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Il concorso

Scribo Ergo Sum 2017: Solamente te

Scribo Ergo Sum è il concorso di scrittura creativa aperto agli studenti iscritti agli istituti secondari superiori della Provincia di Bergamo che hanno aderito al progetto: ciascun autore ha deciso il titolo e il genere letterario del proprio racconto che per l’edizione 2017 doveva essere svolto seguendo la traccia “Liberi tutti – Liberi di scrivere, amare, sognare, viaggiare; di muoversi, di esprimersi, di scegliere. Liberi di partecipare, di combattere per un’idea, di opporre resistenza, di rompere dei confini e spezzare delle catene. Ma anche liberi di ascoltare, tacere, imparare, riflettere, osservare il mondo e cercare di capirlo. Liberi di raccontare cos’è la libertà”.

SOLAMENTE TE (racconto n. 22)

Ti ritrovi lì, sdraiata sul tuo letto, pancia all’aria e braccia lungo i fianchi. Il tuo sguardo, racchiuso in quegli enormi occhi scuri da cerbiatta, fissa un punto vuoto del soffitto. In una mano, chiusa a pugno, le chiavi di camera tua, nell’altra il cellulare che continua a vibrare.
“Scendi che sono sotto casa tua. Ora. Subito”, “Mi hai istigato e così ho dovuto reagire”, “Non volevo”, “Così capisci che stai sbagliando?”, “Per quale assurdo motivo mi stai lasciando?”, “Te la devo far capire con le cattive evidentemente”.
Fino ad ora hai sempre ritenuto fosse solo un brutto sogno.

“Non può essere così” ti ripetevi ogni giorno, noncurante di ciò che stava realmente accadendo. Una, due, tre, quattro chiamate. Non hai neppure il coraggio di rispondergli. Pian piano schiudi e rilassi le mani, ti alzi e zoppicando raggiungi lo specchio. Una lieve ombra viene proiettata sugli armadi della tua stanza, grazie alla fievole luce che entra dalle fessure della tapparella abbassata. Inizi a fissare la tua sagoma scura e vedi te, magra, capelli lunghi, ma ti basta ruotare la testa di novanta gradi per accorgerti di come sei realmente.

Un enorme taglio sul labbro gocciola ancora di sangue, un occhio nero fa da sfondo ai lividi che ti ritrovi sul corpo, e ti basta solo abbassare la manica della maglietta per poterne contare altri tre sulla spalla. Le mani tue graffiate e coraggiose accarezzano lievemente e tremanti le tue guance, anch’esse graffiate. Un flashback ti riporta improvvisamente al passato. State insieme da un anno e mezzo, ma tu non l’hai mai amato. L’hanno deciso i tuoi genitori. Due anni in più di te, lodevole studente della facoltà di giurisprudenza, i tuoi lo avevano sempre usato per governare la tua vita. Saresti dovuta diventare un avvocato, come tuo padre e come tua madre, come tuo nonno e tua nonna prima ancora, e sposare un avvocato ed imporre ai tuoi figli le stesse regole.

Ma tu non volevi questo. Non si può dire che tu non abbia provato a ribellarti e ai primi schiaffi non credevi nemmeno tu. Hai deciso di prendere in mano la situazione e piantarlo, ma la sua risposta è stata sempre la stessa, ritrovandoti ogni volta con qualche ammaccatura in più. Assaporavi la libertà solo quando, la mattina, nel tragitto da casa a scuola, ti fermavi un attimo per strada a fissare il cielo e pensavi che in fondo non fosse così lontano. Riflettevi su come fosse sempre lo stesso ma libero ogni giorno di scegliere i colori di cui vestirsi, oggi rosa, domani azzurro, stanotte blu e al tramonto arancione, giallo, rosso.

E mentre pensavi piangevi.
Le lacrime bruciavano più del solito, forse perché erano più pesanti, più esauste a causa di una vita fatta di imposizioni e tormenti; o forse perché i graffi erano ancora aperti. Piangevi pensando a te ed alla tua libertà. Tu, che nella vita volevi essere un medico, volevi salvare le persone e non riuscivi a salvare nemmeno te stessa. Piangi, piangi da sola, nella tua stanza, ancora e il dolore è talmente straziante da piegarti letteralmente in due. Quelle lacrime che bagnano il pavimento all’improvviso cessano di cadere. Chi sei tu per non decidere di te stessa? Tua madre urla fuori dalla tua stanza di uscire, perché non sei più una bambina per piangere. Devi andartene, devi scappare. La tua libertà non è qui, non è questa. Improvvisamente ti rialzi, con gli occhi gonfi, zoppicante. Sblocchi il telefono. “Ho deciso di essere libera lontano da te. Ti auguro di trovare qualcun altro a cui fare del male”. Prepari uno zaino: portafoglio, caricabatterie, documenti, qualche vestito e una coperta. Dove andrai non lo sai ancora, ma sarai finalmente libera. Libera dalla vecchia te stessa, da chi ti ha sempre imposto una vita senza scelte dettate dal cuore ma del contesto e da regole infondate. Prendi la chiave, apri la porta. Fuori c’è tua madre ed accanto tuo padre. La sua mano si leva nell’aria, intenzionata a farti ancor più del male. La fermi con una forza mai trovata prima.

<> urla mia madre. <>. In diciotto anni della tua vita non hai mai abbracciato i tuoi genitori e mai loro avevano voluto abbracci o dimostrato un minimo d’ affetto. Ed è così che esci di casa, correndo, piangendo e gridando un qualcosa di incomprensibile, un misto di felicità e dolore, con i tuoi genitori e il tuo ex ragazzo dietro che tentano di rincorrerti in auto. Riesci a seminarli, a farli perdere nel vuoto, nel nulla, lo stesso vuoto e lo stesso nulla che ti rimbombavano in testa ormai da una vita e di cui eri tremendamente stanca di ascoltare l’eco. Stentavi a crederci ma pure il vuoto ha un suo eco ed è straziante. Ed eccoti, sola, senza più niente e nessuno, ma finalmente libera e piena della vera te stessa, di quella ragazza che cercavi da anni. Tant’è che finalmente le tue stesse lacrime ora non bruciano più, sono loro ora le tue carezze.
Frugando nelle tasche della tua felpa trovi i tuoi amati auricolari. Con delicatezza sfili il cellulare dalla tasca, colleghi le cuffiette ed inizi ad entrare in un nuovo mondo: il tuo. Sì, proprio il tuo, ancora stenti a crederci: il tuo mondo fatto di libertà, di passione e di tanto amore per la vita. Un amore che hai scovato solo ora nella solitudine. E per paura che sia tutto un sogno improvvisamente inizi a correre. E mentre corri ridi, non piangi più. È tramonto ormai ed il cielo ha deciso per te di vestirsi di tutti i colori, quasi fosse davvero lì a guardarti e a voler festeggiare la grande vittoria con te. Non facendo caso a nulla raggiungi un enorme campo d’erba ed esausta cadi a terra. E cadendo, finalmente, ti accorgi di aver distrutto una maschera che ormai avevi da tempo, che gli altri avevano creato per te. Ma ora sei finalmente te stessa, e non c’è vittoria più bella. Perché, ammettiamolo, esiste libertà più grande di poter essere se stessi? E adesso puoi perfino dormire.

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