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L'intervista

Emanuele e il frigo nella giungla del Camerun: “In cambio ho imparato a vivere più leggero” fotogallery video

Emanuele Minicuci, 24enne di Redona, ha regalato agli abitanti di un piccolo villaggio del Camerun un frigorifero fotovoltaico che cambierà per sempre il loro modo di vivere: "Loro mi hanno insegnato ad affrontare tutto con il sorriso, con meno preoccupazioni".

In una decina di giorni con il progetto SPARK ha regalato agli abitanti di un villaggio sperduto nelle giungla del Camerun un frigorifero ad energia fotovoltaica della capacità di mille litri che gli permetterà di stoccare cibo e di conservare medicinali ma, forse, quello che Emanuele ha riportato a casa è perfino più prezioso.

Partito il 23 luglio da Linate, il 24enne di Redona è arrivato non senza difficoltà, passando per Parigi, all’aeroporto di Douala: poi in pullman verso Bangang, tappa finale del viaggio. Il suo ruolo era quello di dare supporto a Claudio Del Pero, docente di fisica tecnica del Politecnico di Milano e coordinatore del progetto finanziato tramite il programma  “Polisocial” del Politecnico stesso. Il progetto SPARK ideato da un team di lavoro del Politecnico (Claudio Del Pero, Maddalena Buffoli, Luigi Piegari, Federico Butera, Chiara Tognolo, Maria Pilar Vettori) è stato quindi sperimentato e realizzato in un villaggio del Camerun grazie alla collaborazione con l’ONG ACREST, attiva sul campo.

Emanuele, siete andati in Camerun con un obiettivo ben preciso: siete riusciti a realizzarlo?

Nonostante qualche problema con il visto ce l’abbiamo fatta (ride ndr): a Nord, al confine con la Nigeria, ci sono stati problemi legati al terrorismo e a dividere i due Paesi c’è solo la savana. Noi andavamo proprio in quella direzione e i controlli all’aeroporto sono stati severissimi, per poco non ci rimandavano in Italia. Siamo riusciti nel nostro intento: costruire un modulo frigorifero utilizzando esclusivamente il bamboo locale, sia per l’involucro che per l’isolamento.

Gli abitanti come vi hanno accolti?

Erano stati avvisati del nostro arrivo, erano consapevoli di quello che avremmo portato al villaggio: erano molto curiosi, sono venuti in falegnameria a vedere come lavoravamo e ci hanno ringraziato in continuazione. Hanno capito che eravamo lì per loro, per migliorare il loro stile di vita e ricambiavano in ogni modo.

Ad esempio?

Al nostro arrivo ci siamo buttati subito a capofitto nel progetto e loro hanno fatto di tutto per facilitarci il compito: hanno rifatto i vialetti che percorrevamo ogni giorno da casa al lavoro, le donne cucinavano per noi e ci facevano trovare pasti caldi al termine di ogni turno. Mangiano esclusivamente ciò che coltivano o allevano, una dieta a chilometro zero: riso, pollo, patate e mais, il tutto arricchito dalle spezie. I bambini all’inizio erano titubanti, ci guardavano come se non avessero mai visto un bianco: una volta che ci siamo avvicinati e gli abbiamo dato confidenza si sono divertiti un mondo con noi.

Tre di loro, giovanissimi, vi hanno aiutato nella costruzione: come vi siete capiti in officina?

Un po’ a gesti, un po’ in un inglese stentato: hanno osservato con attenzione ogni nostra mossa, erano molto interessati soprattutto alla tecnologia. Sono tutti studenti di impianti e hanno imparato velocemente: sulla parte di falegnameria, poi, erano dei maestri. A loro volta, infatti, ci hanno insegnato come trattare al meglio il materiale: avevano un modo tutto loro per ricavare i vari pezzi da ogni tronco di bamboo e, nonostante avessimo portato sei chili di chiodi per fissare le varie parti del frigorifero, ci hanno convinto che era meglio utilizzare quelli che uno di loro intagliava su misura dagli scarti di corteccia.

Emanuele e il frigo in Camerun

Ora toccherà a loro costruire i prossimi e contribuire alla crescita del villaggio.

Esattamente, sanno come farlo e possono trasferire le stesse competenze ad altri giovani: noi siamo ripartiti per l’Italia con il frigorifero completo al 95%, loro lo hanno portato a compimento. Hanno anche chiamato un esperto del bamboo per farlo rivestire e renderlo bello anche alla vista. Il prossimo sarà costruito per la residenza del re che, ci ha confidato, nonostante sia l’unico ad avere la corrente elettrica questa non è continua come vorrebbe e spesso il cibo va a male.

Frigo

Come è stato l’incontro con lui?

Per lui è buona prassi incontrare tutti gli stranieri che arrivano sulla sua terra: quel giorno era molto stanco ma allo stesso tempo era interessato al nostro progetto. Abbiamo atteso qualche ora fuori dalla sua residenza prima di accedervi: era l’unica costruzione in marmo, con lampadine a led e tre troni, due di legno con pelle di ghepardo e uno d’oro. È stata un’esperienza unica: portava sul capo una corona di aghi d’istrice e suscitava grande rispetto. È stato appena nominato dopo la morte del padre che ora è sepolto nella foresta sacra dove nessuno, ad eccezione del sovrano e dei suoi saggi, può entrare. Con noi è stato amichevole, aveva voglia di conoscere e migliorare il suo paese: al termine dell’incontro mi ha regalato un machete, segno di riconoscenza per il lavoro svolto per la sua gente.

Emanuele e il frigo in Camerun

La vita al villaggio come è stata?

Ad essere onesto i primi giorni non sono stati semplicissimi: la nostra casa non aveva vetri ma solo il minimo indispensabile, eppure era la più bella del villaggio. Ogni tanto si infiltrava qualche animale strano e il mio materasso era la tana di un topolino. Ci hanno consigliato di tenere chiuse persiane e porta, per evitare che entrassero animali: io pensavo di dover fare i conti con qualche insetto, invece loro intendevano le galline che provavano in tutti i modi a infilarsi tra le grate di ferro delle finestre. Il primo giorno sono stato malissimo per aver bevuto un dito, non di più, di acqua del fiume: avevo dimenticato la mia bottiglia d’acqua sul bus che ci aveva portati a Bangang e un abitante del villaggio me ne ha portata altra, dicendomi che aveva imparato a filtrarla da un canadese. Per loro è buonissima ma ormai sono abituati, per me l’effetto è stato parecchio negativo.

A loro il frigorifero cambierà la vita: a te il viaggio in Africa cosa ha dato?

Mi hanno insegnato a guardare l’essenziale e a riflettere si me stesso e sulle persone che mi circondano: vivo molto più leggero, con meno preoccupazioni. Lì tutti dimostrano almeno 10 anni di meno di quelli che in realtà hanno: loro dicono che è dovuto al fatto che i loro cibi non contengono sostanza chimiche ma in realtà è il loro stile di vita a renderli giovani. Mi mancherà il loro modo di vivere, la loro spensieratezza, il loro sorridere nonostante non abbiano nulla e di fronte ai mille problemi giornalieri.

Emanuele e il frigo in Camerun

In futuro ti piacerebbe ritornare?

Vorrei tornare a dicembre per costruire insieme a loro il frigorifero del re e per inaugurarlo insieme a tutto il villaggio ma non so se i miei impegni me lo consentiranno. Per me il Camerun era un tirocinio importante, ora continuerò a sviluppare questa sinergia tra architettura e botanica anche qui. Penso che un’architettura più sostenibile, utile e armonica con il paesaggio vada a beneficio di tutti: mi piacerebbe trovare uno studio con una componente “green” che possa essere interessato a questa fusione tra bello e sostenibile, da applicare a case, balconi, giardini o verde verticale.

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