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Grande Guerra, Pillola 121: l’avanzata britannica e la caduta di Gerusalemme fotogallery

Le vittorie britanniche in Palestina non furono solo ad uso propagandistico: la campagna ebbe importanti ripercussioni sul destino futuro di quei territorio in cui la presenza inglese divenne sempre più decisiva politicamente.

Dopo una serie di scontri limitati, che portarono alla battaglia della cresta di Mughar e, in definitiva, all’apertura della via di Gerusalemme per l’armata britannica in Palestina, il comandante supremo inglese, Allenby, concesse alle proprie truppe una breve pausa: il 13 novembre 1917, l’avanzata dell’ala destra britannica riprese, attraverso le modeste alture della Giudea, mentre quella sinistra si poneva in assetto difensivo intorno a Giaffa.

Nel frattempo, era giunto dall’Europa l’esperto generale tedesco von Falkenhayn, che si era subito dedicato all’irrobustimento delle difese intorno alla Città Santa: questo, tuttavia, non trattenne minimamente i preparativi di Allenby, che proseguì per la sua strada. La 7a armata ottomana, sotto il comando di Falkenhayn, lanciò una serie di rapidi attacchi, allo scopo di rallentare l’avanzata nemica, ma, in breve, apparve chiaro che la caduta di Gerusalemme sarebbe, comunque, stata inevitabile, anche perché nessuno dei due comandanti avrebbe voluto che si combattesse all’interno della città sacra alle grandi religioni monoteiste o anche soltanto nei suoi dintorni, cosa che sarebbe stata percepita da tutto il mondo come un’autentica profanazione.

Dopo avere rinforzato le proprie linee di partenza, Allenby affidò il compito della conquista vera e propria di Gerusalemme al XX corpo, comandato dal generale Chetwode, che mosse all’attacco delle posizioni avversarie l’8 dicembre, muovendosi su due direttrici diverse. L’azione principale mosse dalle alture di Nebi-Samuel, una dozzina di chilometri ad ovest dall’obbiettivo, mentre un attacco secondario fu lanciato da sud, partendo da Betlemme. Gerusalemme cadde dopo solo un giorno di combattimenti, anche perché le truppe ottomane erano ormai stanche e sfiduciate, dopo un’ininterrotta serie di successi tattici britannici cui avevano corrisposto altrettanti contrattacchi falliti da parte loro.

In realtà, si continuò a combattere a macchia di leopardo ancora per alcuni giorni, sulle colline intorno alla città, ma la soluzione strategica della campagna per Gerusalemme era ormai cosa fatta. La presa di Gerusalemme, come si può facilmente immaginare, rivestiva grande importanza più da un punto di vista simbolico che sotto il profilo strettamente militare: anche per questo, il comportamento dei comandanti fu estremamente cauto e rispettoso della sacralità dei luoghi.

Allenby entrò a Gerusalemme a piedi, l’11 dicembre 1917, mantenendo un bassissimo profilo, per non urtare la sensibilità delle diverse comunità religiose della Città Santa. Già il 9 dicembre, giorno dell’effettiva caduta della città, Allenby aveva emesso un proclama in cui dichiarava la tutela ed il rispetto di tutti i luoghi santi e dei loro rispettivi custodi, che dovevano ritenersi intoccabili, nonostante la legge marziale. Dal canto suo, Falkenhayn lanciò un violento contrattacco il 26 dicembre, ma le truppe ottomane vennero respinte con gravi perdite: alla fine dell’intera campagna, i britannici avevano perso circa 18.000 uomini, contro i quasi 25.000 dei loro avversari. Allenby si dedicò, a questo punto, ad irrobustire una linea difensiva che andasse dalla città fino alla costa, creando una sorta di campo trincerato permanente: la sua vittoria in Terrasanta, intanto, anche per la coincidenza con le festività natalizie, ebbe una notevolissima ricaduta propagandistica sulle nazioni dell’Intesa, anche perché le notizie dai vari fronti europei non sembravano certamente rassicuranti, dopo la ritirata italiana a Caporetto, il fallimento dell’offensiva britannica a Cambrai e l’uscita di scena della Russia, in seguito alla rivoluzione bolscevica.

Un altro risultato immediato del successo ottenuto da Allenby fu la temporanea sospensione di ogni iniziativa inglese in Mesopotamia, per insistere nell’offensiva sul fronte palestinese, battendo il ferro finchè era caldo. Il 1917, dunque, si concludeva con una vittoria dell’Intesa, dopo una serie di imbarazzanti fallimenti militari: si trattava, è vero, di un successo limitato militarmente ed eccentrico rispetto ai principali teatri di guerra, tuttavia, da un punto di vista psicologico, la conquista di Gerusalemme ebbe una sua notevole importanza e rappresentò una metafora di quello che, agli occhi dei paesi belligeranti, avrebbe potuto essere il 1918.

Non bisogna, tuttavia, considerare le vittorie britanniche in Palestina soltanto come una sorta di parata ad uso propagandistico: intorno a Gerusalemme si combattè duramente e la campagna palestinese avrebbe avuto importanti ripercussioni sul destino futuro di quei territori, in cui la presenza inglese sarebbe divenuta sempre più decisiva politicamente. Nel 1918, di fatto, l’intera sponda meridionale del Mediterraneo era controllata da Paesi aderenti all’Intesa e questa situazione sarebbe durata fino alla metà degli anni Trenta, condizionando lo sviluppo dell’intero territorio nordafricano.

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