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Il dibattito

Divide il voto degli Italiani all’estero, Pandini: “Non pagano le tasse”, Tremaglia: “Meglio loro degli immigrati”

Il 64,7% degli Italiani all'estero ha votato Sì. Un voto in controtendenza rispetto all'esito nazionale. Su Libero, il giornalista bergamasco Matteo Pandini e il consigliere comunale di Bergamo Andrea Tremaglia si confrontano.

Il 64,7% degli Italiani all’estero ha votato Sì. Un voto in controtendenza rispetto all’esito nazionale. Su Libero, il giornalista bergamasco Matteo Pandini e il consigliere comunale di Bergamo Andrea Tremaglia si confrontano. C’è chi chiede, come Pandini, l’abolizione del diritto di voto per gli italiani che votano all’estero e chi, come Andrea Tremaglia, difende una battaglia che fu del nonno Mirko Tremaglia.

Legge da cancellare, non pagano le tasse qui. Perché decidono per noi?
di Matteo Pandini
È stato approvato nel 2001, tra gli applausi della destra e della sinistra, ma il voto degli italiani all’estero andrebbe abolito. Subito. Dopo anni e parecchie elezioni, è chiaro che produce pasticci se non brogli. E non garantisce la segretezza della scelta. Tutto questo, senza considerare il vero nocciolo. Che è questo. Chi vive negli Usa o in Cina, non paga le tasse in Italia. È sollevato da questo dovere, eppure ha il diritto di recarsi al seggio come il Mario Rossi a cui Equitalia rovina il sonno. Vi pare normale? Preveniamo l’obiezione: seguendo questo ragionamento, allora potrebbero andare alle urne anche gli immigrati che lavorano nel Belpaese ma non hanno la cittadinanza. Obiettiamo.
Loro devono anche dimostrare di volersi integrare in una società, come chi v’è stato immerso per generazioni. Insomma, la storica battaglia di Mirko Tremaglia – ministro per gli italiani all’Estero dal 2001 al 2006 – ha prodotto una legge magari romantica, ma che non sta in piedi. Segnaliamo altre falle. Chi è al governo sembra facilitato dall’avere sottomano gli indirizzi degli aventi diritto, preziosi per la propaganda. Preziosi come i quattrini (ne servono tanti per girare il globo) e l’appoggio di sindacati e associazioni. Non si può scherzare. Il peso dei suffragi che piovono da oltreconfine può essere decisivo: nel 2013, il Pd è diventato così il primo partito. Beffando Grillo. Alcuni illuminati, a partire da Giorgio Napolitano, si sono interrogati sul diritto di voto. Commentando la vittoria di Donald Trump negli Usa, il presidente emerito l’ha definita «tra gli eventi più sconvolgenti della storia del suffragio universale».
E il vicedirettore della Stampa Massimo Granellini, già nel 2011, si sfogava in prima pagina suggerendo «un esame preventivo di educazione civica» prima di far accedere al seggio la zia Maria. Ma nessuno – nemmeno i Napolitano e i Gramellini – ha suggerito di cancellare questa faccenda del voto all’estero, anche se gli Esposito di Brooklyn o i Pillon di Buenos Aires probabilmente non conoscono Cuperlo o Brunetta meglio dei Brambilla che soggiornano ad Agrate.
I quali Brambilla magari tifano per Grillo o per Salvini e si beccano degli ignoranti dai Napolitano e dai Gramellini. Ecco, diciamo queste cose consapevoli che – proprio per il voto degli italiani all’estero – almeno ci siamo ritrovati con personaggi del calibro di Antonio Razzi: passato da Di Pietro a Berlusconi, è diventato famoso per le imitazioni di Crozza e per il feeling con la Corea del Nord. Ormai è un’autorità, il salvagente per chi ha poca fantasia ma tanta voglia di vomitare contro la Casta. Però, ecco, esserci ritrovati col simpatico Razzi non ci sembra un motivo sufficiente per tenere in vita questa norma.

Legge da difendere, condividiamo storia e valori. Meglio loro degli immigrati
di Andrea Tremaglia
Non sono d’accordo con l’abolizione del voto degli italiani all’estero, storica battaglia di mio nonno Mirko. Spiego la mia posizione con quattro argomenti principali. Primo. La modalità di voto. Sì, è senz’altro da rivedere. Il voto postale porta più facilmente di altri a brogli e sospetti, ed è frutto di un compromesso sbagliato. Oggi si può parlare di voto elettronico, ma si aprono altre questioni.
Forse la scelta di maggior garanzia sono i seggi elettorali in consolati e ambasciate: per qualcuno potrebbe essere logisticamente scomodo, ma aiuterebbe ad avere maggiori garanzie. È una questione da affrontare urgentemente. Secondo argomento. Parlo della questione del «non sanno nulla di quello che succede in Italia».
Mi ricorda l’opinione di certi radical chic che dicono che chi non vota come loro è ignorante. Gran parte degli elettori esteri oggi sono in Europa, molto vicini a casa, ragazzi che per studio o per lavoro lasciano l’Italia, senza rompere i legami. Le liste parlamentari estere sono diventate l’appendice dei partiti nazionali, ma mio nonno invece sognava liste elettorali esclusive per l’estero che rappresentassero in Italia le questioni estere. E implementare i rapporti con l’Italia dei milioni di imprenditori, politici, artisti, di origine italiana, porterebbe un indotto culturale ed economico incredibile per la nostra nazione. Terzo argomento.
Questione tasse. Dire che gli italiani all’estero non devono votare perché non pagano le tasse in Italia significa introdurre un principio molto pericoloso. Togliamo il diritto di voto ai nullatenenti? Diamo un diritto di voto superiore a chi ha dichiarazioni dei redditi più alte? Permettiamo di votare anche ad aziende e banche perché producono reddito? Alla rovescia: diamo il diritto di voto a tutti gli stranieri che pagano le tasse? Se gli italiani all’estero non possono votare perché non pagano le tasse in Italia, allora le «risorse» boldriniane possono votare appena iniziano a pagare le tasse?
Sostenere il voto degli italiani all’estero significa sostenere che essere italiani non è solo una condizione economica, ma soprattutto culturale e identitaria. Quarto argomento. Essere cittadini italiani. Oggi il mondo, circa il principio della cittadinanza, è diviso in due. Quelli dello ius soli (basta nascere in Italia per essere italiani) e quelli dello ius sanguinis (per essere cittadini bisogna avere origini italiane). Basta vedere chi sono gli sponsor dello ius soli per comprenderne i rischi: dire che gli italiani all’estero non possono votare perché non risiedono in Italia significherebbe segnare un gol clamoroso a favore dello ius soli.

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