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L'intervista

Sgarbi: “Caravaggio? Un rivoluzionario, mi ricorda Pasolini”

Sabato 13 febbraio il critico ferrarese sarà al teatro Creberg per presentare “Caravaggio”. Mentre si candida a sindaco di Milano, Bergamonews l'ha intervistato

S’arrabbia, provoca, insulta… e si candida perfino a sindaco di Milano. Ma per portare la storia dell’arte a teatro Vittorio Sgarbi non ha bisogno di eccedere. E’ un qualcosa che già gli appartiene, che gli viene naturale: un serbatoio di conoscenze che conserva dentro di sé.

Sabato 13 febbraio alle 21 il critico ferrarese sarà al teatro Creberg per presentare “Caravaggio”: uno spettacolo dove le musiche dal vivo di Valentino Corvino e le scenografie video di Tommaso Arosio accompagneranno il genio affabulatorio di Sgarbi, novello “Virgilio” che condurrà il pubblico alla scoperta di Michelangelo Merisi attraverso la vita e le opere del pittore lombardo.

«Anche se un copione c’è – ammette Sgarbima non troppo rigido». In scena Sgarbi sarà Sgarbi, né più né meno: quello che indaga e che illustra, quello che con le parole è in grado di calamitare l’attenzione e la curiosità di chiunque. Anche di chi, la storia dell’arte, non l’ha mai masticata.

E alla domanda del perché proprio Caravaggio, risponde: «perché è un artista fortemente contemporaneo e perché la sensibilità del nostro tempo ci ha restituito tutti i significati e l’importanza delle sue opere».

In questo senso, non sono stati il Settecento o l’Ottocento a capire Caravaggio, quanto il Novecento: «ogni secolo sceglie i propri artisti e tra questi nessuno è più vicino a noi, alle nostre paure, ai nostri stupori e alle nostre emozioni di quanto lo sia Caravaggio».

Un artista rivoluzionario. O, meglio ancora, un “fuorilegge nell’arte”, come lo definì il critico Gilles Lambert. Rivoluzionario poiché diverso: «diverso nel raffigurare la realtà così com’e’, e non come dovrebbe essere – spiega Sgarbi – nel privilegiare il reale piuttosto che l’ideale. Con Caravaggio la realtà non è più un qualcosa da abbellire o migliorare a tutti i costi; anzi, diventa il punto di riferimento dalla quale partire. In un certo senso lo si potrebbe considerare l’inventore della fotografia, proprio per la sua capacità di immortalare la realtà. Una realtà in grado di coglierci spesso di sorpresa: «basti pensare ad alcuni dei suoi dipinti, come la “Maddalena Penitente” o il “Ragazzo morso da un ramarro”».

«Il pittore degli ultimi», testimone di un mondo che oggi definiremmo “borderline” e che esercitava sul pittore lombardo una forte fascinazione. «Ma anche del male, della malattia, della morte». Temi e soggetti fortemente provocatori, lontani da quella sublimazione del sacro a cui i suoi contemporanei erano abituati e che Caravaggio dipinse con estrema efficacia: «invece d’innalzare lo sguardo dell’uomo verso il divino, le scene dipinte da Caravaggio portano il divino nel mondo degli umani, cogliendo la realtà in tutta la sua drammatica evidenza».

Genio e sregolatezza, dunque. Caratteristiche che s’accompagnavano di pari passo sia nella vita artistica che in quella quotidiana del pittore. Una vita fatta di chiaroscuri, proprio come quelli che penetravano le atmosfere dei suoi dipinti. Fino al tragico episodio del 1606: quando, durante una rissa, ferì a morte Ranuccio Tommasoni.

L’omicidio gli procurò una condanna alla decapitazione e la conseguente fuga da Roma, città nella quale il suo talento sgorgò definitivamente dopo il periodo lombardo.

Una figura, quella del Caravaggio, che Vittorio Sgarbi ama associare a Pier Paolo Pasolini: «I due sono molto simili», e non solo per la presunta omosessualità del Caravaggio, celata in molti dei suoi quadri.

«Entrambi vessati dai loro contemporanei, fecero della loro vita un’opera d’arte. I volti di Caravaggio sono gli stessi dei “Ragazzi di vita” di Pasolini: il fanciullo con il canestro di frutta è Ninetto Davoli, mentre quello di Amor omnia vincit è identico a Pelosi. In quest’ottica, Pasolini è senz’altro la figura attraverso la quale il Novecento può davvero capire l’arte del Caravaggio».

Infine, una battuta sulla città di Bergamo: «avrei voluto portarvi una mostra sul Caravaggio già qualche anno fa – chiosa Sgarbi -. La scelta di puntare sulla cultura, come testimoniato dalla riapertura dell’Accademia Carrara, è una scelta intelligente. Lo stesso Gianbattista Moroni, straordinario ritrattista del ‘500 al quale la pinacoteca sta dedicando una retrospettiva, fu uno dei pittori che più contribuì alla formazione artistica del Caravaggio».

Prima del 28 febbraio (giorno di chiusura della mostra) aspettiamoci una sua visita.

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