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La ricorrenza

Il 4 Novembre: quella vittoria dell’Italia che non sappiamo festeggiare

Il professor Marco Cimmino ci spiega perché è importante festeggiare il 4 Novembre. Una festa nazionale che ha perso il suo smalto, ma ha un valore storico importante per il nostro Paese.

Fino al 1977, il 4 novembre era una data di formidabile popolarità, presso gli studenti, da sempre inclini a celebrare con particolare entusiasmo quei fasti patriottici che convivano con una sospensione delle lezioni.

Nel 1977, in un clima di austerity e di revisione dei criteri fondanti dell’identità nazionale, l’anniversario della vittoria venne declassato da giorno festivo a ‘festa mobile’ e, da allora, si è celebrato ogni prima domenica di novembre, mutando anche denominazione e diventando la festa dell’unità nazionale e delle Forze Armate. Il che, anche se spiegabile in un contesto di antimilitarismo un po’ pacifondaio, ad uno storico non può non apparire qualcosa di molto simile ai cavoli a merenda.

Tuttavia, sia pure in forma attenuata, il 4 novembre rimane una ricorrenza importante: vediamo, quindi di spiegare cosa si ricorda esattamente in questa data. Non la fine della prima guerra mondiale, tanto per cominciare: il conflitto si concluse, in realtà, una settimana dopo, l’11 novembre alle 11 del mattino, con l’armistizio di Compiègne/Rethondes, che pose fine alle ostilità su tutti i fronti.

Il 4 di novembre coincise, invece, con il cessate il fuoco sul fronte italo-austriaco e, perciò, esattamente con la vittoria italiana sull’esercito imperiale. Nemmeno con l’armistizio vero e proprio, in realtà, che venne firmato, dopo un lunghissimo tira e molla da parte italiana (gli emissari austriaci si erano presentati alle linee italiane di Serravalle all’alba del 29 ottobre), il giorno precedente, alle 15.20, a Villa Giusti, a Padova, con un’entrata in vigore posticipata di 24 ore, per permettere agli Italiani di conquistare quanti più territori possibile, nella loro avanzata, e di porre, per così dire, le altre potenze di fronte al fatto compiuto.

Nel frattempo, infatti, le truppe italiane stavano dilagando verso nord, dopo la vittoria di Vittorio Veneto, mentre i reparti AU si arrendevano o continuavano disperatamente a resistere, a macchia di leopardo, e l’impero si sfaceva sotto i colpi dei diversi nazionalismi. In quella situazione caotica, con i vincitori che avanzavano, i vinti che fuggivano, i prigionieri liberati che scendevano lungo le valli, in un disordine indescrivibile, tra entusiasmi e sparatorie, il comando italiano guadagnava tempo, per evitare che l’armistizio cogliesse il nemico ancora sul territorio nazionale: cosa che avrebbe di molto diminuito il valore della vittoria sul piatto delle trattative diplomatiche sui nuovi confini nazionali. Eppure, vittoria fu: una vittoria piuttosto netta e quasi inimmaginabile, se si pensa a come era ridotto il regio esercito soltanto un anno prima.

Vittoria tutta italiana: quella del contributo fondamentale degli alleati, tanto nella battaglia d’arresto sul Piave e sul Grappa, quanto nell’offensiva dell’ottobre 1918, è pura fantastoria, creata ad arte dall’Intesa per sminuire il valore dell’apporto italiano alla causa, e fatta propria dai soliti autolesionisti, che da noi non mancano mai. Oggi, quella vittoria sembra valere ancor meno di quanto valse a Versailles: anzi, non si festeggia più come tale, ma come giornata dell’unità nazionale (che non ha alcun senso, calendario alla mano) e delle Forze Armate, che non hanno niente a che fare con quell’esercito di popolo e con la sua tradizione. Ma tant’è: questa è la storia del 4 novembre. In Gran Bretagna o in Francia, l’11 novembre è la festa della vittoria, invece: ma, si sa, loro hanno un’idea piuttosto diversa dalla nostra di amor di Patria.

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