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Il commercialista

Rientro dei capitali Berta: la legge non è condono ma si poteva far meglio

Più di mille le istanze probabilmente a Bergamo. Il commercialista Giorgio Berta affronta cifre, problematiche, tempistiche di una procedura tutt'altro che semplice e disegna l'identikit di chi ha portato i capitali all'estero.

Si chiama voluntary disclosure ed è la procedura varata a inizio anno dal Parlamento per far rientrare i beni sottratti al fisco italiano attraverso trasferimenti in Paesi compiacenti e che garantivano il segreto. Non è l’ennesimo condono, hanno tenuto a sottolineare Governo e parlamentari, è piuttosto il modo per far emergere capitali nascosti in paradisi fiscali, spesso sottratti ai Paesi che hanno generato queste ricchezze ed è questo il momento giusto visto che alcuni Stati, Svizzera in primis, hanno abolito il segreto bancario.

Ma la messa in pratica della novità sta registrando alcuni problemi, al punto che una proroga ai termini di scadenza (30 settembre) è stata fortemente richiesta dagli studi professionali alle prese con la difficile modalità per mettersi in regola.

Cifre, problematiche, tempistiche in quel di Bergamo le spiega il commercialista Giorgio Berta, dello studio associato Berta Colombini Nembrini.

Cominciamo dai numeri: il vostro studio è un ottimo osservatorio vista la sua importanza non solo a Bergamo, ci dice quante richieste vi sono arrivate?

Una settantina.

E quante saranno a suo dire le domande di rientro, a Bergamo?

Penso tra le 1.000 e le 1.200 istanze

Sono tante? 

Secondo me sono praticamente tutti o quasi, anche perché le novità in materia di scambi di informazione tra i Paesi e quelle sull’abolizione del segreto bancario portano alla trasparenza, di fatto obbligando chi ha capitali all’estero a chiarire le proprie posizioni finanziarie.  

Chi sono i bergamaschi che hanno i capitali all’estero?

Sono sostanzialmente persone che hanno lavorato in Paesi stranieri (in Svizzera, ma non solo) e, al momento del ritorno in Italia, hanno preferito per sicurezza lasciare lì quanto guadagnato. Oppure all’estero ci sono denari frutto di eredità. Ma poi, anche se in misura minore, ci sono veri e propri fenomeni di evasione.

E parliamo della procedura per il rientro: come si fa?

Il contribuente si rivolge a noi denunciando le proprie attività finanziarie e non detenute all’estero. Sulla base delle indicazioni e della documentazione ricevuta il commercialista determina imposte e sanzioni. Poi l’istanza viene trasmessa all’amministrazione finanziaria (cioè all’Agenzia delle entrate). Entro il mese successivo dovrà essere inviata, sempre all’Agenzia delle entrate, una relazione esplicativa dell’istanza, completa di tutta la documentazione a supporto.

Cosa succede a questo punto?

Che le Entrate definiscono l’imposta a carico del contribuente e le sanzioni che deve versare per aver portato e detenuto capitali all’estero di fatto eludendo le disposizioni relative al monitoraggio fiscale. Imposte e sanzioni possono essere quelle indicate dal commercialista oppure accertate in modo diverso dall’Agenzia. A quel punto viene emesso un avviso di accertamento per cui il dovuto lo si può versare con una o tre rate mensili.

E’ vero che le richieste sono aumentate nell’ultimissimo periodo, proprio sotto la scadenza dei termini?

Più che le richieste ai commercialisti è aumentato il numero di presentazione delle istanze. Perché le ultime due circolari operative sono uscite ad agosto, una all’inizio del mese e una alla fine. Fino ad allora non c’erano quindi sufficienti chiarimenti per procedere e soprattutto non c’erano sufficienti tutele. Inoltre il tema del raddoppio dei termini relativo alla presenza di reati penali ha avuto definizione con il decreto pubblicato in Gazzetta ufficiale solo il 18 agosto.

Lei parla di tutele, a cosa si riferisce?

Il contribuente si chiede cosa succederà dopo. Perché quella che viene fatta non è più una denuncia anonima: la preoccupazione è che ci siano ulteriori conseguenze negative, ed è ben presente soprattutto a chi esercita una attività imprenditoriale.

Voi avete "clienti" dell’ultimo minuto?

Pochi. Ad alcuni, i più ritardatari, abbiamo purtroppo dovuto dire che possono solo sperare in un’ulteriore proroga.

C’è stata una proroga che fa slittare i termini al 30 ottobre, però…

La proroga di 30 giorni è solo per inoltro della relazione accompagnatoria e del set con tutti i documenti. Non dell’istanza. Quella va trasmessa entro il 30 settembre. Si parla di proroga però anche per la presentazione dell’istanza che probabilmente sarà comunicata dopo il 30 settembre e questo comporterà forse un aggravio di costo.

Come giudica la normativa? E i chiarimenti forniti dalle Entrate sono sufficienti?

La normativa non è affatto chiara e dà adito a molte difficoltà interpretative, con poca certezza e questo nonostante le circolari. Probabilmente i casi sono talmente variegati e numerosi da rendere impossibile una norma che tranquillizzi e accontenti tutti. Certo, il condono, per come è strutturato sarebbe stato più funzionale al rientro dei capitali. Con la voluntary se un contribuente ha prelevato molto negli ultimi 5 anni può essere costretto a pagare sanzioni più alte dei soldi che ha all’estero.

A questo punto provi a spiegarci la differenza tra condono e voluntary.

Il condono è una sorta di perdono, un colpo di spugna che ha avuto nel passato costi molto contenuti. La voluntary è una sistemazione attraverso il pagamento di tutte le imposte dovute. Con uno sconto solo sulle sanzioni. Il costo è molto alto e questo può essere un deterrente.

La scelta è evidentemente politica.

Anche etica. Da un punto di vista politico il condono non è più un’operazione presentabile e a mio parere non è neanche giusto.

Secondo un sondaggio gli studi commercialisti alle prese con la voluntary sono sotto stress: anche il vostro?

Sì. Nonostante siamo partiti per tempo e ci siamo organizzati, comunque patiamo qualche difficoltà perché i chiarimenti normativi sono arrivati in ritardo. Non è sempre così facile ottenere i documenti dalle banche estere (che vanno poi anche controllati), comporta peraltro un costo molto elevato. I conteggi dei redditi prodotti all’estero o trasferiti poi è molto complicato. Anche la domanda di istanza più semplice comporta ore e ore di lavoro.

II costo per il completamento della procedura è un ostacolo?

Il costo professionale non credo. Il costo per il contribuente in termini di imposte e sanzioni sicuramente sì. Soprattutto se uno svolge in Italia un’attività imprenditoriale o professionale, per la quale è pure obbligato alla voluntary nazionale, ossia a denunciare i redditi prodotti in Italia a presupposto della detenzione estera.

Molti professionisti ritengono che il quadro normativo non sia ancora abbastanza definito, ad esempio sul trattamento delle imposte già pagate all’estero. E’ vero?

E’ vero. Più che sulle imposte pagate all’estero, che rappresentano un problema per pochi o non così evidente, il tema a cui non è stata data soluzione è quello dei prelievi. Se non circostanzi tutti i prelievi e non dai una spiegazione ritenuta adeguata, possono annullare la voluntary del contribuente.

Cioè?

Cioè, se ho speso in Italia soldi che ho guadagnato all’estero devo indicare a chi ho dato questi soldi. Siccome spesso questi pagamenti sono avvenuti in nero vuol dire a catena coinvolgere altri soggetti. Una sorta di delazione allargata.

Come giudica nell’insieme la voluntary discolosure?

Credo che si sarebbe potuta fare molto meglio, anche introducendo un’aliquota unica, magari alta perché avrebbe reso il tutto più semplice, più snello e più veloce. E forse anche dal punto di vista delle conseguenze penali qualche chiarimento in più avrebbe aiutato la procedura. Capisco comunque che sia una scelta precisa dal punto di vista politico: non poteva in nessun modo accostata a un condono.

Si parla di 14 mila richieste per un imponibile di 3,2 miliardi di euro: è verosimile a suo parere?

Mi sembra poco, molto poco rispetto alla mia percezione personale.

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