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Il punto di valori

Come risolvere la questione militare e strategica nordcoreana

Perché la Corea del Nord vuole raggiungere oggi una soglia nucleare tale da minacciare il Giappone, la Corea del Sud, i mari meridionali asiatici e, naturalmente, le basi Usa nel Pacifico?

Perché la Corea del Nord vuole raggiungere oggi una soglia nucleare tale da minacciare il Giappone, la Corea del Sud, i mari meridionali asiatici e, naturalmente, le basi Usa nel Pacifico? E, oltre a questo, il mainland nordamericano? Perché teme di essere invasa dal Sud o dal mare, con una azione integrata sul suo litorale da parte di Seoul e Washington, con il supporto nipponico al largo.

Teme di essere invasa, la Repubblica nordcoreana, perché è vicina a Paesi che sono peraltro obbligati a sostenerla e condizionarla, e non tramite l’ideologia marxista-leninista, ma con la geografia: la Cina e la Russia. E quindi teme che il prezzo del sostegno divenga troppo elevato per poterlo pagare senza un regime change “socialista”, come quello cinese di Deng Xiaoping o con il nazionalismo statalista di Mosca. Paesi tali da condizionare Pyongyang aiutando il regime del juche a costi strategicamente sempre più alti e, alla fine, insostenibili per la Corea del Nord. E, peraltro, una delle basi ideologiche del regime coreano del Nord è proprio la sua nettissima autonomia dal resto del mondo; e quindi, nei limiti del possibile, anche da Mosca e Pechino.

Inoltre, la Corea del Nord, dopo l’avvento al potere di Kim Jong Un, ha trasformato la linea primaria della politica nazionale e internazionale dal Songun (“prima il militare”) che era quella di suo padre e di Kim il Sung, in una direttiva detta Byungijin, lo sviluppo parallelo dell’economia e della difesa.

Dall’avvio del regno di Kim Jong Un, vi sono state riforme significative: la riduzione delle dimensioni delle fattorie comuni, i minori controlli sul sistema distributivo, una maggiore disponibilità di moneta hanno permesso ai contadini di tenersi una parte maggiore dei raccolti, per dar vita a una piccola economia libera locale. E’ stata quella dell’agricoltura, lo ricordiamo, la “Prima Modernizzazione” della Cina di Deng Xiaoping.

Ma, sul piano militare, la linea del Byungjin prevede che si dia la preferenza, nella programmazione strategica, proprio all’arma nucleare: la tecnologia dell’atomo, civile o militare che sia, è più economica di quella convenzionale, che peraltro dipende da una separazione tra “lavoratori del fucile”, come li chiamava Mao Zedong, e quelli “dell’aratro”. Troppa manodopera militare porta via uomini e donne dal sistema produttivo; e questo non va certo nella direzione voluta da Kim Jong Un.

Dipingere poi, come si fa in Occidente dai tempi di Hitler, il capo di un paese “nemico” sempre come se fosse un matto, è davvero un atto di follia, ma quest’ultima è solo la nostra.

Gli effetti della timida riforma economica sono ovviamente molto lenti e ciclici, ed è per questo che l’amica Cina non ha fatto ammettere la Corea del Nord all’interno della nuova Asian Infrastructure Development Bank nel 2016. E ricordiamo poi che Xi Jinping, il cui PCC monitora attentamente la situazione a Pyongyang, non è ancora andato in visita ufficiale nella capitale della Corea del Nord.

Se le Forze armate nucleari di Pyongyang valgono solo la spesa del 2- 3% annuo del PIL, secondo le più affidabili stime indirette occidentali; allora lo sviluppo delle armi missilistiche e nucleari è una opzione strategico-economica quasi forzata, per Kim Jong Un, che vuole una riforma economica interna, sulla via delle “Quattro Modernizzazioni” cinesi, ma non vuole certo perdere il potere o trasformarne la sua natura.

Quindi, si tratta, da parte di Pyongyang, della globalizzazione di una minaccia regionale: il regime nordcoreano vuole minacciare direttamente gli USA nel Pacifico e sul loro territorio nazionale, vuole costringere gli alleati storici come la Russia, la Cina, l’Iran, il Pakistan, a difenderla anche oltre i loro interessi nazionali e locali, vuole infine costringere, con la minaccia nonconvenzionale, gli occidentali ad aiutare la sua economia e a permettergli una stabile espansione.

Le esplosioni missilistiche e le nuove armi termonucleari, come quella detonata il 9 gennaio 2016, che Pyongyang ha dichiarato essere miniaturizzata e quindi potenzialmente minacciosa anche per obiettivi a lunga distanza, ci fanno pensare che ormai, finita la fase del 5+1 e degli accordi internazionali, la Corea del Nord voglia far accettare il suo status di potenza nucleare come semplice fait accompli.

E la piccola, nuova ricchezza garantita dal risparmio sulle forze convenzionali sarà utilizzata proprio per questo scopo, dato che la nuova dirigenza di Pyongyang non ha più, manifestamente, alcun interesse a ricontrattare una nuova situazione strategica con dei Paesi sempre meno interessati alla risoluzione del problema. O sono interessati soprattutto alla “maledizione rituale” dello Stato che non sta alle regole internazionali, inventate peraltro solo dagli altri. O solo, ancora, a “mostrar bandiera”, come la recente missione navale Usa nel mare regionale coreano che, peraltro, come ha rivelato recentemente il New York Times, non aveva particolari caratteristiche di deterrenza verso la Corea del Nord.

Come si contrasterebbe allora razionalmente la nuova postura strategica di Pyongyang, che sta sviluppando le sue tecnologie non-convenzionali in tre direzioni: la tecnologia duale per lo spazio, quella dei missili nucleari sottomarini e quella della movimentazione su terra di basi di lancio mobili?

O si arma con tecnologie N la instabile Corea del Sud, il che farebbe aumentare a vista d’occhio l’armamento di Pyongyang, o si protegge il Sud con il THAAD (Terminal High Altitude Area Defense), come è già peraltro accaduto o, infine, si tratta un nuovo accordo con Pyongyang.

Come? Le linee che prevedo possibili sarebbero:

a) garanzia per lo sviluppo delle Zone Economiche Speciali, le sette aree che con grande fatica richiamano capitali regionali in Corea del Nord,

b) l’atto politico e strategico del riconoscimento della legittimità del governo di Pyongyang, mettendo fine alla vecchia e stanca memoria di quella guerra in Asia, che peraltro fu innescata da due errori paralleli di MacArthur e della guerriglia comunista al Nord,

c) entrata di Pyongyang in una nuova Unione Regionale di Sicurezza, che stabilizzerebbe gli interessi del Giappone, della Federazione Russa, della Cina e della Corea del Sud, nonché degli USA,

d) creazione di un Fondo Internazionale per lo Sviluppo della Penisola Coreana, al quale possono partecipare tutti i Paesi locali che lo desiderino e infine d) un trattato multilaterale, con le garanzie di rito, che pone fine all’escalation nucleare della Corea del Nord, mantiene il suo status raggiunto al momento della firma, e con sanzioni credibili per la rottura del Trattato da parte di Pyongyang.

Se non seguiremo, quindi, la linea di Bob Gallucci, che dice, da buon italoamericano, che “la questione nordcoreana non è come il vino buono”, che migliora invecchiando, non ne usciremo, irretiti da una teatrale strategia che serve solo ai mass media e non risolve niente, o dalla scelta, perfino peggiore, di minacciare militarmente Pyongyang. Il che ci allontana da Mosca e da Pechino, che già hanno i loro diffèrend con la Corea settentrionale ma che sono essenziali per pacificare l’area.

E, peraltro, ciò rende ancora più aggressiva la politica della Corea del Nord e più rapido il suo riarmo N. Quindi, come ci insegna ancora Bob Gallucci, dobbiamo trattare in modo multilaterale con Pyongyang, perché la pluralità di attori allo stesso tavolo non permette alla Corea del Nord di minacciarci o di estrarre concessioni solo dagli Usa, e i coreani del Nord sentiranno poi come importante e definitiva la pressione degli amici o degli avversari allo stesso round di trattative.

E, paradossalmente, Gallucci dice, in un suo recente documento, che “Usa e Corea del Nord vogliono la stessa cosa”. Quale? Il Regime change. Washington crede che a Pyongyang ci debba essere un cambiamento politico e strategico, e lo stesso vogliono i nordcoreani per gli Usa nei loro confronti.

Anche la Corea del Sud, interessata alla possibile guerra N contro Pyongyang, non ha alcuna simpatia per le soluzioni di forza, che destabilizzerebbero Seoul come un attacco NATO al Patto di Varsavia avrebbe destabilizzato la Repubblica tedesca di Bonn che pensava, soprattutto, alla riunificazione, esattamente quello che ancora vogliono molti in Corea del Sud. Fare impresa e business con la Corea del Nord è poi, per Bob Gallucci, una cosa ben migliore che minacciare sanzioni, spesso aggirabili e politicamente inutili, o talvolta anche dannose.

Quindi, in un approccio multilaterale, occorre, ancora oggi,

a) far cessare il sensibilmente inutile programma N di Pyongyang, visto che gli obiettivi politici di quella operazione sono raggiunti con la trattativa,

b) avviare una normalizzazione politica, che è anch’essa un obiettivo del regime nordcoreano, che non ha nessun interesse a farsi leggere come il rogue state globale,

c) un po’ di assistenza economica, e, per ritorno,

d) assicurazioni strategiche sulla sicurezza dell’area da parte di Pyongyang.

Se poi la Corea del Nord dovesse vincere la sua attuale “guerra dei nervi” contro Washington, allora lo scenario successivo non potrebbe essere che quello di un riarmo nucleare del Giappone, una insicurezza diffusa della Corea del Sud, che potrebbe anche rivolgersi alla Cina per la sua proiezione strategica; e quindi si annullerebbe, nel cuore geopolitico dell’Asia, l’equilibrio nucleare.

Non è una prospettiva accettabile, almeno per noi.

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