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Il punto di valori

Hezbollah e la guerra in Siria

La guerra in Siria contro gli alauiti di Assad e il suo stato post-baathista inizia con la rivolta popolare, non molto numerosa, peraltro, del Marzo-Aprile 2011.
Manifestazioni di massa, nelle storiche aree sunnite di Hama e Homs, alle quali le organizzazioni filogovernative rispondono con rallies in favore di Bashar el Assad e del suo regime.

È il canovaccio delle primavere arabe: rivolta civile, nonviolenta e di massa, alla quale il regime non può non reagire con violenza, il che genera successivamente una radicalizzazione nella quale si inserisce la “legione straniera” del jihad. Questo deve avvenire dopo che il vecchio Raìs se ne è andato e dopo che le organizzazioni internazionali certifichino che si tratta di una “lotta democratica”.

La caduta di Gheddafi è stata innescata da una piccola rivolta, a Bengazi, dei familiari di alcuni carcerati. Successivamente, sono arrivati i militanti libici della “Lega dei Diritti dell’Uomo”, di cui prima non vi era traccia, e poco tempo dopo arriva un sottomarino della Royale, la marina militare francese, che porta armi e addestratori. In Piazza Tahrir, al Cairo, sempre nel 2011, manifestava anche la sorella di Al Zawahiri, il capo di Al Qaeda, mentre il servizio d’ordine delle manifestazioni, più o meno spontanee, era fornito dalla frazione armata dei Fratelli Musulmani.

Uno dei testi consigliati da parte dell’Ikhwan, della Fratellanza Musulmana, allora, era proprio quello sulla “Politica della lotta nonviolenta” di Gene Sharp, fondatore della Albert Einstein Institution, un vero e proprio manuale per mettere in atto una sovversione non militare e nonviolenta. Testo e tecnica che avevamo già trovato nelle tecniche della rete OTPOR in Serbia, gruppo di opposizione al vecchio regime di Milosevic. OTPOR era formato da ragazzi addestrati nella Rappresentanza USA di Budapest.

Dopo la crisi del regime siriano derivante dalle manifestazioni del 2011, infatti, vengono tolti i fili spinati dai confini sensibili e cominciano ad arrivare jihadisti sunniti dalla Giordania e dalla Turchia verso la Siria, elementi che si concentrano subito sul confine tra Siria e Libano, o meglio tra Al Qusayr e la regione di Ghouta, per chiudere immediatamente in una morsa Damasco.

È bene ricordare, peraltro, che Bashar el Assad, anche prima di arrivare al potere, era il diretto titolare del dossier libanese e, quindi, dei rapporti stretti e diretti tra il regime siriano e Hezbollah.
Il quadro cambia con il bombardamento della sede dei servizi segreti siriani a Rawda Square il 18 Luglio 2012, incidente nel quale periscono il ministro della difesa di Damasco, poi Asef Shawkat, cugino di Bashar e vice-ministro della Difesa, Hassan Turkmani, il vice-presidente della Repubblica e infine il capo dei Servizi Hafez Makhlouf.

Non si sa ancora se si sia trattato di un terrorista suicida o di una rete di esplosivi fatta detonare a distanza.

Saranno esplicitamente citati, come “fratelli” e “martiri”, dal capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, nel suo discorso del 25 maggio 2013 che rende noto il pieno sostegno militare e operativo del gruppo sciita libanese a favore di Assad. Hezbollah era già intervenuto, con le sue “armate ombra”, nella prima fase degli scontri tra l’Esercito Arabo Siriano del leader alawita e le forze sunnite e jihadiste, ma solo sulla stretta linea del confine tra Siria e Libano.

Si costituisce quindi, e con le armi, l’”asse della resistenza” tra Iran, Hezbollah e Siria degli Assad, un “asse” che la propaganda di Damasco e quella sciita libanese diffondevano da anni.
La linea di Teheran, Damasco e Hezbollah si caratterizzava di contro ad un progetto sunnita ma, più esplicitamente saudita, di prendere la Siria, emarginare gli alawiti sulla sola costa mediterranea e, poi, arrivare ad uno scontro o a una regionalizzazione dell’Iran.

I primi slogan dei manifestanti pro-Assad, nel 2011, erano soprattutto contro il sovrano saudita e, talvolta, contro quello giordano.

Certamente, oggi, la presenza di Hezbollah nel conflitto si è siriano si è rivelata determinante per la sconfitta delle varie sigle del jihad sunnita e dell’Esercito Libero Siriano, nato da una scissione delle Forze Armate di Assad, sempre nel 2011 e, successivamente, strumento di proiezione della forza turca, soprattutto nel Nord della Siria.

Le perdite del “partito di Dio” libanese dovrebbero essere di almeno 1500 militari, mentre Israele non ha ancora deciso come muoversi, a parte la difesa delle alture del Golan, nel quadrante siriano, attendendo che i suoi vari nemici si consumino tra di loro.

Con una sola eccezione, esplicitata nel giugno 2013 proprio da Netanyahu: occorre valutare e reagire alla nuova e inquietante presenza nel quadrante siriano di Hezbollah.
E all’”asse della resistenza” tra Iran, Siria e “partito di Dio” libanese occorre poi aggiungere anche Hamas nella Striscia di Gaza, che ha ripreso le sue relazioni ufficiali con l’Iran nel luglio 2016; con Teheran che fornisce aiuto economico e sostegno militare mentre, come affermava in quei giorni l’ufficio politico di Hamas, “l’Arabia Saudita ha fatto svanire le nostre proposte”.

È da notare che Hamas, braccio politico-militare della Fratellanza Musulmana sunnita, aveva preso le difese, nella guerra yemenita, del presidente Mansour Hadi contro gli Houthi, sciiti seguaci del Settimo e Ultimo Imam, sostenuti dall’Iran.
Lo Yemen è chiaramente la testa di ponte per il controllo dell’Arabia Saudita e, inoltre, dell’accesso al Golfo Persico ma anche, indirettamente, di quello al Canale di Suez.
È strano, peraltro, come la dipendenza della UE dal commercio internazionale non abbia fatto pensare, ai decisori europei, che chi controlla quell’area tiene tra le sue mani la giugulare del commercio marittimo di tutta la penisola eurasiatica. Ma, ormai, la cultura e la sensibilità strategica, nei decisori europei, è pari a zero.
La presenza del “partito di Dio” in Siria, inoltre, permette una ampia dislocazione delle forze e una sorta di “colonizzazione” della Siria da parte dell’Iran, in cambio di un forte appoggio di Teheran a Hezbollah proprio all’interno del Libano.

Hezbollah diventa egemone in Libano, e quindi può diventare una sorta di “armata del Medio Oriente” per tutto l’universo sciita che gravita intorno a Teheran. Tra l’Iran e il Libano, grazie al “Partito di Dio” sciita, è possibile creare, e già oggi questo sta accadendo, una serie di “vuoti demografici” tra la Siria e l’Iraq proprio verso il Libano.

I poli di questa nuova demografia sciita iraniana sono le aree di Kefraya e Fua, da dove i residenti, in maggioranza sciiti, sono stati diretti verso la zona di Damasco Ovest, a maggioranza sunnita, mentre quest’ultima popolazione prenderà posto, se gli accordi internazionali sulle “Quattro città” valgono ancora, a Kefraya e Fuah, nelle zone lasciate libere dagli sciiti.

L’Iran vuole dunque piena continuità con il Libano, e per questo ha intenzione di fare un vero e proprio scambio di popolazione tra il Nord e il Sud della Siria.
Il che implica anche un controllo sciita del confine turco-siriano e, quindi, della NATO. Hezbollah, inoltre, si insedierà a Madaya e a Zabadani, le città che ha contribuito a difendere dai “takfiri” (apostati sunniti) e dai “terroristi”, per usare la terminologia della propaganda sciita libanese.

A Daraa 300 famiglie sciite iraqene si già insediate nelle zone lasciate libere dalle forze sunnite dopo il “cessate il fuoco” dello scorso Settembre.
È intuitivo pensare a cosa ciò significhi per la sicurezza dello stato ebraico. Una tenaglia tra Nord e Sud, tra il confine con il Libano meridionale dominato dal “partito di Dio” e il sud, con Hamas che viene armato e addestrato da Teheran, è uno dei peggiori scenari possibili per Gerusalemme.

Solo un rapporto nuovo con l’Egitto e con la Giordania potrebbe creare un contrappeso strategico a questa minaccia.
Gli USA, per bocca del Presidente Trump, oggi non vogliono necessariamente una Siria senza Assad, dato che “spetta al popolo siriano scegliere” e che comunque, dice il Presidente repubblicano, “Assad è meglio dei jihadisti”.

Il Presidente siriano, peraltro, risponde alle avances di Trump ipotizzando che “Siria e Stati Uniti possano essere alleati naturali”.
Assad vuole, detto più esplicitamente, far parte della nuova alleanza “contro il terrorismo” nella regione, ma il problema è che Washington non accetterà mai una continuità strategica da Teheran ai templi romani di Baalbek sulla costa libanese, né accetterà mai una chiusura strategica nei confronti di Israele.

Una buona possibilità di risolvere la questione risiede nella presenza russa nell’area.
Mosca ha tutto l’interesse a sostenere lo stato ebraico e una eguale necessità di rimanere a controllare Damasco, per evitare una pressione iraniana sulle sue basi militari a Tartus e il controllo delle sue linee di comunicazione interne al territorio siriano.
Trump, certamente, non vuole l’Iran tra i piedi nella futura “lega antiterrorismo” del Medio Oriente; e certamente non vuole avere a che fare con Ansar Allah dei ribelli Houthi in Yemen, con la
Divisione Fatemyoun delle Guardie della Rivoluzione iraniana, formata in Afghanistan da sciiti che hanno combattuto in Siria, con la brigata Zaynaboyoun degli oltre mille sciiti pakistani, e naturalmente con Hezbollah.

La “autostrada sciita” va, nei progetti delle Guardie della Rivoluzione di Teheran, dall’Iran all’Iraq fino all’interno della Siria, entra a nord di Aleppo e arriva ad ovest della costa del Mediterraneo, per volgersi poi verso sud dentro il Libano fino al confine del Paese dei Cedri con Israele, a Naquora-Maron el Ras.

La tensione tra Mosca e Teheran, che potrebbe favorire una nuova presenza degli USA nell’area, è già, comunque, visibile.
Vladimir Putin vuole chiaramente che Hezbollah se ne vada presto da tutto il territorio siriano.

L’Iran, ovviamente, non ha alcun interesse a premere sul “partito di Dio” per farlo ritornare nei ranghi libanesi, Hezbollah è essenziale al controllo di tutta la “autostrada sciita” sopra delineata.
Peraltro, Bashar el Assad è troppo esperto per non capire che consegnare buona parte del suo Paese agli iraniani e agli sciiti libanesi lo mette politicamente con le spalle al muro e lo priva di un sostegno essenziale per la sua libertà di manovra con Teheran, quello della Federazione Russa.

Il Congresso USA e sei paesi del Consiglio di Sicurezza del Golfo richiedono poi l’implementazione del suaccennato ’”Accordo delle Quattro Città”, Madaya, Al Fuah, Kafariya e Zabadani, le abbiamo già notate sopra, città “punite” sia dalle forze sciite che da quelle jihadiste sunnite. L’Accordo, contemporaneo al cessate il fuoco di Astana. prevede che vengano evacuati i malati e le altre persone a rischio e possano arrivare medicinali e cibo ai residenti. Ma, come è prevedibile, svuotare una città vuol dire conquistarla.

Peraltro, il modo migliore, come è stato affermato al Congresso USA, per debilitare Hezbollah è quello di bloccare le spedizioni di armi iraniane che arrivano, attraverso la Siria, in Libano.
Un grosso blocco sunnita nell’area centrale della Siria eviterebbe la continuità strategica tra Hezbollah e Guardie della Rivoluzione iraniana e consentirebbe quindi allo stesso Bashar el Assad di governare un territorio sufficientemente grande per avere un potere credibile nella regione.

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