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Grande Guerra, Pillola 74: Verdun, la battaglia che cambiò la guerra fotogallery

Verdun, da sempre piazzaforte di confine tra il mondo francese e quello germanico, nel 1916 non aveva affatto un’importanza strategica tale da giustificare la sua scelta come epicentro di un attacco tanto colossale.

La battaglia che si combattè intorno a Verdun, tra il febbraio ed il dicembre del 1916 rappresenta il punto di non ritorno della storia militare della prima guerra mondiale: se per durata e distruzioni fu senza dubbio lo scontro più gigantesco di tutto il conflitto, incomparabilmente maggiore fu il peso psicologico e culturale che Verdun esercitò sull’immaginario di una o due generazioni di europei.

Il 10 novembre del 1920, fu in una galleria della cittadella di Verdun che vennero deposte le bare tra cui sarebbe stato scelto il Milite Ignoto da tumulare a Parigi, sotto l’Arc de Triomphe. Nel luglio del 1944, dovendo scegliere un luogo simbolo in cui togliersi la vita (in realtà riuscì, sparandosi, solo ad accecarsi), il generale tedesco Carl-Heinrich von Stülpnagel, coinvolto nel fallito attentato contro Hitler a Rastenburg, scelse proprio Verdun, dove tanti suoi commilitoni erano caduti: fu l’ultima vittima della grande battaglia.

Ancora oggi, la desolata abetaia di Verdun, con il suo fango tenace e i suoi mostruosi ruderi in cemento armato, anneriti e frantumati da milioni di granate, rappresenta un angosciante monumento alla follia umana e alla capacità degli uomini di distruggersi l’un l’altro. E, ancora oggi, Verdun è un campo di battaglia pericoloso, per l’incalcolabile quantità di ordigni inesplosi che giacciono nel suo sottosuolo.

In questo paragrafo, per ragioni di spazio, ci limiteremo a descrivere il contesto della grande battaglia, indicandone gli obiettivi, mentre, via via che ci addentreremo nell’analisi dei fatti bellici dell’anno 1916, esamineremo gli aspetti più specifici delle varie fasi dello scontro.

Cominciamo col dire che la cittadina di Verdun, da sempre piazzaforte di confine tra il mondo francese e quello germanico, nel 1916 non aveva affatto un’importanza strategica tale da giustificare la sua scelta come epicentro di un attacco tanto colossale: ormai, i grandi sistemi fortificati nati nel XVII secolo (erroneamente, si crede che Verdun sia stata progettata dal celebre Vauban, ma non è così) e via via ammodernati non rappresentavano più un cardine efficace per la difesa, sostituiti da un più agile sistema di trincee e fortificazioni campali.

Verdun

Tuttavia, dopo la sconfitta francese nella guerra franco-prussiana del 1870, Verdun venne inserita nel vasto sistema fortificato noto come Séré de Rivières, e fu circondata da una corona di moderne fortezze corazzate, poste diversi chilometri fuori dalla città: questi forti vennero sempre modificati, col variare delle esigenze militari e molti di loro, al tempo della battaglia venivano considerati lo stato dell’arte in materia di fortificazioni in cemento armato.

Inoltre, la città era difesa su tre lati dalla biforcazione tra il fiume Mosa e il canale Sainte Vanne e questo, nei secoli, determinò la sua fortuna come piazzaforte militare. Va da sé che un simile ostacolo non sarebbe stato insuperabile per un moderno esercito, ma questo particolare va segnalato perché contribuiva a fare di Verdun l’icona di una difesa ad oltranza agli occhi dei francesi: e proprio su questo, paradossalmente, contava l’alto comando germanico, quando decise di scatenare contro la cittadina un’apocalisse senza precedenti. Perché il progetto elaborato dal capo di stato maggiore germanico, il generale Erich von Falkenhayn, subentrato a Moltke dopo la battaglia della Marna, si basava proprio sul fattore psicologico: sul mito di Verdun, Termopili di Francia, che i francesi non avrebbero mai potuto abbandonare al nemico.

Verdun

Attaccando sulla Woevre, dunque, Falkenhayn avrebbe costretto l’esercito francese in un saliente, in cui sarebbero stati inceneriti i reparti che, continuamente, fossero affluiti in prima linea lungo l’unica direttrice d’accesso, rappresentata dalla strada proveniente da Bar le Duc: quella che sarebbe passata alla storia col nome di Voie Sacrée.

Insomma, Verdun, nei piani germanici, avrebbe dovuto essere l’incudine su cui distruggere a martellate il potenziale umano della Francia, dissanguandola, letteralmente, divisione dopo divisione, brigata dopo brigata. Nasceva un nuovo concetto di guerra: dopo che l’idea di guerra tradizionale era stato superato dalla guerra totale, dal Materialschlacht, il semplice scontro di materiali lasciò il posto ad una nuova impostazione bellica, la “guerra di consunzione”, il cui obiettivo era quello di esaurire l’esercito nemico nella sua componente umana, per costringere l’avversario a chiedere la pace, sotto il peso delle perdite insopportabili.

Questo obiettivo, in definitiva, sarebbe stato mancato: tuttavia, gli organici dell’esercito francese, dopo Verdun, non sarebbero mai risaliti ai livelli precedenti la grande battaglia. Un’intera generazione di francesi era stata cancellata dalla faccia della terra e la Francia non riuscì più a riempire i vuoti causati tra le sue fila dalla colossale strage.

Neppure la Germania, però, avrebbe tratto giovamento da Verdun: anche le sue perdite furono spaventose e gli effetti psicologici della battaglia sui francesi sarebbero stati positivamente influenzati dalla resistenza vittoriosa, mentre il mancato sfondamento germanico avrebbe depresso il morale dei combattenti tedeschi.

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