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L'intervista

Parla la vedova D’Andrea: “Vorrei la stessa solidarietà data a Vallanzasca” video

Gabriella Vitali si sfoga e attacca l'assassino di suo marito: "Per me è solo un coniglio che, con la pistola, si traveste da leone. Deve finire nell'oblio, mi sento offesa quando giornali e tv gli danno visibilità"

Ha il dolore fisso negli occhi, indelebile, ma anche così tanto coraggio da poterlo vendere. Gabriella Vitali è conosciuta in tutta Italia come “la vedova D’Andrea”, un’etichetta che le è stata cucita addosso da quel criminale che 39 anni fa, il 6 febbraio del 1977, ha freddato suo marito Luigi D’Andrea al casello autostradale di Dalmine. In quei minuti di follia omicida, quella mattina d’inverno, morì anche il collega di D’Andrea, Renato Barborini.

L’assassino, condannato successivamente a quattro ergastoli (non solo per il duplice omicidio di Dalmine), è Renato Vallanzasca.

Gabriella Vitali non lo nomina quasi mai chiamandolo per nome, ma si limita a sostantivi come “soggetto”, “criminale”, “assassino”, e definendolo “una cosa viscida, da dimenticare, neppure degna di far provare un sentimento. L’odio sarebbe qualcosa di troppo nobile per lui. Ho sempre pensato che senza la pistola in mano, che lo trasformava in leone, fosse un emerito coniglio”.

La signora Vitali, ospite della redazione di Bergamonews per presentare il “Premio Luigi D’Andrea” (dedicato “ai cittadini in divisa che, fedeli al giuramento verso le istituzioni repubblicane, garantiscono libertà, democrazia, legalità al nostro Paese”), ha scelto di ripercorrere quella drammatica vicenda che ha segnato per sempre la sua vita e quella delle sue due figlie (all’epoca di tre e sei anni) perché “quello che ha fatto quel criminale non dev’essere dimenticato. C’è stato chi mi ha detto: ‘Gabriella, dopo quarant’anni ancora parli di lui?’. Sì, lo trovo indispensabile perché quell’uomo, nonostante quello che è stato capace di fare, ancora oggi può vantare una visibilità incredibile. Invece, dovrebbe solo finire nell’oblio”.

Luigi D'Andrea

“Quando giornali e tv parlano di lui e lo raccontano come un mezzo eroe, un esempio, una persona cambiata, ecco, quando leggo certe cose io mi sento offesa. Io, e tutta la mia famiglia. Cercate di recuperarli, educateli, fateli rinsavire, ma fatelo in silenzio. Anche se io penso che quando uno nasce assassino non può far altro che morire assassino”.

Quando le chiediamo se mai un giorno sarà possibile perdonare chi ha ucciso suo marito, la signora Vitali risponde senza esitare: “Il perdono appartiene solo a dio. Se lo perdonerò non glielo farò di certo sapere. Lui non mi ha mai chiesto scusa per quello che ha fatto. E dirò di più: una volta, durante un’intervista, disse che chiedere scusa non è dignitoso. Certo, mi sono detta, è forse più dignitoso uccidere secondo lui?”.

D'Andrea

“Lo dico provocatoriamente: vorrei avere la stessa solidarietà che gira attorno ai delinquenti. A lui, in questo caso. Da me non è mai venuto nessuno a suonarmi alla porta di casa e a dirmi: signora, beviamoci un caffè insieme, le faccio un po’ di compagnia. Mentre sento di persone che scrivono in carcere per chiedere autografi a quel criminale. Che vergogna”.

Nel 2011 nelle sale di tutta Italia Michele Placido ha portato il film “Gli angeli del male”, una pellicola ispirata alla vita di Vallanzasca e alla banda con la quale il criminale milanese ha operato tra gli anni Settanta e Ottanta: “Non l’ho visto e non ho la minima intenzione di farlo. E’ tratto da un libro che ha voluto romanzare ogni fatto, anche quelli delittuosi. Non è così che si tratta la storia, non è così che si trattano le vittime di un criminale, romanzando la loro morte”.

Luigi D'Andrea

“Il ricordo di quello che è successo quella mattina non è svanito. E’ lì, nitido. Ormai è diventato una parte di me, che mi accompagna ogni giorno nel mio percorso di vita. Con le mie figlie ho sempre parlato del papà usando il presente, è stato un modo per esorcizzare il tutto. Questo ci ha aiutato a crescere, a vincere i momenti difficili”.

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