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Confindustria bergamo

Galizzi ottimista a fine mandato: chi ha resistito alla crisi è più forte che nel 2008

Il presidente uscente di Confindustria Bergamo traccia il bilancio dei suoi quattro anni di mandato, dagli ultimi segnali di crisi fino alla ripresa, e guarda al futuro, con la nuova sede dell'associazione e l'incarico in Sacbo.

Quattro anni duri e dispendiosi durante i quali, dopo essersi trovato tra le mani l’eredità pesante di un’associazione ferita profondamente dalla crisi economica, è riuscito a traghettare Confindustria Bergamo fino all’attesa onda della ripresa, da cavalcare, oggi sì, con decisione.

Si conclude ufficialmente venerdì 9 giugno, con l’assemblea riservata agli associati che dovranno votare programma e squadra di presidenza proposta da Stefano Scaglia, il mandato di Ercole Galizzi da presidente dell’associazione degli industriali bergamaschi, carica che ricopre dal 2013.

Presidente Galizzi, quattro anni vissuti a cavallo tra la fine della crisi e l’inizio della ripresa: come sono stati?

Diciamo che sono stato più fortunato di Carlo Mazzoleni, il mio predecessore, che ha guidato Confindustria in pienissima crisi. La mia è stata una presidenza di cambiamento, abbiamo speso tante energie per portare avanti delle progettualità a lungo termine, una su tutte quella relativa alla nuova sede. Un progetto particolarmente significativo visto che Confindustria si trova in via Camozzi da oltre 30 anni e nella sua storia non ne ha cambiate molte. Ci siamo orientati verso cambiamento e innovazione, in un’ottica di prospettiva.

Un percorso tortuoso, durante il quale qualche sacrificio è stato fatto.

Pur non vivendo in pieno la crisi ho pagato il conto di alcune situazioni, sfociate in fallimenti. La ripresa ha avuto un prezzo: chi ha resistito, però, oggi sta molto meglio di come stava nel 2008, prima della crisi, e questo ce lo dicono i dati della base associativa. Sta meglio per fatturato, produttività e valore aggiunto: sono realtà che vivono una situazione favorevole, anche se non possiamo dire nemmeno per loro che sia stato un percorso facile.

Un fattore di successo, sicuramente, è stata la capacità di guardare oltre al campanilismo e al proprio orticello, in un’ottica di rete e di sinergie.

Il territorio bergamasco ha messo in mostra un’alta capacità competitiva grazie alle filiere, come quella metalmeccanica, e ai distretti. Grandi, medie e piccole imprese sono state in grado di lavorare in sinergia tra loro e anche il terziario avanzato e di servizi si è sviluppato in modo tale da essere di supporto alle imprese, mettendole nelle condizioni di concentrarsi sul “core” della competitività. È un po’ la sfida del futuro: la crescita deve essere un’ossessione, non esiste decrescita felice. Esiste invece una crescita sostenibile e armonica ma non tutti ci riescono da soli: per questo fare rete e stare in sinergia è una discriminante per il successo.

Alla luce di ciò e dei cambiamenti in atto negli ultimi anni come vede il mondo industriale bergamasco?

Direi che è riuscito a digerire la crisi ed è proiettato per il futuro: vedo un 2016 dove abbiamo raggiunto il picco massimo dell’export con 14,5 miliardi di euro, dimostrazione che le nostre aziende sanno stare sul mercato internazionale in modo competitivo, e segni più per quanto riguarda la produzione negli ultimi sei trimestri. Abbiamo i livelli di disoccupazione più bassi della Lombardia, ordini in aumento dall’estero e dall’Italia e il monte ore di cassa integrazione in forte contrazione.

Non la preoccupa il fatto che le banche si stiano allontanando dal territorio? Dagli associati non arrivano lamentele?

Se un’azienda ha un merito di credito va al di là della presenza o meno di una banca territoriale. La Bergamasca esprime un’altissima qualità e onorabilità delle imrpese da questo punto di vista, posto che comunque la vicinanza e la territorialità è un fattore importante. Anche da parte degli associati non ho sentito lamentele in questo senso.

A livello di rappresentanza sindacati e associazioni di categoria stanno vivendo un momento difficile.

Il tema della rappresentanza è stato un po’ messo in discussione, anche perché Renzi in un primo momento aveva pensato a una sorta di disintermediazione. Dall’altro lato anche la crisi ha contribuito a far capire alle imprese quale fosse il ritorno di un investimento fatto in Confindustria. Abbiamo dato una nuova interpretazione in termini positivi del rapporto tra associato e associazione, un cambiamento per rispondere alle richieste degli associati e la sede entra in questa ottica. Avevamo bisogno di guardare avanti e il Kilometro Rosso era la migliore collocazione per proiettarsi in avanti, per rappresentare meglio le imprese dal punto di vista dell’identità e dall’altra parte cogliere l’occasione per rimodellare il modello organizzativo e rispondere in modo più puntuale alle richieste delle imprese, con la presunzione in qualche caso di anticiparle.

Ora che il suo mandato sta per finire è il momento dei bilanci: come si sente?

Sicuramente più leggero, fare il presidente è dispendioso a livello di tempo ed energie, emozionali e mentali.

È riuscito a conciliare la presidenza di Confindustria con la vita da imprenditore?

Sì ma è stato difficile e, sinceramente, ora l’azienda chiama.

All’inizio di questo mandato si era presentato con il famoso “librone” della burocrazia che attanagliava le imprese: da allora cosa è cambiato?

Purtroppo la burocrazia ci assilla ancora quotidianamente ma non possiamo dire che negli ultimi quattro anni non siano state messe in campo delle iniziative che mirassero a rimettere al centro il ruolo delle imprese. Penso al cuneo fiscale ridotto, al jobs act, al costo dell’energia agevolato o alle agevolazioni su ricerca e sviluppo. Insomma, iniziative a livello governativo per rendere le imprese competitive sui mercati ci sono state.

Qual è stato il momento peggiore del suo mandato?

Sinceramente non ne ricordo

Nemmeno le tensioni con la Camera di Commercio?

In quel caso abbiamo portato avanti una questione di principio, con grande coraggio e sacrificio. Questo non significa che poi non ci siamo messi a lavorare, se c’è un tavolo Ocse è anche perché abbiamo condiviso col territorio il nostro lavoro. A noi interessa di più fare le cose che dirle o rappresentarle.

E di cosa invece è più fiero?

Sicuramente il progetto della sede nuova è molto importante.

Ora passa il testimone a Stefano Scaglia: cosa augura al suo successore?

Gli auguro di riuscire ad avere un rapporto franco e diretto con la base associativa: è il miglior modo per confrontarsi in questo ambiente, dicendo sempre ciò che si deve dire. Un rapporto diretto che ho cercato e trovato.

Adesso per lei inizia una nuova avventura in Sacbo: come la affronta e quali prospettive vede per l’aeroporto?

È una sfida entusiasmante ma dalla quale deriva una grande responsabilità perchè l’aeroporto è tra gli asset più importanti della provincia. Mi porterò sicuramente una grande esperienza associativa e in particolare la sensibilità che si matura nei confronti del territorio. Ci sarà molto da lavorare per capire quale sia la migliore strategia per Bergamo, la situazione è complessa e va valutata ogni prospettiva.

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