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Il discomane

Keith Richards e David Gilmour Profumo di “vintage” non solo per nostalgici

Nello stesso mese escono due dischi di leader di altrettante super-band: Rolling Stones e Pink Floyd. Per "Crosseyed Heart" Keith Richards apre i cassetti della propria memoria. David Gilmour in "Rattle that Lock" strizza l'occhio ai fan di sempre.

Giudizio:

* era meglio risparmiare i soldi e andare al cinema

** se non ho proprio altro da ascoltare…

*** in fin dei conti, poteva essere peggio

**** da tempo non sentivo niente del genere

***** aiuto! Non mi esce più dalla testa

 

ARTISTA: Keith Richards

TITOLO: Crosseyed Heart

GIUDIZIO: ***1/2

Keith Richards ha un viso e un atteggiamento in generale che te lo rendono simpatico per cui sei disposto a perdonargli una vita di eccessi, di alti e bassi artistici, di comportamenti non sempre comprensibili e/condivisibili.

Ed è rimasto lo stesso ragazzaccio degli esordi: quello che amava il blues, i piccoli locali fumosi dove esibirsi, quello che meno degli altri suoi compagni si è fatto invischiare nelle paludi dello show business, delle mode musicali.

Probabilmente è l’esatto contrario di Mick Jagger, anche se senza quest’ultimo è probabile che la sua carriera avrebbe avuto ben altri sviluppi.

Anche per questo chi ama i Rolling Stones, ha per lui un particolare affetto.

Crosseyed Heart per molti versi è un disco che per intenzioni si avvicina all’ultima fatica di Bob Dylan, Shadows in the Night, con le canzoni del repertorio di Frank Sinatra. In entrambi vi sono la voglia e il piacere di suonare e cantare ciò a cui ci si sente maggiormente legati, senza tensioni, senza la necessità di avere un riscontro commerciale .

Mentre però Dylan, per rendere possibile questa sua volontà, si è rivolto al repertorio altrui, Keith Richards insegue il proprio obiettivo andando ad aprire i cassetti della propria memoria e rispolverando composizioni quasi totalmente sue (vi è una sola cover nel disco) che da chissà quanti anni ha in mente .

Proprio per queste ragioni, Crosseyed Heart è un disco “vintage” e non è neppure un disco dei Rolling Stones anche se alcune composizioni potrebbero farlo pensare. È invece una raccolta che ripercorre la vita artistica di Richards, i suoi amori per il blues e per artisti come Ry Cooder, Tom Waits, i Little Feat , la ABB e perché no… gli stessi “Rolling” per citare i primi che mi vengono in mente.

E mai titolo fu più azzeccato perché è certo che trattasi di un disco fatto con il cuore, ma sbilenco perché diseguale, obliquo, che vive di alti (la maggior parte ) e bassi (per la verità pochissimi).

Si parte con la canzone che dà il titolo all’album: un blues acustico tanto per farci capire che al di là di quella che sarà la varietà dei brani successivi da qui parte il tutto. Il brano è di maniera e neppure tra i migliori dell’album, difficile capire perché l’abbia scelto per sintetizzare il disco intero, ma ad ogni modo si fa ascoltare

Molto più convincente è Heartstopper, un rock essenziale, appena appena radiofonico, dove riconoscibilissimo è il suono della chitarra di Richards che, però va detto, canta anche molto meglio del solito (merito della sala d’incisione?). Il brano è anche provvisto di una bella melodia, che resta facilmente in testa.

Riuscita è anche Amnesia, una canzone ritmata, con stop e crescendo vari, che ricorda alcuni brani, almeno nella struttura, degli Stones degli anni ’80.

Stupenda è Robben Blind una ballata acustica profondamente legata agli anni 70/80, in cui fa bella mostra di sé l’intreccio melodico di piano e chitarra e della slide in particolare. Probabilmente sentendola Jagger si sarà morso le dita pensando a quello che sarebbe potuta diventare in un disco del gruppo.

Trouble è il singolo tratto dal lavoro ed è un rock tirato con un bel ritornello che ricorda tanto da vicino gli Stones. Forse un po’ scontato ma decisamente riuscito e trascinante.

Love Overdue segna un deciso cambio di ritmo e di atmosfere catapultando l’ascoltatore nella musica reggae. Bello in particolare il sottofondo frutto della presenza di una massiccia sezione fiati.

Ancora Stones ed ecco Nothing on Me, una ballata sospesa dove in alcuni momenti sembra che Keith scimmiotti un po’ Jagger ma forse è la mia abitudine ad ascoltare gli Stones. Ad ogni modo il brano è veramente ben riuscito.

Suspicious è una lenta ballata, molto d’atmosfera, priva però di quel guizzo capace di elevarne la qualità ad uno standard di eccellenza.

Molto meglio Blues in the Morning, un rock blues, essenziale, diretto che ricorda Clapton per stare ai giorni nostri ma che in realtà è il risultato dell’amore verso un genere che non sempre Keith, nelle sue vesti di chitarrista degli Stones, riesce a manifestare.

Tra gli ospiti del disco vi è Norah Jones che duetta con Keith in Illusion, una ballata più vicina al repertorio usuale della cantante di New York che non a quello del nostro. L’intro è affidato a piano e alla voce di Keith che per un attimo di sovrappone a quella di Norah. Poi il palcoscenico viene lasciato a Norah e la contrapposizione delle voci, così distanti e diverse, crea un gran bell’effetto. Dopodiché la conclusione del brano vede nuovamente Keith e Norah cantare insieme. Illusion è una sorpresa perché così distante dallo stile di Richards ed è una bella sorpresa perché particolarmente riuscita.

Just a Gift, al di là del titolo che potrebbe già ricordarlo, è vicina ad alcuni brani di Coney Island Baby di Lou Reed, trattandosi quasi di una talk song, molto vellutata, giocata su alcune note della chitarra a loro volta adagiate su di un tappeto sonoro estremamente avvolgente.

Vi è spazio anche per una cover, classica, Goodbye Irene di Lead Belly già riproposta da innumerevoli artisti tra cui Dylan. La versione che profuma di passato (nel senso di tempo) è li a dimostrare che Richards ha quale scopo, con questo disco, di cantare e suonare quello che vuole fregandosene delle regole del business e poi di confermare ancora una volta che tutte le influenze, provengono dal blues. Bel brano, reso con il dovuto pathos, ma anche, francamente, inutile.

Substantial Damage è un brano dalle movenze funky, con voce in lontananza e chiare influenze black. Bel brano anche se del tutto avulso dal resto.

Chiude Lover’s Plea e forse qui il richiamo è a Dylan anche per il suo modo di cantare. La ballata è dolce, con bel sottofondo della sezione fiati

La sorpresa, almeno per me, è che questo è un signor disco, fatto di canzoni nel genere, abbastanza eterogenee, ma senza scadimento di qualità, realizzato da un signore di settant’anni che non deve più chiedere nulla a nessuno.

Se non si vuole ascoltare tutto il disco:

Robben Blind

Se non ti basta ascolta anche:

The Rolling Stones – Some Girls

Ry Cooder – Bop Till Your Drop

Lyle Lovett – It’s not Big It’s Large

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ARTISTA: David Gilmour

TITOLO: Rattle that Lock

GIUDIZIO: **1/2

Strano che nel medesimo mese escano i lavori dei leader delle due band forse più note del pianeta: Rolling Stones e Pink Floyd. E strano che abbiano, nonostante gli anni, le mode che passano, ancora così tanta eco: bastava sfogliare nei giorni scorsi le pagine dei giornali specializzati o navigare nel web per capire come le aspettative riguardo ai due lavori fossero così elevate.

Se poi aggiungiamo a ciò una certa tendenza di questi ultimi mesi che vede numerosi giovani artisti proporre lavori ispirati alla musica black degli anni che furono (Anderson East, Gary Clarck jr, Nathaniel Rateliff) c’è da chiedersi i motivi e se questi siano legati da alla nostalgia o all’incapacità del mercato di offrire qualcosa di veramente nuovo.

Per quanto concerne il mio gusto personale continuo ad ascoltare la musica di un tempo e le eccezioni, ossia la passione per ciò che invece è più legata alle proposte dei giorni nostri non è così forte, salvo rari casi.

David Gilmour è stato (più che è) uno dei leader dei Pink Floyd, gruppo che non è mai stato al vertice dei miei gusti musicali. Ho amato The Dark Side of the Moon, meno gli altri dischi. L’ultimo, The Endless River, recensito su queste pagine, l’ho trovato francamente brutto.

So che i Pink Floyd contano ancora innumerevoli fans in Italia e nel mondo, ma per quanto mi riguarda non posso certo annoverarmi tra loro, almeno non più di tanto.

A questo disco mi sono avvicinato con più entusiasmo o almeno curiosità del solito per due motivi: il primo perché un giorno ascoltando la radio, senza sapere di chi si trattasse e di che canzone fosse, sono rimasto profondamente colpito dal singolo che mi pareva particolarmente riuscito, il secondo perché del disco ho trovato una recensione particolarmente lusinghiera sul “Busca”, giornale di solito non troppo benevolo nei confronto della musica dei Pink Floyd.

Quindi, scaricato da ITunes, mi sono dedicato all’ascolto.

Il lavoro è stato registrato con l’ausilio di musicisti straordinari e in alcuni casi inaspettati: tra questi Graham Nash e David Crosby ai cori, Andy Newmark straordinario batterista già con Laura Nyro tra gli altri, Phil Manzanera (Roxi Music), Mica Paris cantante soul-disco dei miei tempi.

Il disco parte non molto bene: 5 A.M , è il solito brano di atmosfera con la chitarra del nostro in primo piano impegnata a rinverdire i suoni tipici dei Pink Floyd. Un brano senza né capo né coda anzi, francamente irritante.

Molto ma molto meglio il secondo brano che dà il titolo all’intera raccolta: Rattle That Lock che è un’incitazione a rompere le catene, è accattivante, ha un bel ritmo ed è essenziale. Anche il (solito) “solo” posto nel mezzo è più funzionale del solito all’insieme. Determinante per la riuscita è l’apporto del Liberty Choir, un coro londinese che tiene lezioni di canto nelle carceri. Forse è un brano un po’ troppo radiofonico che sarebbe stato a perfezione su un album dei Drugs of War ma, al di là di possibili pregiudizi, è bello.

Face of Stone è una canzone autobiografica che descrive una giornata passata con la madre negli anni ’70, dopo che a questa era stata diagnosticata una forma di demenza. Musicalmente è introdotto dal suono di una tastiera quindi, in primo piano, la voce di Gilmour. Poi prende forma, divenendo un tipico brano “a la Pink Floyd”. Certamente entusiasmerà i fan della band ma, personalmente, trovo l’atmosfera in generale un po’ noiosa, anche se ascolto dopo ascolto, ammetto che il brano cresce quasi sino a piacere. Ci vuole solo un po’ di pazienza.

Ancora legata a ricordi passati è A Boat Lies Waiting, dedicata a Richard Wright, tastierista dei Pink Floyd con il quale Gilmour ha condiviso la produzione di On An Island. Il brano ha avuto una genesi molto remota nel tempo, essendo le prime registrazioni risalenti a più di 18 anni fa. L’atmosfera è ancora un po’ dolente ma l’intro di piano e quanto di più bello mi sia capitato di ascoltare negli ultimi mesi e il colore delle voci di Nash e di Crosby che doppiano quella di Gilmour aggiunge grande fascino all’insieme. Una delle cose più belle dell’intero lavoro.

Dancing Right in Front of Me ha un intro vagamente da quartetto di Liverpool per poi divenire una sorta di valzer, con accenni prog anni ’70. Il brano ha ancora un’impronta autobiografica ed è l’esortazione ai propri figli a prendere vie autonome. Bello il solo di piano nel mezzo molto più scontato quello di chitarra.

Il tema della guerra è quello trattato in In any Tongue, probabilmente il brano più legato al passato dell’intera raccolta tanto da poter, teoricamente, appartenere ad ognuno dei lavori dei Pink Floyd. L’inizio è in crescendo, la voce solenne, qualche nota di piano, per la verità molto ben calibrata, ad opera del figlio Gabriel e il solito solo di chitarra a suggello del tutto. Benché scontato e risaputo però il brano alla fine “prende” risultando tutto sommato uno dei migliori dell’intera raccolta.

Il secondo strumentale del disco si intitola Beauty e secondo le note del disco dovrebbe rappresentare una riflessione sulla gioia di vivere. Il brano si apre con un intro di chitarra, qualche effetto qua e la; poi la canzone acquisisce ritmo, l’atmosfera in generale è coinvolgente e tutto sommato il risultato finale non è poi così male. Ancora un brano però per fan.

The Girl in the Yellow Dress è la canzone che non ti aspetti. Ricca di sfumature jazz è la classica ballata da club dove fumo e whiskey sono di casa. L’inizio è affidato al suono di un contrabbasso, al piano di Jools Holland, e alle spazzole della batteria. Vi è poi spazio per la cornetta di Robert Wyatt (ben tornato!) e al sax di Colin Stetson. L’atmosfera in generale è quella di molti altri brani dello stesso genere ma l’effetto è spiazzante e però molto piacevole.

Today è ancora un brano sui generis in quanto basato su un ritmo funky che mi ha ricordato i Talking Heads e alcune cose di Peter Gabriel. Di fatto è il risultato di tre distinte composizioni del passato che Gilmour aveva scartato ma alla fine riesumate su idea di Phil Manzanera. Il risultato è convincente anche per la presenza ai cori di Mica Paris e Louise Marshall.

Chiude il tutto And Then, uno strumentale che riprende il discorso laddove questo era terminato con “Shine Your Crazy Diamond”. Partecipano alla registrazione Andy Newmark e Danny Cummins alle percussioni. Ancora una volta un brano per Pinkfloydiani incalliti.

Rattle That Lock è forse un album riuscito solo a metà; pur fortemente ancorato al passato, evidenzia in alcuni brani la stoffa di Gilmour che, evidentemente non si è dimenticato del tutto, di quello che ha significato per la musica degli ultimi 40 anni ed è un album che cresce ascolto dopo ascolto, perché non immediato. Alle fine piacerà ai fan irriducibili dei Pink Floyd, al resto del mondo non so.

Se non si vuole ascoltare tutto il disco:

Rattle That Lock

Se non ti basta ascolta anche:

Pink Floyd – The Endless River

The Drugs on War – Lost in the Dream

Mark Knopfler – Tracker

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