, “Sopravviverà l’Unione Sovietica fino al 1984?”.

Ecco, oggi le FF.AA. russe sono uno dei meccanismi con i quali la stessa Federazione sopravvive, non sono un costo proibitivo che blocca lo sviluppo economico “socialista”. Ma vediamo meglio ora come sono costituite le Forze Armate di Mosca e quale è la loro dottrina di impiego attuale. Le matrici di rischio valutate dal Cremlino sono ormai note: la politica Usa di diffusione globale della democrazia viene vista da Mosca come una proiezione di potenza mascherata dai buoni sentimenti; e questo vale sia per le “rivoluzioni colorate” dai Balcani fino a Georgia e Ucraina che per le “primavere arabe” nelle repubbliche islamiche ex-Urss.

Poi, la Federazione Russa teme l’islam jihadista nel Caucaso settentrionale e nelle tante aree musulmane nei nove fusi orari che oggi formano il Paese; per non parlare del pericolo rappresentato dal radicalismo islamista in Afghanistan che può facilmente diffondersi anche in territorio russo. Fu proprio Brzezinsky, lo ricordiamo, a sancire che l’Asia Centrale non doveva mai cadere sotto l’egemonia russa o sovietica e che, per mandar via il “grande statana” sovietico in Afghanistan si doveva richiamare il “piccolo satana” jihadista, con i pessimi risultati che abbiamo visto.
In un ambito di Strategia Globale non valgono però le regole dell’alchimia, dove invece è possibile “curare il simile con il simile”.

Per quanto riguarda la Cina, la Strategia Nazionale Russa in vigore oggi teorizza che non vi siano mai nemici o oriente, ma alcuni gruppi, nel Cremlino, pensano che occorra evitare il pericolo di una Russia come junior partner economico della Cina; e non sono nemmeno sicuri che Pechino non possa mai scontrarsi, per la sua sicurezza, nelle aree centrali asiatiche o sul confine marittimo con il Giappone e Taiwan. Per quel che concerne le spese per la Difesa, Mosca ha raggiunto nel 2016 il suo livello massimo dalla fine dell’Urss.
Nel 2015, poi, la spesa per la difesa ha raggiunto la cifra di 52 miliardi di Usd, che è pari al 4% del PIL.
Cifra ragionevole per una potenza globale e nucleare.

Il progetto principale a cui oggi si dedicano gli Stati Maggiori è quello del programma di armamento strategico, per il riarmo dal 2011 fino al 2020, per un valore previsto di 19,4 trilioni di rubli (285 miliardi di Usd) con un 31% del fondo speso nei primi 5 anni, 2011-2015 e il 70% da utilizzare dal 2016 al 2020.
Nel 2017, peraltro, la spesa per la Difesa è diminuita del 30% rispetto agli anni precedenti, per evitare che il budget militare blocchi una crescita economica ancora strettamente dipendente dal ciclo del petrolio che è, come è noto, ormai a prezzi al barile stabilmente bassi.

Estrarre il petrolio in Arabia Saudita costa poco, e quindi Riyadh non teme la caduta dei prezzi petroliferi, ma pompare idrocarburi in Asia Centrale o addirittura in Siberia ha un costo elevatissimo. Sempre sul piano dottrinale, i testi ufficiali russi ci dicono che le guerre del futuro saranno caratterizzate da un “periodo distruttivo” rapido e iniziale, vecchio retaggio delle dottrine sovietiche, che sarà decisivo rispetto al prosieguo delle operazioni belliche.
Velocità, accuratezza, quantità delle armi non nucleari sono determinanti esattamente come nel caso delle armi nucleari, e anche questo è un retaggio della tradizione dottrinale dell’Urss.
Quindi, Mosca teorizza il diritto ad una risposta nucleare quando vi sia anche un attacco convenzionale tale da mettere in pericolo l’esistenza dello Stato. Quindi attacchi preventivi e in profondità sono sempre possibili, con o senza armamento nucleare che, per i russi, può essere utilizzato anche per de-escalare il conflitto.

Altro centro teorico della dottrina nazionale russa è quello “deterrenza non nucleare”.

Ovvero, si tratta di calcolare quale sia il minimo quantum di operazioni tali da rendere inaccettabile, per il nemico, naturalmente, il danno inflitto ad un avversario.

La “deterrenza strategica”, per i russi è oggi tutto quell’insieme di operazioni militari, diplomatiche, economiche, spirituali, culturali, tecnologiche tali da stabilizzare e bloccare le azioni avversarie e mostrare la risolutezza dissuasiva delle élites di Mosca. Una visione d’insieme che è ben diversa dalle dottrine attuali della NATO, che vengono elaborare in modo molto settoriale e con scarsa attenzione al rilievo culturale e politico delle operazioni previste.
Per quel che poi riguarda la rete del C4ISR (Command, Control, Communication, Computer, Intelligence, Surveillance and Reconnaissance) la Russia ha una struttura fortemente centralizzata, direttamente nelle mani di Vladimir Putin, ma anche fortemente dispersa negli immensi spazi della Federazione, è ovviamente ridondante, sicura e affidabile, progettata per lo scenario peggiore e il massimo di pericolo per la sicurezza della rete.

Rispetto alla tradizione sovietica, oggi la dottrina militare russa è molto meno legata alle forze di terra e alla loro dislocazione, mentre si amplia lo spazio dedicato alle forze strategiche della Marina e dell’Aviazione.
La triade nucleare russa è oggi formata da tre gruppi di sistemi missilistici balistici intercontinentali, basati sui vecchi, ma sempre funzionanti, SS-18 e SS-19.
Lo SS-25 è invece un sistema di ICBM che si sposta sulle strade o le ferrovie, e in futuro è prevista una espansione e un rinnovamento anche di queste reti.
Due nuove classi di sottomarini, almeno in numero di dieci, sono state immesse nella pianificazione, entrambe a energia nucleare e dotate di missili balistici intercontinentali.
Per l’Aria, la Forza Aerospaziale Russa dispone di molti bombardieri, che compongono il Comando a Lungo Raggio, mentre si stanno introducendo, anche in questo settore della Triade nucleare, nuovi modelli di aereo.

Sempre sul piano teorico, tutte le forze della Triade sono programmate per essere utilizzate in tre scenari principali: lo strike preventivo, il contro-strike prima della realizzazione della salva nucleare nemica, la salva atomica di rappresaglia. Per i numeri di queste forze, ricordiamo che il nuovo START siglato da Russia e Usa l’8 Aprile 2010 prevede un massimo di 1500 testate per ogni piattaforma e per i due Paesi, un massimo di 800 lanciatori di ICBM e SLBM e sempre un massimo, per entrambi i Paesi, di 700 sistemi strategici in funzione. Attualmente, le ultime statistiche russe sullo START ci riferiscono che sono disponibili, sul territorio della Federazione, 1765 testate su 523 vettori missilistici, marini, terrestri ed aerei. Ecco, tutto questo, insieme alle strategie indirette e a quelle cyber e informative, è lo sforzo di Mosca per diventare una potenza globale in un mondo multipolare e post-americano. In Europa, invece, le Forze Armate stanno passando il loro momento più basso, con pochi uomini, pochi e vecchi mezzi, una distanza siderale dalle rispettive classi politiche, un livello dottrinale che è spesso mutuato, con qualche semplificazione, solo da quello in uso tra le FF.AA. Usa.

Che hanno diversi interessi, differenti strategie, obiettivi sempre più dissimili da quelli dei sistemi militari europei. Finisce, con le nuove dottrine della difesa russa, la vecchia tradizione militare neopositivista, come quella di quei manuali di campo Usa in cui si descriveva la quantità di pallottole necessarie per abbattere un determinato obiettivo.

Inizia l’epoca della guerra culturale, tecnologica, informativa, politica, quel tipo di conflitto che veniva indicato dai defezionisti dei Servizi sovietici che, negli Usa, si meravigliavano moltissimo che nessuno studiasse Sun Tzu, i Trentasei Stratagemmi, o gli aspetti culturali e psicologici di quella che oggi chiamiamo, con una terminologia di origine russa, la “guerra ibrida”.
Chi riformerà, dopo questa cupa fase di smobilitazione economica, sociale, culturale, le nostre nazioni europee dovrà porre subito mano al riarmo materiale, spirituale e dottrinale delle nostre FF.AA.

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