“The Towner”, giovane rivista online di Milano, parla di Treviglio: “Tutti conoscono qualcuno di Treviglio. Quasi nessuno, però, conosce la città. Eppure, nella perla della Bassa sono successe un sacco di cose interessanti”.
Qui di seguito vi proponiamo il racconto – ironico ma pieno d’ammirazione – di Sara Nissoli (clicca qui per andare direttamente alla pagina).
“Un po’ di anni fa, quando ancora studiavo, una docente di geografia urbana guardando il mio libretto esclamò “Ah, lei è di Treviglio, dove c’è lo scalo!”. Io che di scali conoscevo solo Francoforte e per sentito dire, visto che non ero mai stata da nessuna parte, le dissi che non lo sapevo. “Ma sì, Treviglio scalo” continuò. Io giurai di non saperne nulla, fino a quando dopo aver firmato il voto si corresse “Ah no, scusi, mi son confusa con Melzo”.
Durante un colloquio di lavoro un tizio, leggendo il mio curriculum sorrise. “Ah, Treviglio, dove c’è lo snodo ferroviario, no?”. Lì per lì non seppi bene cosa rispondere, certo era che di treni, dalla nostra stazione, ne passavano un bel po’, quindi dissi di sì, piuttosto convinta. Il posto da stagista a zero euro al mese fu mio.
Quest’estate un ragazzotto ubriaco e leggermente molesto mi chiede, così per sfizio, da dove vengo. “Treviglio” rispondo. E lui “Ma davvero? Ma allora conosci il Gianfra? Abbiamo suonato insieme tante volte. Cazzo il Gianfra, salutamelo.” E mi abbraccia, sudato come dopo l’ora di ginnastica. Non ho mai incontrato una persona di nome Gianfranco, né a Treviglio né altrove.
A novembre in un cinema di Milano danno un film ungherese. Io non so bene perché sono lì ma mi ritrovo, prima della proiezione, al bar, di fianco a un melomane sui cinquant’anni che sembra avere più l’aria del gestore di una baita che di uno che va a sentire l’opera. “Non hai l’accento di Milano” mi dice mentre beve un’aranciata, e io subodoro che da lì a poco salterà fuori la verità, “di dove sei?”. “Treviglio” rispondo, e lui fa una faccia tra il sorpreso e il sofferente. Poi mi confessa di essere stato tanti anni con un mio compaesano e così, già che c’è, fa coming out.
Benvenuti a Treviglio! La perla della Bassa. Non abbastanza bergamaschi da essere bergamaschi, non ancora milanesi per essere considerati tali, allarghiamo le braccia e ci ritroviamo tra Brescia e Cremona senza afferrare nessuna delle due. Quasi 30.000 abitanti e un campanile che non si è ancora stimato quanti anni abbia veramente, non ci conosciamo tutti come si pensa nelle grandi città. Io, a 16 anni, per esempio, non conoscevo praticamente nessuno e sfrecciavo con la mia bicicletta bianca sperando che un giorno qualcuno si sarebbe accorto di me. In quello stesso anno, e in zona Cesarini, essendo io quasi al compimento dei 17, diedi anche il mio primo bacio. Anzi, me lo diedero. In macchina, in un posto molto romantico: davanti a una grata che dava su un cantiere nei pressi di via Torta, che noi pronunciamo come torta di compleanno, ma in realtà sarebbe tòrta, perché è un po’ a zig zag. Maghi della toponomastica, possiamo vantarci anche di molto altro.
Olmi, in via Felice Cavallotti, detta anche “la via del fos” ha girato la scena de L’albero degli zoccoli in cui i due giovani sposi arrivano a Milano. In quella via c’è nata mia madre. Alcuni anni fa decisero di riqualificarla, solo che qualcosa andò storto e così, in 300m, che è la lunghezza totale della strada, piazzarono 201 tombini. Credo sia uno degli spazi con più tombini al mondo e da quel giorno divenne anche “La via di tumbì”.
A Treviglio sono successe un sacco di cose interessanti che uno nemmeno se le immagina, o forse preferisce dimenticare. Per esempio, nel 1915, Benito Mussolini vi sposò, per la prima volta e con rito civile, Donna Rachele. E non in un luogo qualsiasi, ma nella mia scuola elementare, che si chiamava Collegio degli Angeli e strabordava di suore. E vi ricordate quando Calderoli accostò con tanta eleganza Cecile Kyenge, allora ministro dell’integrazione, a un orango? La sua voce tuonò proprio dal palco della Festa della Lega di Treviglio, poco prima che qualcuno attaccasse una mazurka e giù tutti a ballare fino a notte (le 23 circa).
La LM Management, agenzia di Lele Mora che ha sfornato talenti del calibro di Luisa Corna e Costantino Vitagliano, aveva sede legale proprio a Treviglio e io mi sento sempre un po’ responsabile della cosa, anche se non è colpa mia. Ora che è uscito di galera, ha perso 50kg e ha smesso di vantarsi di “Faccetta Nera” come suoneria del cellulare, potrebbe anche passare a fare un saluto.
Comunque, tutto questo non sarebbe mai accaduto se il 28 febbraio 1522 la Madonna non avesse pianto salvando, alle otto del mattino spaccate, l’allora borgo da strage, saccheggio e distruzione certa. Io ve lo dico come l’hanno raccontata a me, nella più classica delle tradizioni orali. Allora c’era una guerra in corso, una delle tante del tempo. Carlo V di Spagna contro Francesco I di Francia. I trevigliesi (non trevigliani, non treviglini: trevigliesi) appoggiarono Carlo V. I francesi si arrabbiano moltissimo, in particolare questo Generale Odet de Foix Lautrec che proprio ci voleva annientare. Era già previsto il giorno ma poi quella mattina la Madonna piange, dal suo quadro, nella sua chiesetta. Si grida al miracolo, la notizia arriva anche a Lautrec che, impressionato, nonostante l’indole crudele e sanguinaria, si inginocchia davanti alla Vergine, deponendo l’elmo e la spada, in segno di resa.
Da quel giorno, ogni 28 febbraio c’è la Messa del Miracolo alle otto del mattino, e si sta pure a casa da scuola. Mio padre, che non è mai stato religioso e a 18 anni mi mostrò il suo Libretto Rosso di Mao del distaccamento PCI Bergamo, alle otto veniva a svegliarmi, mi portava davanti al lavandino e mi faceva bagnare gli occhietti, ancora gonfi di sonno dicendo solo “Oggi è la Madonna”. Poi mi ricacciava a letto, ma a quel punto, capite bene, non avevo più sonno, anche perché in concomitanza col miracolo ne arrivava un altro, molto più laico e rumoroso: le giostre.
Sognavo il momento il cui mi avrebbero accompagnata a scendere dallo scivolo gigante, o a tentare di vincere il pesciolino rosso facendo canestro con le palline da ping pong, o ancora a guardare i grandi darsi baci sugli autoscontri. Spesso il tutto accadeva in concomitanza con il Carnevale e allora ciao, ci si pisciava addosso dalla gioia. Mia madre mi mandava sui carri dell’Oratorio di San Pietro, punto di riferimento della Zona Nord, l’allora area malfamata in cui noi vivevamo (anche se appena appena all’inizio) il che faceva di me, che frequentavo pure delle scuole private, una specie di outsider, non degna di tanti segreti, della violenza, della scritta sul muro “I ghetti e l’eroina non li vogliamo, la vita è nostra e…” il resto non sono mai riuscita a leggerlo, l’avevano coperto subito.
Treviglio ha un centro che sono poche vie, poi ha una specie di periferia e poi c’è la campagna. Ha addirittura delle frazioni. La mia preferita si chiama Castel Cerreto, sono simpatici e indipendentisti e credo che un giorno isseranno la loro bandiera e si staccheranno da noialtri.
A Treviglio, nel 2010, si è tenuto un gay pride, il primo pride di provincia o qualcosa del genere. Fu bellissimo. Sfilarono più di mille persone, le vecchie ci guardavano dalle finestre e anche i nordafricani non si capacitavano della cosa. Ogni tanto tento di ricordare se quel periodo sia stato felice o meno, ma non me lo ricordo.
Come ogni paese che si rispetti anche Treviglio ha il suo matto, che però noi rispettiamo tutti. Si chiama Drago e mi accompagna da sempre, nel senso che non mi ricordo la mia vita senza di lui che cammina a testa bassa fumando una sigaretta dopo l’altra con la mano che si gratta il culo, canticchiando “gnegnegnegnegne”. Ogni tanto chiede soldi. Un pomeriggio che l’euro era appena arrivato e giravano quegli orrendi borsellini porta euro e Berlusconi ci aveva spedito a casa l’euroconvertitore, Drago, ignaro di tutto, chiese le consuete mille lire per le sigarette a un’amica. Lei gentilmente gli rispose che ormai c’era l’euro. Lui a quel punto chiese mille euro. La richiesta fu negata e “gnegnegnegnegne”, Drago si allontanò. Una notte di gennaio, tornando a casa, saranno state le tre del mattino, lo incontrammo in pantaloni della tuta e canottiera. Camminava col suo passo spedito nella notte, senza paura, nella sua città che è anche la mia. Cammina talmente tanto che io lo farei partecipare a qualche gara podistica, non lo so, gli farei da sponsor.
Lui è lì, come l’elmo e la spada di Lautrec che ogni anno vengono tirati fuori e messi sotto la teca del Santuario della Madonna delle Lacrime nel periodo della Novena. Una certezza, come i sanpietrini di via Galliari, il Bar Vito di fronte alla stazione, la piscina comunale, la discesa della Badalasca che in bici ti sembra di volare, casa di mio padre, io che me ne vado per trasferirmi a ben 35km di distanza, into the city.
Ragazzi, credetemi, tutti conoscono qualcuno di Treviglio e se non siete tra questi, ora– se proprio vi andrà – potete dire di conoscere me.
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