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L'opinione

Il Nobel a Bob Dylan ovvero, le canzoni sono letteratura

Quel premio non è dato ai testi di Dylan: testi ribelli, intriganti, poetici, innovativi, splendidi... Quei versi da soli non bastano: è con la musica che si svelano nella loro completezza

Quel 16 giugno 2008 Bob Dylan faceva risuonare la sua voce nasale inconfondibile al Lazzaretto. E Bergamonews emetteva i primissimi vagiti. Sì, il nostro quotidiano è nato proprio nel giorno del concerto bergamasco del nuovo Nobel.

Ma non è solo per questo che il premio al menestrello (nel giorno in cui su è spento un giullare, Dario Fo), mi riempie di gioia. E’ perché da anni attendevo la giornata della premiazione dedicata all’arte letteraria sperando di sentire pronunciare quel nome. Quel nome che, non appena scandito, ha fatto esplodere la platea di Stoccolma in un boato di consenso: forse non ero l’unica a sperare.

A sperare, convinta che Dylan meritasse di entrare nell’Olimpo di Stoccolma, pur non essendo uno scrittore (non ha certo conquistato il Nobel per il suo sperimentale libro Tarantula).

Una speranza alimentata dal cuore? In parte.

Decenni fa Robert Allen Zimmerman mi è entrato sottopelle, con la sua chitarra, la sua voce, la potenza dei brani, dalle invettive contro i padroni della guerra ai soffi del vento verso la pace…

E poi negli anni questa presenza si è rafforzata attraverso la sua voglia di libertà, la libertà di fare scelte sorprendenti. Le fughe continue dall’incasellamento, le rivoluzioni che spiazzavano proprio chi lo esaltava. Il suo rimettersi in gioco e ricominciare nel preciso istante in cui il pubblico stravedeva per il nuovo mito del rock. Il passaggio da cantore folk a elettrico ribelle, la svolta religiosa, il tradimento delle sue hit nelle esibizioni dal vivo. Il neverending tour, concerti live senza fine contro ogni regola dello show business.

Eppure il mio desiderio di vederlo appuntarsi l’ambita medaglia non è solo sentimentale.

In quel premio leggo una rivoluzione nel significato di letteratura, un aggiornamento, un ampliamento. Un coraggioso abbandono dei cliché.

Perché quel premio non è dato ai testi di Dylan: testi poetici, intriganti, visionari, innovativi, splendidi… su cui si accaniscono da sempre critici e specialisti con analisi e contro-analisi, con elucubrazioni e rimandi.

Si accaniscono sì, senza arrivare mai al vero senso dell’ineffabile brano. Perché quei versi da soli non bastano. Si possono leggere e studiare, reggono in qualche modo, ma è con la musica che si svelano nella loro completezza. E’ con la musica che emozionano e raccontano.

E’ in quell’abbraccio riuscito di parole e note che si affaccia l’arte.

Ed è proprio questo che ha sancito l’Accademia norvegese: le canzoni possono essere letteratura.

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