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Mediterraneo

Perché Putin vuole diventare il player unico della crisi siriana

Giancarlo Elia Valori, presidente della Centrale Finanziaria e Honorable de l’Academie des Sciences de l’Institut de France, nella sua analisi sulle tensioni del Mediterraneo, stavolta affronta l'equazione strategica della Federazione Russa in Siria.

Giancarlo Elia Valori, presidente della Centrale Finanziaria e Honorable de l’Academie des Sciences de l’Institut de France, nella sua analisi sulle tensioni del Mediterraneo, stavolta affronta l’equazione strategica della Federazione Russa in Siria.

Come sta andando e, soprattutto, cosa ci dobbiamo aspettare dalle operazioni russe-siriane e da quelle degli USA e della sua coalizione in Siria?

L’Isis/Daesh si è recentemente contratto, secondo fonti occidentali, del 40% in totale e del 20% in Siria, mentre aveva perso solo il 14% del suo territorio in tutto il 2015 quando il Daesh califfale si espandeva, senza recuperare la stessa quantità di territorio, nell’est della Siria.

Un’altra zona dove il califfo Al Baghdadi ha perso gran parte del suo controllo territoriale riguarda l’area di confine con la Turchia; mentre il califfo è arrivato a coprire le aree al confine con la Giordania, tradizionale zona di contrabbando e di passaggio dei suoi militanti, e si segnalano aree sotto il controllo del Daesh/Isis verso il confine libanese e nell’area di Palmira.

Quindi, sia la pressione della Coalizione USA che quella russo-siriana non sembrano, finora, del tutto sufficienti a destabilizzare definitivamente il Califfato di Al-Baghdadi, malgrado le sue attuali perdite territoriali.

E’ allora probabile quindi che il Daesh/Isis si ristrutturi, come peraltro sembra già fare, in un modulo tipo “Al Qaeda” prima fase.

Ovvero il Daesh potrebbe costituire, o l’ha già fatto, una centrale organizzativa piccola e centralizzata, con reti informali periferiche in Europa, Nordafrica e Asia Centrale, per organizzare azioni terroristiche di massa; e per bloccare la resistenza antijihadista in Occidente nonché destrutturare definitivamente le forze di sicurezza europee.

Ma perché le azioni russo-siriane e le altre a direzione USA non funzionano pienamente?

In primo luogo c’è da esaminare l’armamento del califfato: esso ha acquisito gran parte degli stock abbandonati degli eserciti siriano e iracheno, che includono armi sufficientemente evolute per contrastare i sistemi d’arma russi e della Coalizione. Non occorre la superiorità tecnologica assoluta. Basta e certamente avanza la voglia di combattere e la superiore mobilità delle armate califfali.

In sostanza, l’Isis/Daesh può evitare di assaltare le aree meglio equipaggiate delle due Coalizioni, mentre può prevedere ed evitare i punti di attacco degli Occidentali grazie ad un centro di comando/controllo unificato e posto a distanza delle linee. E che usa le stesse tecnologie e simili logiche di azione delle forze antijihadiste.

Mimare il nemico è un modo efficace di combatterlo. La mobilità poi sostituisce la superiorità tecnologica e nessuno, oggi, salvo la Federazione Russa, ha voglia di combattere “per Danzica”, ovvero, oggi, per Damasco.

Una strategia convenzionale califfale “da debole a forte”, per usare la terminologia di Beaufre e Ailleret, dove la debolezza occidentale è doppia: sia quella sul terreno, dove il Daesh/Isis è molto più mobile e infligge danni politicamente inaccettabili per l’Occidente (con l’eccezione della Russia e delle milizie curde e yazide); sia quella dentro le pubbliche opinioni occidentali, addormentate dalla favola della immigrazione “buona” che blocca le reazioni governative europee sulla peraltro necessaria presenza dei militari occidentali sul terreno.

Per non parlare del fatto che l’Isis/Daesh ha fatto propria nel suo territorio la linea di Hamas a Gaza: una fittissima rete di cunicoli sotterranei, che coprono dagli attacchi aerei e permettono le attività economiche per il sostegno dell’organizzazione.

Un altro obiettivo primario del califfo Al Baghdadi è quello di saturare poi le valenze delle polizie occidentali, renderle di fatto inutilizzabili in quanto già scarse di numero e di armamento; mentre l’Europa muore nel “multiculturalismo”.

Tutto ciò è un obiettivo primario del Daesh che, in futuro, certamente attaccherà, forse anche territorialmente, “da debole a forte”, alcune aree dei Paesi europei.

La campana suona anche per noi, per riferirci a quel verso di John Donne che divenne famoso come titolo del romanzo di Ernest Hemingway sulla guerra civile spagnola, che infatti fu l’antefatto della Seconda Guerra Mondiale.

Quindi, avremo presto un nucleo di militanti jihadisti non necessariamente addestrati in Siria ma collegati via internet, e una vastissima rete di di “compagni di strada” che possono fare da copertura, sostegno logistico, area di reclutamento, manipolazione politica e massmediatica degli occidentali più creduloni o paurosi.

Sarà questa, anzi lo è già, la struttura del califfato di Al Baghdadi in Europa.

Le “filiali” del califfato di Al-Baghdadi sono egualmente efficienti: nella provincia di Barka in Libia, e ora nella Sirte con l’accordo tra il Daesh/Isis e le tribù gheddafiane, il Jund-al-Kilafah in Algeria, Al Shaabab in Somalia, i Boko Haram nel Nord della Nigeria, il Jundallah pakistano, Abu Sayyaf in Malesia.

Il vuoto della inanità occidentale viene immediatamente riempito dall’Isis, che non conosce il diritto internazionale, ma solo un miseramente manipolato Corano.

E’ quindi in atto un meccanismo a vasi comunicanti: tanto più si accentua la crisi del Daesh/Isis nel suo territorio di origine, tanto più diventano minacciosi e potenti i gruppi periferici.

Mentre in Europa, al contempo, assistiamo ad alcune manovre di radicalizzazione di massa che si basano sulle vecchie tecniche di Al Qaeda: prima i “candidati manciuriani” più o meno folli, che creano grande disagio in piccole aree. Poi, come oggi, le azioni di massa, come quella davanti alla Cattedrale e alla stazione ferroviaria di Colonia, che porteranno certamente al califfo buoni frutti in futuro; poi ancora le operazioni terroristiche vere e proprie, visibili e molto efficaci.

Per non mettere in conto le azioni similari, sempre di massa, ad Amburgo e Zurigo.

Infine, quando e come sarà logisticamente possibile, avremo la costituzione di piccoli “califfati” in Europa, nelle aree che la immane stupidità a lungo termine dei governanti della UE ha integralmente lasciato nelle mani dell’immigrazione islamica di massa, resa padrona dei quartieri e delle città.

La guerra contro il califfato è e sarà una guerra lunga, molto lunga e l’Occidente, con, forse, la sola eccezione della Federazione Russa, non ha affatto la capacità politica, psicologica, e nemmeno ha il potere di condurla con l’obiettivo di vincerla.

L’Occidente morirà di soft power, di chiacchiere somministrate a islamisti che non vogliono sentirle, tutti presi dalla loro presunta superiorità culturale, religiosa, militare.

Anni di peacekeeping, “stabilizzazione”, peacenforcing hanno trasformato nel nostre Forze Armate europee, in larga parte già allora sottodimensionate, in guardie del traffico e organizzatori di elezioni politiche, regolarmente truccate, tanto per far presto il più possibile e andar via senza turbare i sonni delle nostre popolazioni.

Le stesse dimensioni delle Forze Armate europee singolarmente prese o anche in una sgangherata coalizione “contro il terrore” non sono nemmeno comparabili con quelle delle forze USA o russe, dopo decenni di egualmente irragionevole compressione degli investimenti nel comparto militare e in quello della pubblica sicurezza, anche dopo i primi attacchi di Al Qaeda.

Quos Deus perdere vult, dementat, Dio istupidisce coloro che vuol perdere.

La Russia ha invece messo in atto una profonda riforma delle sue Forze Armate, nel 2008, dopo la guerra con la Georgia, e Mosca ha lavorato molto di più sul “fattore umano” che non sulla tecnologia, che comunque non ha trascurato.

Finora le forze russe in Siria stanno disponendo gruppi di artiglieria e altre forze di terra, mentre Mosca colloca, sempre secondo notizie provenienti da fonti russe, batterie di missili antiaerei S-400 sempre su territorio siriano, oltre alla concessione dei sistemi missilistici antiaerei “Buk” all’Esercito Arabo Siriano.

L’S-400, il “Growler” secondo la denominazione NATO, è un sistema antiaereo missilistico che intercetta velivoli che volano fino a 17.000 Km. orari, mentre il “Buk” (che è il SAM 17) è un sistema missilistico terra-aria (denominazione NATO “Gainful”) con dei radar per l’acquisizione degli obiettivi; che sono i missili da crociera e gli aerei d’attacco avversari.

Già, ma perché Mosca disloca una struttura antiaerea così evoluta quando l’Isis/Daesh non ha aerei?

Semplice: perché la Russia vuole diminuire e infine eliminare la presenza dei raid occidentali, spesso oggettivamente inconcludenti o scarsamente efficaci, anche grazie alla mancanza di una rete di acquisizione obiettivi.

Ma Mosca desidera invece prendersi tutta intera la Siria, dopo aver distrutto o minimizzato il califfato di Al Baghdadi.

A Putin la vittoria in Siria serve molto: in prima istanza, lo spegnimento del califfato di Al Baghdadi evita la radicalizzazione jihadista degli oltre venti milioni di musulmani residenti e cittadini russi.

Se si infuoca l’Islam russo e centro-asiatico, Mosca non potrà più controllare né militarmente né economicamente la reti energetiche verso l’Europa e il Mediterraneo, asse portante della sua geoeconomia.

Poi, Vladimir Putin vuole diventare il player unico della crisi siriana, perché espellere l’Occidente da un Paese limitrofo alla NATO e centrale per il controllo del Mediterraneo significa, per Mosca, diventare in futuro uno dei due o addirittura il primo player del Mare Nostrum, con conseguenze strategiche oggi inimmaginabili.

Ecco a cosa servono, infine, i sistemi missilistici antiaerei russi: ad allontanare i velivoli delle potenze non coordinatesi con Mosca e a rafforzare la collaborazione militare con quei Paesi che hanno accettato la superiorità aerea russa. Israele, per esempio, che compensa con Mosca, per ora, la rottura di fatto delle relazioni militari e strategiche con gli USA e l’antisemitismo politico montante in Europa.

Putin tiene inoltre insieme, in modo egemonico, l’Iran, la Siria di Bashar el Assad e gli Hezbollah libanesi, ergendosi quindi a mediatore tra il blocco sciita e l’Occidente, quando lo scontro tra sunniti e il “partito di Alì” diverrà, con ogni probabilità, esiziale per la sicurezza europea.

Inoltre, il Presidente russo vuole allontanare definitivamente gli USA dal quadrante mediorientale, sia nel caso che Washington mantenga o meno i suoi rapporti preferenziali con i Sauditi.

Infine, la Russia, in sede di Consiglio di Sicurezza dell’ONU, farà tutto il possibile per mettere a frutto la sua, sperabile, futura vittoria contro il Daesh/Isis scambiandola con il raggiungimento di altri interessi primari di Mosca: la gestione dell’Artico, la prossima militarizzazione della Shangai Cooperation Organization, la regionalizzazione della NATO ad Est e magari un nuovo accordo militare con Pechino, che renderebbe del tutto asimmetrica la composizione dello stesso Consiglio di Sicurezza ONU.

Per non parlare della seduzione che Mosca metterebbe in campo nei confronti di una penisola eurasiatica ormai lasciata sola dagli Stati Uniti e svuotata di difese accettabili a Sud-Est.

Il mito della Eurasia del filosofo-stratega russo Alexander Dugin si realizzerebbe, in questo caso, molto rapidamente.

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