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Arte

Intervista

Flavia Mastrella: l’esaltazione dell’insignificante tra storie di mare e giocattoli

L'intervista è dedicata a Flavia Mastrella, artista eclettica che nella sua carriera si è dedicata alle arti visive, al teatro, al cinema e alla televisione. Dal 1987 lavora insieme ad Antonio Rezza, con cui riesce a dar vita a delle situazioni irresistibili e surreali.

Una serie di interviste ai protagonisti di The Blank ArtDate Sacro/Sagra (26 27 28 maggio 2017), il weekend dell’arte organizzato annualmente a Bergamo da The Blank Contemporary Art.

La terza intervista è dedicata a Flavia Mastrella, artista eclettica che nella sua carriera si è dedicata alle arti visive, al teatro, al cinema e alla televisione. Dal 1987 lavora insieme ad Antonio Rezza, con cui riesce a dar vita a delle situazioni irresistibili e surreali.

Venerdì 26 maggio presenterà per ArtDate, all’interno dell’ex libreria Ars, l’allestimento di un habitat dal titolo “L’esaltazione dell’insignificante” con cui cerca di ridare vita ad oggetti recuperati dal mare.

The Blank: Ci può raccontare brevemente il suo percorso? Cosa l’ha spinta ad interessarsi all’arte figurativa e poi al teatro?
Flavia Mastrella: Sono cresciuta in una casa, dove c’era una biblioteca piena di libri, ho imparato presto a vivere nelle storie e confondermi nelle vicende fino a fondermi con l’evento e il personaggio. I miei genitori mi hanno educato all’arte o meglio alle arti, Leopoldo mi ha insegnato lo spazio… Nennella mi ha trasmesso la composizione momentanea e la soluzione alternativa. Ho poi studiato all’Istituto d’Arte di Anzio e ho abbandonato l’Accademia di Belle Arti in via Ripetta a Roma per vivere la realtà da dentro. Ho iniziato a viaggiare e a studiare senza freno tutto ciò che mi interessava. Il nomadismo è la mia caratteristica con Antonio, ho incontrato Giovanni Semerano che mi ha aiutato a sviluppare la concezione dello spazio e molto altro. Al FOTOGRAMMA di Giovanni esponevo collage, allestimenti Video, e sculture fino al 2003. Con Antonio ci siamo mossi, già dai primi momenti, in ogni tipo di ambiente, il teatro è uno spazio molto interessante e versatile, dove si impara a percepire l’energia del luogo, spesso attraverso l’odore del posto. Ogni odore importato dai frequentatori viene risucchiato a far parte dell’energia del territorio propagata dalle mura che hanno assorbito anni di libero pensiero, crisi, gerarchizzazione o vita attiva.

TB: È la prima volta che presenta a Bergamo il suo lavoro. All’ex libreria ARS allestirà “L’esaltazione dell’insignificante”. È un titolo suggestivo. Da cosa dipende?
FM: Sì, è anche la prima volta che invado una libreria, introduco nell’habitat le prime foto che ho scattato per studiare il metodo compositivo del mare, l’esaltazione dell’insignificante racconta l’impaccio di fronte alle emozioni naturali, quelle dettate dall’istinto della specie, costantemente represse da sollecitazioni comportamentali educative e pratiche, messaggi visivi raffinati percepibili nelle posture dei soldatini e dalle principessine. Giocattoli coercitivi dedicati all’infanzia invecchiano presto, tutto diventa subito superato, in pochi mesi la vita del giocattolo cambia di senso sopraffatta dalla natura. È il giocattolo ad impartire lezioncine mediocri, a chi è in formazione. L’esaltazione dell’insignificante porta all’estremo la ricerca di lezioncine che combinate insieme, si contraddicono fino a raggiungere la confusione.

TB: Il recupero degli oggetti utilizzati nel passato, che sono stati poi dimenticati ed abbandonati, possono dialogare e comunicare col nostro presente? Che tipo di informazioni possono veicolare?
FM: Solo i giocattoli possono avere la continuità culturale con il futuro, gli utensili e suppellettili di plastica nati dall’industria sottoposti a rinnovamento continuo invece parlano un linguaggio leggermente più specialistico. Il giocattolo domina il giocatore, esistono personaggi che determinano la figura femminile o maschile. Personaggi che nascono spesso ispirati da favole o film che profetizzano, con metafore grossolane, il futuro che ci aspetta e come affrontarlo. Detesto ogni tipo di veicolazione, metto in forma emozioni nel modo più sbagliato possibile.

TB: In che modo comunicano tra loro gli oggetti che sceglie? Come decide l’accostamento tra i giocattoli smarriti e consumati che ripropone e che si ripresentano poi sotto una veste completamente nuova?
FM: Scrivo piccole storie di sproporzioni con la materia, e le propongo sotto forma di habitat, in questi piccoli mondi la realtà è artefatta e libera. Articolo dei discorsi in base all’andatura cromatica e alla predominante caratteriale, non c’è un metodo preciso, alcune sculture mi sono venute in mente durante la raccolta altre appaiono con il tempo. Per orientarmi ho di diviso le sculture per tipologia, c’è l’architettura, la momentanea tenerezza, gli amori impossibili, i bambini mostruosi, le assenze, gli eroi, le eroine e i mostri, gli animali sono presenti quanto la figura umana. L’uomo e gli animali sono uniti dallo stesso destino: l’allevamento intensivo.

TB: È più importante per lei scegliere il mezzo con cui comunichi in base al contenuto stesso del messaggio, oppure in relazione al tipo di destinatario che vuole raggiungere?
FM: Non penso al destinatario perché non produco…prodotti, lavoro sui concetti che mi attraggono. Credo nell’uguaglianza, sono figlia della moda unisex.

TB: La ex libreria ARS è piuttosto piccola, anche se è la prima volta che questo luogo diventa integralmente spazio espositivo. Come si è relazionata a questo posto, anch’esso carico di memoria?
FM: Mi piacciono i momenti di transizione, e sono onorata di essere la prima ad approfittare di questo spazio espositivo.

TB: Gli habitat che realizza per il teatro potrebbero essere trasferiti nei musei e confusi con installazioni ambientali nate per le sale espositive? Ritiene ci sia sinergia o confusione tra le varie espressioni del contemporaneo?
FM: La nostra avventura artistica inizia con la consapevolezza di lacerare le convenzioni in una galleria d’arte fotografica. Gli habitat delle performances che rappresentiamo in teatro, sono adatti a ogni tipo di spazio. A Bologna grazie a Gianfranco Maraniello nel 2008 abbiamo invaso la Gam l’allora museo d’arte contemporanea. Gli Habitat vanno oltre l’istallazione.

TB: Come nasce il suo rapporto con Antonio Rezza e come avviene la comunicazione tra i vostri lavori? Precedenti interviste ci hanno fatto capire che prima nascono i suoi habitat e successivamente si sviluppa il lavoro di Antonio. Questo metodo è ancora valido? Da cosa nascono le idee che danno vita al suo lavoro?
FM: L’esaltazione dell’insignificante ha dato vita all’Habitat di Bahamuth, la mia ricerca formale finisce spesso con l’Habitat per la performance. Io do lo spazio, Antonio Rezza lo vive improvvisando. Poi insieme andiamo a lavorare sulla sintesi, il ritmo e i movimenti.

Flavia Mastrella
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