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Ottant'anni

Gli auguri di Gori a Berlusconi: “Il Cav, opportunità perduta per l’Italia” video

Ottant’anni sono un bel traguardo. Silvio Berlusconi li raggiunge oggi, 29 settembre. C’è un uomo che con l’imprenditore di Arcore ha lavorato fianco a fianco per 16 anni. Forse gli anni cruciali di un’impresa televisiva – Fininvest – che ha prima cambiato il costume degli Italiani e dalla quale è nato un partito – Forza Italia – che ha governato il Paese per quasi un ventennio. È Giorgio Gori, attuale sindaco di Bergamo per il Partito Democratico.

Sindaco Gori, iniziamo dagli auguri a Berlusconi che oggi taglia il traguardo degli 80 anni. Che cosa augura all’ex premier?
“Berlusconi ha avuto una vita meravigliosa, con tante vittoria, qualche sconfitta, alti e bassi. Una vita pienissima e piena di affetti familiari, una fortuna che non tutti hanno. Gli auguro di festeggiare senza troppi politici attorno e di trovare serenità e salute anche nei prossimi anni. Gli auguro anche di designare qualcun altro che gli succeda nella sua area politica”.

Chi è Silvio Berlusconi per lei?
Faccio una premessa: io gli sono molto grato e l’ho molto apprezzato come imprenditore. Nel 1989, io avevo 29 anni, e nelle mie mani consegnò una responsabilità grandissima: la direzione delle sue tre reti televisive. Io non avevo raccomandazioni o spinte. Ma Berlusconi da imprenditore non ha mai ragionato con questa logica, dava spazio a chi credeva avesse talento. Anche a persone completamente diverse da lui”.

Molta gratitudine all’imprenditore. È così anche il giudizio politico su Berlusconi?
“Il giudizio come politico è molto diverso. Ho visto cambiare il suo ruolo da imprenditore a politico, sono passati più di vent’anni, e credo che per il Paese sia stato una grande opportunità politica perduta. Mentre l’esito della sua attività imprenditoriale è agli atti come un successo negli ultimi decenni, penso che, avendo avuto l’occasione di governare in vari periodi, per un ventennio, non sia riuscito a cambiare il Paese. Ha cambiato il linguaggio, ha cambiato lo stile, ma non ha cambiato l’Italia. Quella rivoluzione liberale del 1994 che aveva spinto molte persone ad investire di fiducia questo soggetto politico e lui come persona, nei fatti non si è mai realizzata. Le tasse non sono mai scese, il debito pubblico non è diminuito, non c’è stata più libertà per le imprese: nell’insieme quello che era il manifesto politico di Berlusconi nei fatti non si è mai realizzato”.

Perché un’opportunità perduta?
“Perché ha avuto e raccolto un consenso molto ampio, non solo per sé ma anche per la coalizione che governava. Se avesse avuto un po’ più di coraggio e non avesse governato coi sondaggi sempre sotto gli occhi forse la sua storia politica sarebbe stata diversa. I sondaggi diventano un po’ una prigione, hai un’istantanea ma perdi la prospettiva delle tue scelte che al momento posso sembrare impopolari, ma che si rivelano importanti e determinanti sul lungo periodo”.

Oggi c’è chi accusa Renzi di somigliare a Berlusconi per promesse e scelte. Lei che li ha conosciuti e visti da vicino entrambi che impressione ha?
“La modernità del linguaggio li può rendere simili. Ma hanno poco a che fare uno con l’altro. Secondo me hanno in comune il coraggio per buttarsi. Berlusconi ha avuto coraggio e lo ha fatto per difendere le sue aziende, Renzi ha avuto coraggio per sfidare l’establishment del Partito Democratico. Tra i due trovo anche molte differenze. Renzi corre dritto per la sua linea senza troppe concessioni, anche se ha una maggioranza risicata in Parlamento e deve trovare delle mediazioni”.

Oggi il premier rilancia un must berlusconiano: il ponte sullo stretto di Messina.
“Il ponte di Messina ha stupito anche me. Non ho avuto modo di confrontarmi con Renzi, mi sembra una boutade. Allora con Berlusconi, oggi con Renzi. Poi avrei piacere che qualcuno mi spiegasse bene il progetto e tutti i risvolti economici”.

Il grande imprenditore Berlusconi si butta in politica. Governa alternativamente per quasi vent’anni, subisce molti processi. E alla fine gli viene anche revocata la nomina di Cavaliere del Lavoro. L’Italia è un paese ingrato verso chi la serve?
“Secondo me certi titoli revocati non gli sono stati tolti per capriccio. Berlusconi ha avuto molti nemici. E il suo scontro con la magistratura non è stato certo morbido. Me ne guardo bene dal rifilare nel capitolo di un antagonismo politico sentenze passate in giudicato. Al di là di come sono andati i processi – alcuni sono stati prescritti, in altri è stato prosciolto, in altri ancora condannato – il giudizio storico non cambia molto. Non so se in primavera la Corte Europea lo riabiliterà. Ma credo che sarà interessante leggere le sue occasioni perdute”.

Qual è stato il grande limite di Berlusconi?
“Io l’ho conosciuto in una stagione in cui non aveva necessità di avere vicino persone che gli dessero ragione. Mentre in politica l’ho osservato da lontano e ho visto che aveva costantemente bisogno di circondarsi di persone che gli dimostrassero vicinanza. Credo sia il grande limite della sua seconda vita”.

E basta?

“L’altro grande limite politico credo sia stato quello non di saper designare un successore, ma disegnare una successione. Eppure ha avuto una grande intuizione, fantasia, creatività nel saper far convivere in una colazione di cui era a capo An al Sud e la Lega al Nord. Varie volte ha designato delfini: Gianfranco Fini, Angelino Alfano, ora Parisi, ma non ne ha mai responsabilizzato uno. In questo modo ha intrappolato il centrodestra e indebolito l’antagonista del Partito Democratico. Fosse andata diversamente oggi non avremmo il Movimento 5 Stelle così arrembante. Non capisco perché una sana contesa come è nel centro sinistra con le primarie, non possa avvenire anche nel centrodestra. Un conto era lui al tavolo ad Arcore a capo di un’impresa, era proprietario e decideva, ma in politica questo non funziona”.

Come lo ha conosciuto?
“Ho lavorato per Fininvest, allora non c’era ancora Mediaset come denominazione, dal settembre 1984 fino ai primi mesi del 2001. Per cui sono un periodo piuttosto lungo. Ci sono arrivato un po’ per caso, perché qualche mese prima avevo lavorato con Retequattro, che allora era di Mondadori, e che proprio quell’estate del 1984 aveva messo in vendita. Io avevo un contratto iperprecario. Mi chiamarono da Milano 2 e il direttore Roberto Giovalli mi propose di entrare in Fininvest con un contratto stabile e nella squadra di programmazione di tutte e tre le reti. In quel periodo Berlusconi era ancora saldamente ad occuparsi della sua azienda televisiva, mi ricordo che il mio capo Giovalli andava spesso ad Arcore per parlare di palinsesti. Io ci andai qualche mese dopo. Arcore è sempre stato il cuore della vita imprenditoriale e politica di Berlusconi”.

Villa San Martino ad Arcore, la villa che poi entrò più volte in diverse inchieste.
“Allora Arcore era solo una villa per incontri di tipo professionale. Le riunioni si facevano al tavolo da pranzo che, quando si faceva una certa ora, si riempiva di pizzette e di crodini e aperitivi analcolici, e poi spesso ci si fermava per la cena. C’era una commistione tra la vita privata e la vita imprenditoriale”.

La prima impressione che le fece Silvio Berlusconi.
Mi colpì per la simpatia, per la carica e la cordialità travolgente”.

Raccontava barzellette?
Sì, certo. Ama molto raccontarle, io puntualmente me le dimenticavo”.

Sindaco Gori, lei ci andava spesso ad Arcore?
“Dal 1984 al 1989 qualche volta. Dal 1989, io allora avevo 29 anni, quando Berlusconi decise di affidarmi la programmazione di tutte le reti Fininvest ad Arcore, ci andavo tutti i venerdì alle 14.30. Era un appuntamento fisso e clou della settimana. Erano incontri di vera cordialità segnati da un’assimmetria: lui mi dava del tu, io davo del lei a Berlusconi”.

Fu un rapporto di lavoro felice?
“Fu una collaborazione proficua, non priva di contrasto. Lui era secondo me un capo azienda molto bravo nella scelta delle persone, molto sicuro di sé, affascinato da persone molto diverse da lui. Giovalli, Freccero ed io siamo tre persone completamente diverse da lui, ma lui sapeva trovare per l’azienda quello che era necessario. Con Freccero e Giovalli il rapporto era più stretto e più intimo, nel senso che loro erano quasi di casa. Quasi dei figli. Per esempio, Giovalli mi raccontò che quando Berlusconi anni prima lo assunse, alla fine del colloquio lo mandò dal sarto a rifarsi le giacche”.

Con lei Berlusconi non si è mai permesso di mandarla dal sarto?
“No, mi vestivo meglio”.

Quindi il rapporto di Berlusconi con Freccero e Giovalli era un po’ osmotico? E con lei invece?
“Il loro rapporto era di amore e odio, sentimenti che io non ho mai provato verso Berlusconi. Non sono mai stato rapito da Berlusconi, né tantomeno ho provato antagonismo. Il nostro rapporto è stato più equilibrato e professionale. Anche se non mancavano discussioni”.

Ce ne racconta uno?
“Un anno decisi di non programmare il varietà il sabato sera non avendo proposte forti, in alternativa programmai dei film avendo un buon catalogo. Lui non concepiva questa scelta. Fu una discussione che andò avanti per mesi”.

E come finì?
“Facemmo come dissi io. Allora il ruolo di direttore di rete era vero. Oggi hanno meno autonomia rispetto ad allora. Berlusconi era uno che si fidava dei collaboratori che sceglieva”.

Lei divenne direttore delle tre reti Fininvest nel 1989. Nel 1992 scoppia il caso Tangentopoli. Ci racconta quegli anni? 
“Tutta la stagione di Tangentopoli venne seguita dalle reti Fininvest che cavalcavano l’onda di denuncia dando ampio spazio anche nei telegiornali. La classe politica di allora, Craxi prima di tutto e poi la Democrazia Cristiana, avevano assicurato a Berlusconi una certa tutela delle sue aziende. Con Tangentopoli queste condizioni vennero meno. Allora corse ai ripari e parlò con Mario Segni e poi con Mino Martinazzoli, finché si convinse che lo faceva lui o non avrebbe più avuto nessun tipo di tutela. Si deve aggiungere che nel 1993 ci fu un’ondata di sindaci di sinistra. Fu così che decise di entrare in politica. Un’idea e una scelta avversata da tutti noi, da Federico Confalonieri a Gianni Letta, che erano le persone più esposte sul fonte politico, fino a Mentana, Costanzo e me che temevamo il rischio enorme per l’azienda”.

Quale rischio? Che cosa temevate?
“Prima di tutto eravamo convinti che avrebbe perso. Poi temevamo le conseguenze negative che questa sua scelta avrebbe portato all’azienda. Ci furono delle discussioni sulla naturale tendenza ad abusare il mezzo televisivo e lì ci fu il vero scontro”.

Non fece pressioni?
“No. Non ha mai cercato di farmi cambiare idea in politica, su alcune forzature del modo di usare la sue televisioni ho avuto da dire e ci siamo scontrati. Una volta vinte le elezioni nel 1994 la nostra frequentazione settimanale ad Arcore è finita”.

Berlusconi impreditore di successo si butta in politica nel 1994. Gori, manager e imprenditore televiso di successo decide di impegnarsi in politica.  Non c’è un parallelo?
“Capisco il parallelismo, ma io ho fatto una scelta di impegnarmi in politica 17 anni dopo la discesa in campo di Berlusconi e non ho e non avevo tre reti televisive”.

Entrambi uomini di televisione che si danno alla politica…
“Chi fa televisione è costantemente esposto a registrare i desideri, i gusti delle persone in cui vivi. Solo due cose hanno un audience così ampia: una è la politica nelle elezioni a livello nazionali e l’altra è la televisione, il broadcasting che ogni giorno arriva a decine e decine di milioni di persone. Per cui, chi affina una sensibilità verso il pubblico nel fare televisione, secondo me qualcosa impara anche rispetto a come funziona la politica. Soprattutto se Berlusconi intende la politica molto vicina al marketing. Detto questo abbiamo due storie diverse. Lui si è impegnato in politica a salvaguardia delle sue aziende. Poi il successo lo tonifica, gli fa immaginare una nuova vita come uomo di Stato fino a quando lui stesso arriva a definirsi ‘unto del Signore’ e matura così un’idea diversa”.

E perché Gori, manager televisivo di successo,decide di impegnarsi in politica?
“Io ho deciso molti anni dopo Berlusconi e non avendo nulla da difendere. Anzi facendo un cambiamento netto. In questa parte della mia vita posso fare qualcosa di utile per me, per la mia famiglia e per la città in cui vivo”.

Abbiamo iniziato con l’augurio. Chiamerà al telefono Berlusconi per gli auguri di buon compleanno?
“Magari recupero il numero di telefono di Arcore. Anche se non sarà facile”.

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