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A Bergamo Arte Fiera omaggio a Cesare Benaglia

L'edizione 2016 di Bergamo Arte Fiera rende omaggio a un artista di grande significato per il nostro territorio, che molto ha fatto nel segno dello "spirito dei luoghi" di Bergamo e provincia.

L’edizione 2016 di Bergamo Arte Fiera rende omaggio a un artista di grande significato per il nostro territorio, che molto ha fatto nel segno dello “spirito dei luoghi” di Bergamo e provincia.

L’arte di Cesare Benaglia, che nasce dal bosco e dal fiume, dalla natura e dal tempo, ottiene la centralità che merita nello spazio dedicato agli artisti bergamaschi di rilievo, così come è stato nel 2015 per Mario Cornali e, negli anni precedenti, per artisti come Pipi Carrara, Dietelmo Pievani, Paolo Ghilardi, Rino Carrara.

L’allestimento stupirà chi non conosce Benaglia, ma forse anche chi ha confidenza con la sua arte. L’impatto è scenografico per misura e per concept e si sviluppa come una narrazione bio-artistica tra materialità e metafora, tra racconto del reale e visione dell'”oltre”.

Sul lato sinistro della sala campeggia un lavoro di circa dieci metri di lunghezza, una struttura modulare che lo scultore ha voluto intendere, tra serietà e ironia, come omaggio a Piero Manzoni, quello della “Merda d’artista”.

Con la tecnica della “tarsimia”, come l’ha battezzata Benaglia, che consiste nell’assemblare trucioli e materiali di scarto del processamento del legno e delle sostanze organiche prodotte da larve e insetti, l’opera cresce a parete a partire da riquadri di 12 per 12 centimetri intorno al “seme d’artista”, emblema della forza ceratrice dell’uomo e dell’energia primigenia della natura.

Non mancano, in questo lavoro, elementi di “fuoco”, recuperati dagli scarti di fonderia come le terre usate per fondere nella staffa, e naturalmente tracce del legno dei boschi dove l’autore è nato, evocazione a lui cara dell’anima delle cose.

Ogni elemento che Benaglia tratta, proveniente da tronchi secolari, radici, cortecce, resine, segature, ha caricato energia a seconda dei luoghi cui è appartenuto e dell’utilizzo che ha subito.

E’ il caso anche delle opere esposte sul lato destro della sala, dipinti a olio e sculture, di cui tre sono un riferimento esplicito al mestiere del falegname, che Benaglia ha svolto agli inizi della sua carriera lavorativa. La pratica è quella del riuso di materiale di scarto della falegnamera proveniente da alberi che sono stati insabbiati a lungo nel fiume Brembo: i trucioli di questi relitti di natura conferiscono alle opere, oltre a un’aura di sacralità, dei colori unici e irripetibili.

In fondo alla sala, a “chiudere” la scena, una porta luminosa cui fa da contrasto, a terra, un parallelepipedo.

“E’ una struttura significativa della mia bara quando sarò morto”, spiega l’artista, “è formato da tarsimi di 15 centimetri e diverse misure con elementi naturali e trucioli del legno sepolto nel Brembo”.
L’intero allestimento, quindi, è concepito sull’idea di tunnel e di viaggio. Visitare la mostra, insomma, come muovere un passo dopo l’altro nel bosco, come attraversare l’esistenza per giungere infine a una soglia di luce. La natura è sovrana, messaggera di storie sopite, mai spente del tutto, e accompagna l’artista e il pubblico attraverso le tessere di un originale mosaico, testimonianza poetica, ma a volte anche impietosa, del lavoro del tempo e delle scelte operate dall’uomo.

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