Mario Cervi è morto martedì a 94 anni: l’ex direttore de il Giornale era nato a Crema, sarà sepolto in provincia di Bergamo, nella cappella di famiglia a Fontanella.
“Montanelli era unico e non si può certo dire che Mario Cervi fosse il suo alter ego, anche perché Montanelli di ego ne aveva uno e tutto suo. Però se altri grandi, come per esempio Enzo Bettiza, sono entrati prima o poi negli anni in rotta di collisione col grande Indro, Cervi invece è stato un vero amico, forse perché con lui ha condiviso anche esperienze simili, come lui è stato ufficiale dell’esercito e Cervi fu fatto prigioniero in Grecia, poi naturalmente con Indro ha condiviso l’esperienza de il Giornale e l’ha seguito anche alla Voce”.
Il ricordo è di Francesco Battistini, bergamasco, inviato del Corriere della Sera, uno che ha avuto la fortuna di essere “allievo” prima di don Spada a L’Eco e poi di Montanelli al Giornale.
E quindi ha conosciuto bene anche Mario Cervi.
“Lui è sempre stato il ghost writer di Montanelli”, racconta Battistini, “ma non era certo un servile, il rapporto era chiaro, leale. E Indro si fidava di lui. Non solo. Montanelli soffriva anche di crisi depressive e non era strano che certi fondi della prima pagina li scrivesse Cervi (come lo stesso Caputo). Perché erano vicini, di penna e di pensiero”.
“Ricordo” continua Battistini “che Cervi veniva al Giornale sempre con un cane, un barboncino. E in un quotidiano con tanti spiriti liberali-anarchici, lui incarnava appunto la figura del vecchio liberale. Poi venne alla Voce, dove anch’io passai dal Giornale, più per affetto per Montanelli che per altro. Infatti era contrario a quell’operazione”.
Cervi e Bergamo…
“Beh il legame tra Montanelli e don Spada era noto, ricordo che Cervi aveva un buon rapporto soprattutto con Daniele Vimercati, che era molto stimato e apprezzato anche da Biazzi Vergani (altro condirettore del Giornale, ndr)”.
Un signore, Cervi, un gentiluomo. Che spesso “faceva da controcanto a Montanelli nelle riunioni di redazione, con uno scambio intelligente di battute, i due erano davvero complementari. E spesso uscivano a pranzo assieme. Certo” continua Battistini “Cervi era più british che amante delle battute come il grande Indro, però se ricordate il Controcorrente del Giornale, quel breve ma tagliente corsivo in prima pagina, ecco spesso era proprio Cervi a scriverlo. Anche lui aveva battute fulminanti”.
Con Montanelli, Cervi ha scritto tredici libri a doppia firma sulla Storia d’Italia. In realtà, rivela Battistini, “Cervi li scriveva e Montanelli ci metteva la prefazione e li approvava, da quando era direttore non aveva più tempo…”.
Spiegava Montanelli infatti nella prefazione all’Italia littoria: “Completamente assorbito dal giornale che ho fondato e dirigo, temevo di non poter più riprendere questa Storia, rimasta all’"Italia in camicia nera" di due anni e mezzo fa. Se sono riuscito a farlo, è perché ho trovato in Mario Cervi un collaboratore ideale e particolarmente congeniale. Ecco il caso di un libro a quattro mani, di cui sfidiamo qualunque lettore a riconoscere cosa è d’un autore e cosa è dell’altro: tanto esso è nato da un continuo colloquio e compenetrazione fra i due”.
Su almeno un punto, però, erano diversi Montanelli e Cervi. Spiega Battistini: “Cervi aveva un buon rapporto con Berlusconi, era un moderato, non ha mai avuto i toni antiberlusconiani di Montanelli, nemmeno quando l’ha seguito alla Voce. E infatti poi è tornato al Giornale. E questa sua linea gli aveva alienato molte simpatie tra i montanelliani alla Voce”.
Alberto Porfidia
(Qui sotto la tomba della Famiglia Cervi a Fontanella)
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