Ogni anno l’associazione culturale The Blank Contemporary Art organizza The Blank ArtDate, un appuntamento della durata di tre giorni dedicato all’Arte Contemporanea ed animato da numerosi eventi fra cui mostre, studio visit, talk, apertura di dimore storiche e collezioni private.
La sesta edizione di ArtDate (13 – 14 – 15 maggio) è contraddistinta dalla creazione di un percorso narrativo fra uno spazio espositivo e l’altro. Minimo comun denominatore “Il castello dei destini incrociati”, breve romanzo fantastico di Italo Calvino pubblicato nel 1969 nel volume “Tarocchi – il mazzo Visconteo di Bergamo e New York” e illustrato tramite la carte dei tarocchi di Bonifacio Bembo, parzialmente conservate all’Accademia Carrara di Bergamo.
The Blank ha intervistato per Bergamonews Emanuela Daffra, Direttrice dell’Accademia Carrara.
The Blank: I Tarocchi conservati in Carrara costituiscono un caso raro nel loro genere, da un punto di vista stilistico e insieme iconografico. Può spiegarci quale è la tecnica esecutiva utilizzata dal Bembo e dalla sua bottega?
Emanuela Daffra: La carte conservate in Carrara sono rare poiché appartengono ad una famiglia di manufatti d’uso soggetta ad una facile consunzione e, tranne in casi di particolare pregio come questo, non tesaurizzata. Anche la tecnica ne segna la fragilità. Le singole immagini sono infatti realizzate su cartoncino pressato, rivestito poi da un sottilissimo strato di gesso e colla. Su questa preparazione, molto simile a quella di una tavola, il pittore ha steso la foglia metallica dei fondi , poi lavorata con piccoli punzoni a costituire motivi ornamentali geometrici, e infine ha realizzato la parte pittorica con colori a tempera.
TB: Nel suo romanzo “Il castello dei destini incrociati”, Italo Calvino piega l’iconografia dei Tarocchi alle sue esigenze narrative, immaginando storie individuali che nascono all’interno di una situazione comune a tutti i personaggi. C’è un’opera della collezione permanente che sceglierebbe per costruire un dialogo immaginario con il mazzo visconteo o semplicemente con un singolo Tarocco?
ED: Anche di primo acchito me ne vengono in mente almeno due. Il primo è il ritratto di Leonello d’Este di Pisanello. Colto, raffinato, sempre elegantissimo ed aggiornato sulle voghe delle corti di Francia e Borgogna è fratello di sangue del Fante di Denari, con la corta zazzera bionda sotto un immenso copricapo fiammante ed abbigliato del più ricco broccato in circolazione. Uno è un uomo maturo, l’altro un giovinetto e non si fatica ed immaginare il primo che insegna al secondo la vita mostrandogli le pagine illustrate del ‘Lancelot du Lac’. Anche il secondo è un ‘a tu per tu’ e mette di fronte l’Imperatore dei Tarocchi, oppresso dalle falde del cappello e dai drappi dorati, con lo sguardo lontano e il Ritratto di vecchio seduto di Moroni. L’energico vegliardo sospende un attimo la lettura (tiene il segno nel libro ) e fissa con occhio scrutatore e consapevole il suo vago interlocutore. Forse si prepara a un verdetto definitivo: tra i due, il vero sovrano è lui.
TB: Una questione a oggi non ancora completamente risolta riguarda il ruolo dei Tarocchi all’interno della società cortese. Le carte conservate in Carrara presentano specificità tecniche o iconografiche che ci possano dire qualcosa a proposito della loro funzione?
ED: Dagli stemmi disseminati nei luoghi più impensati (abiti, sfondi, armature, semi) sappiamo che il mazzo fu realizzato molto probabilmente per la corte sforzesca , continuando una tradizione che fu dei Visconti. Filippo Maria Visconti, l’ultimo della dinastia, era appassionato di Tarocchi ed aveva inventato una versione del gioco. Si trattava con ogni probabilità della versione colta e di lusso di un passatempo assai diffuso presso tutte le classi sociali, le cui regole ed le cui simbologie ci sfuggono ancora, ma che aveva in origine anche contenuti didattico-morali. Di certo l’uso divinatorio per cui ora vanno celebri è di molto successivo ed è legato alla cultura massonica di fine Settecento.
TB: Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, con una serie di vicende collezionistiche, il mazzo visconteo è stato smembrato e oggi è tripartito tra Bergamo, in parte in Carrara e in parte in collezione privata, e New York, alla Pierpont Morgan Library. In passato, ci sono state mostre in cui l’intero mazzo è stato esposto insieme? Le carte della Carrara hanno preso parte a mostre tematiche di particolare rilevanza?
ED: Dopo l’acquisto delle carte ora in Carrara da parte di Francesco Baglioni il mazzo non è più stato ricongiunto. E’ un progetto sul quale stiamo lavorando e che ArtDate potrà senza dubbio propiziare. Invece, proprio perché il nucleo della Carrara è quello che da più antica data è in mano pubblica (la raccolta Baglioni arrivò alla Pinacoteca nel 1900) le carte bergamasche sono state presentate in mostre memorabili, come Arte Lombarda dai Visconti agli sforza, tenutasi a Milano nel 1958, a testimoniare un prodotto rarissimo e tipico della cultura tardogotica lombarda. Più di recente, nel 2013, sono state esposte alla Pinacoteca di Brera (che possiede parte di un mazzo analogo) in una mostra intitolata “i Tarocchi dei Bembo” che attorno alle carte si proponeva di offrire importanti puntualizzazioni sui Bembo, dalla cui bottega sono probabilmente usciti i mazzi quattrocenteschi più noti.
TB: Ritiene che la tripartizione fisica del mazzo visconteo sia avvenuta casualmente o ci sono particolari ragioni di natura iconografica che hanno mosso le scelte collezionistiche?
ED: E’ difficile dirlo. L’impressione è che almeno inizialmente il nucleo ceduto da Alessandro Colleoni a Francesco Baglioni (quello ora in Carrara) sia stato individuato con l’idea di offrire una campionatura delle diverse tipologie di carte: semi numerali e figurati, trionfi, completamenti tardo quattrocenteschi di Antonio Cicognara, senza impoverire eccessivamente quanto sarebbe restato al proprietario originale. D’altro canto la passione che le fonti coeve raccontano che il conte avesse per questo insieme, il rammarico che sempre poi manifestò per non avere saputo resistere alle insistenze dell’acquirente la dicono lunga sul suo desiderio di mantenere presso di sè un insieme che fosse comunque significativo.
TB: I tre giorni di ArtDate permetteranno di costruire un interessante dialogo tra i vari soggetti che a Bergamo promuovono e coltivano la passione per l’arte contemporanea. Quest’anno agli artisti coinvolti si chiede una riflessione che parte da un’opera antica. Come giudica il rapporto tra arte antica e contemporanea e le possibili declinazioni che tale rapporto potrebbe assumere?
ED: L’arte è contemporanea. Sempre, nel momento in cui, di fronte all’opera, c’è un ‘io’ che osserva. Questo indipendentemente dal fatto che l’opera sia stata realizzata nel XIII secolo, nel XIX o nel XXI. La ‘data di nascita’ di un’opera fa parte della sua storia , ci offre chiavi importanti per capirla ma non la esaurisce. Penso perciò che le riflessioni di chi ora lavora oggi nel mondo della creazione artistica sia importante in primo luogo per restituire al pubblico la consapevolezza che il patrimonio artistico è un ‘giacimento’ dinamico, poliforme e plurilingue. Che aspetta il nostro sguardo intelligente per animarsi.
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