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Ex scorta a Falcone e poliziotto a Bergamo: “Ora vivo con 375 euro al mese”

Ivg.it ripercorre in un'intervista la storia di Walter Cucovaz, ex agente della Polizia di Stato passato anche da Bergamo, poi colpito da depressione e oggi costretto a vivere con 250 euro ogni 20 giorni

Da giovane ha fatto la scorta ai magistrati Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, di cui ricorre lunedì 23 maggio il 24esimo anno dal suo assassinio. E’ poi passato anche da Bergamo, dove ha collaborato con la polizia penitenziaria durante i vari processi alle Brigate Rosse. Ivg.it ripercorre in un’itervista la storia di Walter Cucovaz, ex agente della Polizia di Stato, poi colpito da depressione e oggi costretto a vivere con 250 euro ogni 20 giorni, 375 euro al mese.

Cucovaz oggi vive a Savona, in un condominio proprio sopra lo stadio di Legino, dopo anni in giro per l’Italia per servizio. Anni di lutti, di colleghi uccisi o suicidati, di uno stress insostenibile che lo ha portato all’alcolismo e a una lunga e inesorabile crisi depressiva che ne ha minato le facoltà, fino alla situazione odierna. Da sei anni, infatti, l’ex poliziotto ha un amministratore di sostegno che ne gestisce le finanze, e può spendere solo 250 euro al mese. “Nonostante un conto corrente pienamente in positivo, vivo in una casa piena di danni – racconta – ho la lavastoviglie rotta, sono costretto a girare le manopole del gas con le pinze. Ho la tenda del balcone strappata e d’estate non posso farmi ombra. Sono piccoli problemi quotidiani, che però non posso risolvere se non abbassandomi ogni volta a chiedere al mio amministratore”. Piccolezze che intaccano però la dignità e che, in una persona già depressa, rischiano di diventare montagne: “Se non fosse per un mio amico l’avrei già fatta finita“, confida Walter.

Una storia malinconica, la sua, che emerge proprio nel giorno del 24° anniversario della strage di Capaci nella quale, il 23 maggio 1992, perse la vita Falcone. Cucovaz, all’epoca giovane poliziotto fresco di studi, racconta di aver lavorato come scorta per lui e Borsellino: “Sono stato addestrato al Pol.G.A.I. di Brescia al reparto scorte. Ho conseguito le specializzazioni in guida veloce, karate, judo, tiro al bersaglio ed addestramento specifico alla protezione delle persone, e nel 1983, all’età di 22 anni, mi hanno destinato a Palermo in servizio effettivo, inserito nella fase di protezione dei magistrati Falcone e Borsellino. Prima dell’attentato di Capaci io e i miei colleghi provvedevamo alla sicurezza dei due magistrati”. Solo un caso, spiega, gli ha salvato la vita: “Per via dei turni il giorno della strage ero in servizio al Tribunale, dove smontai alle 7 del mattino. Alle 16 mi avvisarono della strage”.

Un lutto che lo ha segnato profondamente, tra il dolore per la morte dei colleghi e la terribile consapevolezza che avrebbe potuto toccare a lui. “Da allora cominciai a subire forti traumi depressivi – ricorda – e mi trasferirono a prestare servizio nella città di Bergamo, come supporto alla penitenziaria durante i vari processi alle Brigate Rosse. Poi sempre in servizio protezione, come ai vari summit dei capi di stato a Venezia; e successivamente in protezione dell’allora presidente di Confindustria Pininfarina, che possedeva una proprietà a Garlenda vicino Albenga”.
In quegli anni Walter è in coppia con un collega, l’assistente capo Marco Cavazzoli. I due diventano molto amici, ma una nuova tragedia è dietro l’angolo: “Improvvisamente, senza avvisaglie, Marco si suicidò con l’arma di servizio nella vecchia Questura di Savona”. All’epoca circolarono diverse teorie: quella di un incidente, quella di un suicidio per questioni amorose e quella che alla base dell’insano gesto ci fosse uno stress eccessivo. “Per me fu difficile gestire questo fatto – ammette Cucovaz – Marco era il mio migliore amico“.

Nonostante questo l’assistente capo Walter Cucovaz continua il suo lavoro con impegno: numerosi gli encomi che ne attestano il quotidiano coraggio, l’ostinazione con cui cerca di non arrendersi al baratro. Due gli eventi che fanno definitivamente precipitare la situazione: la pensione e, nel 2006, la morte del padre, anch’egli ex poliziotto (di cui Walter aveva seguito le orme). “Rimanendo solo ho iniziato ad abusare fortemente di alcolici, per non pensare – si sfoga il poliziotto – Sono stato ricoverato diverse volte nel reparto psichiatrico di Valloria. Mi hanno mandato in una clinica per disintossicarmi, ma io volevo morire… e quindi me ne andai volontariamente. Allora, nel 2010, il giudice ha deciso di affidarmi ad un amministratore di sostegno, e da lì ho iniziato gradualmente a perdere la mia dignità. In tutti i sensi”.

Un solo appiglio negli ultimi anni ha trattenuto Walter dal gesto estremo: “Per fortuna ho conosciuto un vero amico, che mi sta aiutando in tutto e mi ha ridato voglia di vita – confida – Ma ora non riesco più a riprendermela”. Il fardello rappresentato dall’essere “gestito” da un amministratore si sta rivelando troppo grande per una persona così fragile e provata. La richiesta è semplice: “Questi 250 euro che mi permettete di prelevare dal mio conto ogni 20 giorni… fate in modo che avvenga almeno in automatico, senza che sistematicamente ogni volta debba abbassarmi a chiamare lo studio dell’avvocato, sentendomi rivolgere frasi che urtano la mia sensibilità ed emotività, e che non posso più continuare ad accettare. Lasciatemi almeno l’illusione di una vita normale“.

A scoprire la storia di Walter è stato, ancora una volta, il Gruppo Antipolitico Savonese, che da tempo ormai lotta quotidianamente per aiutare le persone che hanno subito i rovesci della vita. “Da quando come gruppo abbiamo deciso che la solidarietà è primaria per questa società priva di valori, siamo entrati in contatto con le realtà più disparate, con problemi quasi insormontabili – racconta il portavoce, Ned Taubl – Dare voce e speranza a queste persone ci riempie il cuore di orgoglio, e vedere nuova luce nei loro occhi soltanto perché qualcuno li ascolta fa venire il magone. Spesso ci assale un senso di frustrazione – ammette – siamo semplici cittadini, con i nostri problemi. Ma ci prendiamo anche i loro. Con una catena di solidarietà e di collaborazione si riesce a dare voce a queste anime ferite”.

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