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Il caso

“Chiusura del punto nascite a Piario? In montagna stesse competenze che in città”

Fa discutere la chiusura dei punti nascita al di sotto dei 500 parti all'anno, si dice per mancanza di requisiti minimi di sicurezza ed esperienza. Ecco il parere di due esperti

(Nella foto: il dottor Claudio Crescini)

“In montagna troviamo le stesse competenze che in città. Non dimentichiamo che, per esempio, molti dei medici che prestavano servizio all’ospedale di San Giovanni Bianco, oggi lavorano al Papa Giovanni di Bergamo”. Quindi: “La mancanza di sicurezza ed esperienza sono motivazioni che lasciano il tempo che trovano”. Ne è convinto il dottor Claudio Crescini – oltre 30 anni di servizio tra l’Azienda ospedaliera di Treviglio, l’Ospedali Riuniti di Bergamo e quello di San Giovanni Bianco – e vice segretario nazionale della Aogoi (l’Associazione degli Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri Italiani), che non condivide la scelta del governo di chiudere il punto nascite dell’ospedale di Piario. Il piano nazionale per la riorganizzazione dei punti nascita – varato nel 2010 dall’allora ministro della sanità Ferruccio Fazio – prevede infatti la chiusura dei punti nascita che scendono al di sotto dei 500 parti all’anno. Si dice proprio per mancanza di requisiti minimi in termini di sicurezza e di esperienza, necessari ad affrontare situazioni difficili o impreviste.

“La sicurezza di un punto nascita è garantita da numerosi fattori tra cui il numero di parti, ma non solo – commenta Crescini -. Poiché gli eventi avversi durante il parto sono fortunatamente pochi, in un punto nascita a bassa attività si può essere colti di sorpresa ed impreparati ad affrontare un evento drammatico, ma è un’eventualità estremamente rara.  Per questo motivo “dovrebbero essere attivati strumenti promozionali ma anche economici per invogliare operatori sanitari esperti a svolgere attività nei piccoli punti nascita“. Inoltre “si dovrebbe ricordare che gli eventi drammatici che mettono in pericolo vita o salute della mamma e del bambino sono più frequenti nella popolazione di gravide a rischio, che presentano patologie e che generalmente non afferiscono ai piccoli punti nascita ma vengono indirizzate ai centri ad alta attività. Tanto è vero che gli ultimi eventi luttuosi riportati dalla stampa si sono verificati in centri nascita ad altissima attività”.

Da un punto di vista economico “i piccoli centri hanno un costo più elevato perché devono mantenere attiva h 24 una organizzazione efficiente per meno parti. Esistono comunque aree geografiche nel nostro Paese in cui la chiusura del punto nascita obbliga le gravide a viaggi superiori ai 60 minuti per partorire, impoverisce la struttura sanitaria complessiva decretandone la scomparsa con una progressiva riduzione dei servizi e diviene ulteriore elemento di spopolamento dell’area. Garantire la sicurezza di un piccolo punto nascita è possibile ma richiede capacità progettuale ed investimenti economici. La Lombardia lo potrebbe fare se ci fosse volontà politica, sostegno da parte degli utenti e delle associazioni e creazione di una cabina di regia autorevole e rappresentativa  per la riorganizzazione della rete di assistenza alla nascita. Mi corre l’obbligo infine di ricordare che quello che si richiede alla Regione è largamente inevaso e non rispettato in moltissime regioni d’Italia che sopravvivono con bilanci  in grave deficit”.

C’è chi, tuttavia, la pensa diversamente, come il dottor Samir Nazha, pediatra a Castione della Presolana, Rovetta e Vilminore di Scalve. “Le motivazioni espresse dal governo reggono, anche se l’ospedale di Piario non ha mai dato problemi in termini di qualità ed efficienza”. Il vero problema è “mettere a rischio una struttura ricettiva essenziale per il territorio“. Qualora dovesse chiudere il centro di Piario, “i punti nascita più vicini sarebbero a decine e decine di chilometri di distanza, e considerando che molti dei centri abitati della valle distano anche più di cinquanta chilometri da Piario, fate voi il conto dei chilometri che dovrebbero percorrere i cittadini. Un altro rischio connesso a quello della chiusura del punto nascite – continua il pediatra – sarebbe la dipartita del day-hospital pediatrico. Tenerlo, purtroppo, sarebbe anti-economico”.

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