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Bergamo celebra Pietro Bussolo, lo scultore del Rinascimento

Si apre giovedì 28 aprile, alle 18.30 nella Sala delle Capriate del Palazzo della Ragione la mostra "Nel segno del Rinascimento. Pietro Bussolo scultore a Bergamo".

Si apre giovedì 28 aprile, alle 18.30 nella Sala delle Capriate del Palazzo della Ragione la mostra “Nel segno del Rinascimento. Pietro Bussolo scultore a Bergamo“.

Un evento che valorizza il patrimonio artistico del nostro territorio e che accende i riflettori su una personalità riconosciuta tra le maggiori nel panorama della scultura lignea lombarda del Quattro-Cinquecento.
Nato a Milano nel 1460 e morto a Bergamo nel 1526, Pietro Bussolo ha lasciato diffuse tracce del suo operato tra Bergamo, Salò e Brescia: la mostra, che sarà visibile fino al 3 luglio, non è solo la prima monografica che gli è dedicata, è anche la prima esposizione lombarda su un intagliatore, cioè un maestro di una disciplina oggi caduta in disuso, ma un tempo primaria tra le arti plastiche.

C’è stata un’epoca per la “vecchia Europa” in cui la scultura lignea fu il principale veicolo della devozione e della fede cristiana nelle chiese e nei luoghi di culto. Il legno, che si prestava a essere dipinto e decorato meglio di materiali come il marmo o la pietra, e che poteva con agio essere trasportato in processione, era lavorato da veri e propri maestri intagliatori: dalle loro mani nascevano straordinarie ancone, piccoli altari in legno scolpiti e dipinti, polittici a più scomparti, gruppi monumentali, immagini tridimensionali e statue spesso di forte impatto scenografico.

Venne poi la Controriforma, e l’applicazione dei decreti del Concilio di Trento portò alla sostituzione di molte di quelle opere con manufatti in marmo e bronzo, oltre che alla predilezione di pale d’altare che narravano la storia sacra in forma pittorica più vistosa ed esplicita.

In Lombardia, tra le eminenti botteghe specializzate di scultori del legno, come i De Donati e i Del Maino, spicca la personalità di Bussolo e la nostra provincia ne conserva opere notevoli. La mostra, che propone alcuni pezzi tra i più impressionanti per valore artistico e storico, prosegue idealmente anche in città e sul territorio, suggerendo una mappa di percorsi di approfondimento alla scoperta delle opere che non è stato possibile includere a palazzo.

L’allestimento isola in modo spettacolare alcuni lavori, come i Crocefissi di Fontanella al Monte e di Gromo, e altri li mette in dialogo con gli arredi e le suppellettili sacre che contribuiscono a rievocare l’atmosfera spesso carica di apparati liturgici delle chiese. Arazzi, piviali e manufatti tessili cronologicamente coevi, così come due croci astili d’argento della seconda metà del Quattrocento, una di fattura milanese l’altra di un orafo bergamasco, suggeriscono e ricreano col loro fulgore lo spazio della devozione.

La sorte delle ancone lignee e delle loro statue è stata, nei secoli, quella di finire smembrate e decontestualizzate e il comitato scientifico della mostra ha lavorato a lungo per ricostruire alcuni complessi, restituendo l’identità perduta di polittici di tutto rilievo, come il “Polittico di Gandino” (1498-1501), di cui sono andate disperse le sculture del registro superiore mentre le altre, restaurate così da poterne apprezzare l’originaria fattura e i particolari decorativi, ritrovano qui un dialogo a lungo interrotto nel tempo. Non si trattava, è evidente, di scultura minore, ma di un ambito specifico con sue proprie finalità, che aveva all’epoca una committenza di tutto rispetto.

I curatori, Marco Albertario, Monica Ibsen, Amalia Pacia, Maria Cristina Rodeschini hanno sottolineato la proficua sinergia con le istituzioni del Comune e la Diocesi di Bergamo, il cui coordinamento ha reso possibile generosi prestiti, senza dimenticare il supporto della Banca Popolare di Bergamo che ha contribuito all’operazione culturale, ivi incluso un catalogo ragionato con numerosi contributi critici (Lubrina Editore).

Una mostra che potrebbe essere per specialisti ma che la dovizia di spiegazioni rende una mostra per tutti, anche per il ritmo intelligente, pausato, dell’allestimento, che aiuta a guardare ogni singolo pezzo. E ad accorgersi di vere e proprie chicche, come la Madonna con il bambino del Santuario di Nese, la cui raffinata tecnica di sbalzo dà vita ai panneggi e dà verità alle espressioni, con risultati di straordinario naturalismo, in grado di coinvolgere emotivamente i fedeli di un tempo, gli spettatori di oggi.

Orari: martedì-sabato 10-13, 14-18; domenica 10-18 (chiuso lunedì).

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