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Cultura

Funerali laici per Umberto Eco che da giovane militava in Azione Cattolica

Si svolgeranno lunedì 22 febbraio a Milano i funerali laici di Umberto Eco, il grande scrittore e pensatore italiano morto all'età di 84 anni. Il nostro vaticanista, Pier Giuseppe Accornero, ripercorre la gioventù di Eco, quando militava nell'Azione Cattolica.

Quando Umberto Eco era un giovane cattolico e militava nella Gioventù di Azione Cattolica (Giac).

Figlio di un negoziante di ferramenta, nasce ad Alessandria il 5 gennaio 1932. Il padre è un agnostico – ricorda il figlio – «socialisteggiante, blandissimamente anticlericale» e vedrà con imba­razzo la sua frequentazione dei preti. Per la guerra la famiglia «sfolla» a Nizza Monferrato, dove frequenta l’oratorio salesiano e gli «aspiranti» in un ambiente fortemente antifascista e resistenziale.

Dopo la guerra è «delegato aspiranti» e poi «juniores». A 16 anni è dirigente diocesano e prende contatto con i vertici dell’Azione Cattolica, Luigi Gedda e Carlo Carretto: «Ero un credente da Comunione quotidiana».

Poi Lettere e Filosofia all’Università Torino.

Per alcuni anni la sua vita si intreccia con quella di Carlo Carretto: nato ad Alessandria nel 1910, laureato in Lettere e Filosofia all’Università di Torino, presidente della Giac di Torino e poi presidente nazionale (1946-1952) propone a Umberto di andare a Roma come dirigente della Giac. Ricorda Eco: «Questo mi ha creato un’enorme crisi per tre motivi.

Credevo che l’Università dovesse esser fatta bene. Quando sono andato a dire in Alessandria che ero chiamato a Roma, lì c’erano dei duri fondamentalisti che dicevano: “Quella è vanità, stai qui a fare il delegato aspiranti e non come que­sti stronzi che vanno a Roma a fare discorsi”. Mi ero appena fatta la prima ragaz­za ufficiale della mia vita, e l’idea di partire… non me la sentivo».

Pochi mesi dopo accetta l’invito di Mario Rossi e collabora con l’Ufficio studenti nella presidenza dell’AC, che aveva e ha sede in via della Conciliazione 2. Fa il pendolare fra Roma e l’Università di Torino, dove si laurea nel ’54 con Luigi Pareyson con una tesi sull’estetica di San Tommaso d’Aquino. Studiando il «Doctor angelicus» smette di credere in Dio e lascia la Chiesa: «Si può dire che Tommaso mi abbia miracolosamente curato dalla fede».

Nel volume «”La gioventù cattolica in cammino…” Memoria e storia del gruppo dirigente (1946-1954» (Angeli, 2003), lo storico Francesco Piva, docente di Storia all’Università Tor Vergata di Roma, riporta le interviste a 35 dirigenti Giac.

I ricordi di Eco iniziano quando Carretto il 10-12 settembre 1948 organizza – per l’80° dell’AC – l’adunata di 300 mila «baschi verdi» a Roma che a Pio XII cantano: «Bianco Padre, /che da Roma ci sei meta, luce e guida,/in ciascun di noi confida, /su noi tutti puoi contar. /Siamo figli della fede, /siamo araldi della Croce; /al tuo cenno, alla tua voce /un esercito ha l’Altar».

Ricorda lo scrittore: «Per noi era una grande festa e basta, di identità, di identificazione. Il vero significato lo ha attribuito Carretto che, nel discorso notturno della fiaccolata a San Pietro, ha fatto un discorso che ha segnato l’inizio della sua spac­catura con Gedda: l’AC è una forza propulsiva e progressista, pauperisti­ca, terzo-mondista. Carretto, sul sesto comandamento era peggio di tutti gli assistenti spirituali, era di una sessuofobia mostruosa. Però sul piano politico, con la sua intuizione selvaggia, perché non era certo un politico,era un mistico medievale; aveva questa idea francescana:”Voi siete con i poveri, non siete con il pote­re”. Di lì, nel ’48, è cominciato quel processo che in tre anni ha portato la vera rottura con Gedda… Noi eravamo discriminati e presi in giro perché andavamo a Messa, per­ché non andavamo al casino, perché non andavamo a ballare».

Il grandissimo il consenso alla Giac si spiega con il fatto che dal fascismo e dalla guerra era uscita «una generazione educata grega­riamente che doveva trovare altre forme di aggregazione. C’erano giovani che pensavano a ballare e divertirsi, ma noi li guardavamo con un certo disprezzo e commiserazione perché erano privi di ideali. I giovani cattolici e i giovani comunisti avevano un punto in comune, l’impegno. Tutta l’educazione mirava al senso del dovere».

Sul referendum del 1946 «mi piaceva la monarchia per ragioni cinematografiche, la carica di cavalleria al grido di “Avanti Savoia”. Mio padre mi ha sensibilizzato parlando del re come di un fellone e auspicando la Repubblica». Partecipa alla campagna elettorale del 18 aprile 1948 attaccando manifesti e distribuendo volantini: «L’appello alla salvezza del mondo era così intenso che nessun cattolico militante mani­festò dissenso».

Nel 1949 Carretto pubblica «Famiglia piccola chiesa» ed Eco commenta: «Il libro aveva fatto scoppiare l’Italia nella più grande ilarità, perché era stato beccato da Guareschi… Questa visione sacrale della famiglia. Dietro Carretto c’era una sessualità repressa, come in certe riunioni della Società operaia (fondata da Gedda, n.d.r.) quando si comincia­va a parlare della Madonna o di “Bella tu sei qual sole”. Venivano fuori delle pulsioni erotiche…Si è par­lato di omosessualità repressa. Sarà; io non ricordo casi espliciti di omosessualità, ma certamente di mariolatria, quasi fisica».

Sul culto della personalità lo scrittore annota: «C’è una cosa che mi diverte sempre, da quando i miei libri hanno avuto un certo successo e il giornalista sciocco mi chiede: “Ma le fa emozione quando la gente le chiede l’autografo sul libro?”, rispondo: “Io ho cominciato a scri­vere autografi a 16 anni, ero dirigente diocesano, arrivavo nel paesino e i ragazzi mi chiedevano l’autografo sulla tessera”».

Insiste molto sul fatto che «l’educazione cattolica era tutta concentrata sul sesto comandamento perché era impregnata di antistatalismo e non aveva alcuna sensibilità verso i doveri sociali: il contrabbando e l’evasione fiscale non sono peccato perché sono contro la legge dello Stato che è contingente.

Il problema era che uno non commettesse atti impuri; se poi fregava lo Stato. Questa sorta di “vittorianesimo cattolico” venne fuori nel Novecento, negli anni Venti, con il libro “Siate puri” di Righini, che spiegava che in tutto l’universo solo i pesci si masturbano, e dove il problema era che la masturbazione conduce alla cecità e alla “dementia precox”.

Forse qualcosa si trova già nel “Giovane provveduto” di don Bosco. Comincia forse in ambito salesiano, dove hanno a che fare con i ragazzi delle borgate e può darsi che un’educazione alla purezza cominci a nascere lì, trovandosi di fronte a un sottoproletariato che dormiva in otto in una stanza. Il sottoproletariato ottocentesco, figuriamoci che immondezza che era. Dopo i fondatori Fani e Acquaderni l’Azione Cattolica si afferma sotto il fascismo e il fascismo le toglie ogni discor­so politico e sociale; e di che cosa parlano? Allora puntano sull’educazione di cui la sessualità e la sessuofobicità sono compo­nenti fondamentali. Le classi a scuola erano separate e questo non era solo proprio del mondo cattolico: le piccole italiane stavano separate dai balilla. Il regime toglie all’Azione Cattolica qualsiasi altro discorso».

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