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L'intervista

Il docente: Islam non è Isis, per vivere bene dobbiamo sconfiggere tutta l’ignoranza

Maurizio Bagatin, docente di lingua e letteratura araba dell'Università di Bergamo: "Non dobbiamo confondere chi segue una religione e chi fa terrorismo. Che l'ignoranza sia il loro punto debole, non il nostro"

Per cercare di comprendere al meglio la realtà di questi giorni occorre far chiarezza. Partendo, magari, da un semplice assunto: Isis e Islam non sono la stessa cosa. L’opinione pubblica si è talmente abituata ad associare il radicalismo all’Islam che la collettività ha cominciato a considerare la fede islamica come il vettore per eccellenza dell’integralismo, del terrorismo e dell’estremismo militante. Ma è proprio qui che sta l’errore: fomentare l’odio verso i musulmani, provocando una reazione di questi nei confronti degli europei è proprio uno degli obiettivi dello Stato Islamico: dar vita al cosiddetto scontro di civiltà. Estirpare il germe dell’ignoranza – e del pregiudizio che ne consegue – è il principale consiglio del professor Maurizio Bagatin, docente di lingua e letteratura araba dell’Università degli Studi di Bergamo.

Professore, lei insegna lingua e letteratura araba all’Università di Bergamo. Che idea si sono fatti i suoi studenti dell’Islam?

Come la maggior parte dei loro coetanei, temo che anche i miei studenti siano portati a farsi un’idea soprattutto in base a quel che sentono dire in televisione e leggono in internet. Purtroppo c’è poca propensione all’approfondimento individuale, ma esistono pur sempre le eccezioni. Siamo costantemente bombardati di informazioni frammentarie, spesso riportate senza essere filtrate attraverso la verifica e la riflessione e che, inevitabilmente, vanno a scapito di una visione completa e globale delle cose.

Del resto, attorno ai fatti occorsi in questi giorni ruota grande confusione…

Ovviamente. Come i movimenti estremisti di matrice islamica propongono ai loro proseliti una visione parziale e distorta del mondo occidentale, spesso e volentieri i nostri media offrono una visione semplificata e, me lo lasci dire, altrettanto distorta del mondo islamico. L’Islam e lo Stato Islamico non sono la stessa cosa. Al mondo esistono circa un miliardo e mezzo di musulmani, o forse di più, e la maggior parte di loro non è assolutamente d’accordo con la politica di violenza e distruzione portata avanti dall’Isis. Non ne condividono né le modalità né tanto meno i principi.

Guarda caso, molti paesi delle coalizioni anti-Isis sono proprio musulmani…

Esattamente. Prima ancora che contro l’Occidente, la violenza devastatrice dell’Isis si è scatenata contro vaste aree del mondo islamico: è lì che ha provocato la stragrande maggioranza delle vittime ed è lì che ha causato la maggiore destabilizzazione.

Tuttavia le rivendicazioni dell’Isis sono piene di citazioni del Corano, il testo sacro della religione islamica alla quale milioni e milioni di musulmani fanno riferimento. Dove sta la verità? Ammesso che ce ne sia una…

Il testo sacro dell’Islam, come tutti i testi sacri di qualsiasi epoca e di qualunque area del mondo, è connotato dalla varietà e dalla complessità dei suoi contenuti, varietà e complessità cui non è estraneo il lungo processo che ha portato alla sua redazione. Come negli altri testi sacri, anche nel Corano è possibile individuare passi dal significato chiaro, altri dal significato oscuro, altri ancora in apparente contraddizione tra loro e con parecchie ambiguità di fondo. Detto ciò, uno dei tratti tipici di ogni forma di radicalismo è quello di ricondurre tutto alla massima semplificazione, al bianco e al nero, senza tenere conto delle sfumature che stanno nel mezzo. La mancanza di categorie intermedie porta per forza di cose alla brutale e irriducibile contrapposizione tra un ‘noi’ e un ‘loro’, a cui possiamo far corrispondere altre coppie di termini altrettanto irriducibili: verità / falsità, giustizia / ingiustizia, ragione / torto, successo / fallimento, fedeli / infedeli ecc…

Ma, ancora una volta, quali fedeli e quali infedeli?

La storia, anche quella più recente, ci insegna che a essere tacciati d’infedeltà sono spesso gli stessi musulmani non schierati dalla parte di chi lancia l’accusa. Chi si fa portatore di un messaggio integralista non ha motivo di discutere con il proprio avversario, poiché non concepisce nulla di diverso da quella che è la sua visione. A mancare sono proprio gli strumenti intellettuali e culturali per poter interpretare il mondo che ci circonda in tutta la sua complessità. Ma, ripeto, per la maggior parte dei musulmani non è così.

Mai fare di tutta l’erba un fascio, insomma. È questo il rischio che si corre?

Del resto, il pregiudizio è sempre figlio dell’ignoranza.

A proposito di bianco e nero, integralismo e mancanza di strumenti culturali: lo sapeva che lo Stato islamico ha cancellato intere facoltà e dipartimenti all’Università di Mosul in Iraq? Legge, Scienze politiche, Archeologia e Educazione fisica, ma anche l’Accademia di belle arti, il dipartimento di Filosofia e quello degli Enti turistici e alberghieri. La motivazione? Tutti argomenti incompatibili con i dettami della legge islamica.

Quale legge islamica? Quella di cui si considerano gli unici interpreti, probabilmente non comprendendone la natura e il significato? La shari‘a non è un codice di legge, semmai è un insieme di norme a cui i vari codici dovrebbero ispirarsi e uniformarsi. In ogni caso, è una notizia che non mi sorprende. Come già successo in altre forme di gestione dispotica del potere, al cambiamento politico segue sempre un intervento coercitivo nel campo dell’istruzione e in altri settori sensibili della società civile.

Insomma, ci pare di capire che, nel bene o nel male, nel mondo islamico le basi teologiche coincidano spesso con quelle politiche. La religione è un elemento tanto centrale da dettare i principi da osservare anche nella sfera pubblica?

Sicuramente la centralità della prospettiva religiosa è un aspetto del quale bisogna tener conto; talmente centrale da regolare tutti gli ambiti della vita individuale e collettiva della persona. Nella società occidentale si è intrapreso un lungo cammino che, passando attraverso l’età moderna, l’illuminismo, il positivismo, il materialismo, ecc., ci ha progressivamente e irreversibilmente distaccati da un certo modo di vedere le cose, nel bene e nel male. Nel caso dell’Islam questo processo non è accaduto e probabilmente non avverrà mai, non nelle stesse modalità e con gli stessi esiti. L’adozione di una visione e di un atteggiamento totalmente sganciati da una concezione religiosa della vita è pensabile, a mio parere, soltanto a livello individuale, non certo a livello di sistema. Almeno per il momento.

È dunque ingenuo pensare che la religione e le ideologie siano delle semplici foglie di fico volte a coprire dinamiche di carattere economico e politico?

Ogni riduzionismo è fuorviante. Detto questo, molti degli attori, se non tutti quelli coinvolti nel conflitto, traggono vantaggio nel far passare il concetto che quella in atto sia una guerra di religione o uno scontro di civiltà. I kamikaze che si fanno esplodere, ad esempio, vanno reclutati e spinti al gesto estremo con motivazioni ben più convincenti e di forte presa di quanto lo siano i calcoli e le spartizioni di carattere economico e geopolitico. E lo stesso dicasi delle spiegazioni ufficiali che i vari governi occidentali forniscono per giustificare gli interventi militari in questa o quella parte del mondo islamico. Si pensi per esempio alle famose armi di distruzione di massa mai possedute da Saddam Hussein e che hanno contribuito a scatenare la seconda Guerra del Golfo… Quella in atto rischia di diventare una guerra di religione perché a molti fa comodo far credere che sia così.

Tra gli obiettivi degli attentati di Parigi c’è sicuramente quello di fomentare l’odio contro i musulmani al fine di provocare una reazione di questi nei confronti degli europei e dar vita al cosiddetto scontro di civiltà. E’ d’accordo? Ci stanno riuscendo?

Sì, è possibile, dipende però da quale punto di vista si osservano le cose. La lettura fuorviante dello scontro di civiltà trova spesso terreno fertile dove attecchire negli organi d’informazione. I nostri media non dovrebbero mostrare soltanto lo sgomento e la disperazione degli occidentali di fronte ai fatti di Parigi o ad altri fatti analoghi. Dovrebbero informarci anche sulle reazioni dei cittadini musulmani e sullo shock culturale ed identitario al quale sono sottoposti ogni volta che accadono avvenimenti del genere. Forse, solo allora capiremmo che siamo tutti sulla stessa barca.

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