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Warren Haynes, il ritorno Non sbuffate, please: finora è il miglior disco 2015

"Ashes and Dust" rappresenta il ritorno (l'ennesimo) di Warren Haynes, stavolta con i Railroad Earth. Brother Giober ne è entusiasta: "Colpisce in particolare l’atmosfera di fondo del disco, le voci profonde, gli accenti soul, le sfumature delle percussioni che in alcune occasioni sostituiscono il suono della batteria". Quattro stelle e mezza.

Giudizio:

* era meglio risparmiare i soldi e andare al cinema

** se non ho proprio altro da ascoltare…

*** in fin dei conti, poteva essere peggio

**** da tempo non sentivo niente del genere

***** aiuto! Non mi esce più dalla testa

ARTISTA: Warren Haynes and Railroad Earth

TITOLO: Ashes and Dust

GIUDIZIO: ****1/2

Quando ho saputo dell’uscito di un nuovo disco di Warren Haynes francamente ho pensato: “Basta, non se ne può più” nonostante fossi del tutto convinto circa la bontà della sua produzione musicale sino ad allora realizzata, ma anche allarmato per un possibile scadimento della vena creativa, sin troppo sollecitata negli ultimi anni.

Beh, mi sbagliavo perché questo è uno dei più bei dischi a mia memoria degli ultimi anni e certamente quello che si candida, ad oggi, ad essere il migliore del 2015.

Ma facciamo un passo indietro.

Dire che Warren Haynes sia un musicista versatile è forse non rendergli il giusto onore: membro fisso della Allman Brothers Band in sostituzione di Duane Allman è poi entrato nei Grateful Dead al venir meno del suo leader Jerry Garcia (quando presero il nome di The Dead); ha anche fondato per scherzo un gruppo, i Gov’t’ Mule, divenuto negli anni una delle più eccitanti jam band del pianeta.

A dimostrazione dell’amore della musica, tutta, con quest’ultima, accanto ad una produzione nel solco del southern rock, ha poi sfornato una serie di live dedicata alla musica dub, piuttosto che ai Pink Floyd e ai Rolling Stones a dimostrazione dell’indiscussa capacità di passare con i medesimi risultati (splendidi) da un genere all’altro. E ancora due dischi in studio, il secondo in particolare, Man in Motion di grande bellezza e due live tra cui il grandissimo Live at the Moody Theatre di bellezza disarmante.

Infine una serie di ospitate, apparizioni e collaborazioni che hanno comportato, come scritto sopra, una certa sovraesposizione mediatica, senza tuttavia che la stessa abbia comportato alcun sacrificio della qualità.

Per questo “cenere e polvere” si fa affiancare da una grande band, i Railroad Earth, un gruppo che bazzica le atmosfere roots, e noto soprattutto per la dimensione live.

Il risultato? Sorprendente e non solo per la qualità ma anche perché questo in realtà pare più un disco dei R.E che non di Warren Haynes che però di suo ci mette le canzoni, a volte appositamente scritte, a volte riesumate dai cassetti della memoria.

Il disco è particolarmente lungo, oltre gli ottanta minuti, la musica prevalentemente acustica anche se numerosi sono gli interventi chitarristici di Haynes, che danno al tutto una connotazione rock; numerose le ballate presenti grazie alle quali è possibile apprezzare la voce calda del leader. Vi è inoltre una tendenza a far scorrere i brani, ad avventurarsi in lunghe jam, per nulla noiose, ma invece piene di gusto, dove gli strumenti vengono lasciati liberi di improvvisare.

Colpisce in particolare l’atmosfera di fondo del disco, le voci profonde, gli accenti soul, le sfumature delle percussioni che in alcune occasioni sostituiscono il suono della batteria.

Si comincia con Is It Me or You ed un violino che annichilisce per bellezza e che poi lascia spazio al suono di un banjo che dà il via ad una straordinaria ballata che da sola varrebbe la spesa dell’intero disco. Qualche intervento chitarristico qui e là, un’interpretazione vocale da brividi e perfetta per dare risalto alla melodia e il gioco è fatto ed i primi sei minuti del disco volano che è un piacere.

Potrebbe essere un caso ma non è così perché anche la successiva Coal Tattoo è ugualmente bella e impostata in modo da dare grande evidenza alle capacità tecniche dei R.E. che supportano il leader creando un contesto tipicamente country con banjo e violino in primo piano. Questa musica Warren Haynes non l’ha mai fatta in vita sua ma, ascoltandolo, parrebbe che non abbia mai suonato altro tanto è la familiarità verso il genere che dimostra. Sono solo al secondo brano ma già ampiamente felice e soddisfatto.

Blue Maiden’s Tale è una lenta ballata basata su chiaroscuri, sospesa, appena sussurrata dove è possibile apprezzare pienamente il ruolo dei R.E. ed in particolare quello del violinista Tim Carbone che pare volare sulle note tanta è la leggerezza del suono. Sette minuti e ventisei di assoluta poesia musicale.

Il ritmo torna a salire con la successiva Company Man, una country song venata di rock (che mi ha ricordato qualcosa della Marshall Tucker Band) grazie agli interventi alla “elettrica” di Haynes e a un cantato più grintoso che in altre parti del disco. Ancora determinante l’apporto di Tim Carbone al violino.

Grande atmosfera è quella che porta con sé New Year’s Eve, una ballata particolarmente riuscita, dotata di una melodia supportata dal dialogo tra chitarra, violino e banjo. Un brano di altri tempi, particolarmente nostalgico e dal forte impatto emotivo.

Il pericolo “occhi lucidi e sguardo perso nel vuoto” è scongiurato perché è la volta poi di Stranded In Self Pity, una sorta di Honky Tonk con tanto di piano old fashioned e inatteso solo di clarinetto proposto da Andy Goessling. E qui l’effetto sorpresa è garantito e soprattutto a stupire è la coda strumentale che mette in evidenza l’assoluta bravura dei R.E. e dove ci troverete “soli” di ogni strumento possibile immaginabile, o quasi.

Siamo solo a metà del disco e prego (si fa per dire) che tutto finisca qui perché il timore che il resto non sia all’altezza è tanto. Ma vengo subito smentito perché Glory Road è ancora una ballata fatta di sonorità acustiche e qualità sublime, interpretata in modo toccante da Haynes che riesce, con la sua bella voce e grazie anche al supporto del violino a dare la giusta evidenza ad una melodia dolcissima.

Vi è spazio anche per una cover, francamente inaspettata, di Gold Dust Woman, brano di Stevie Nicks e pubblicato all’interno del best seller Rumours. Senonché la versione originale da radio F.M. qui viene riproposta in modo più sporco e presenti reminiscenze blues. Duetta con Haynes, Grace Potter che a me sinceramente non fa impazzire ma che invece nell’occasione si dimostra buon interprete pur avendo una voce un po’ troppo simile a quella della stessa Nicks. Difficile spiegare la scelta con tutte le canzoni che fanno parte del “mondo” di Haynes, ma il risultato finale non è poi così male.

Beat Down the Dust è una ballata dalle sonorità roots con un bel solo di chitarra nel mezzo e con una presenza incisiva di percussioni minori (congas e bongos) che danno al brano uno spessore, una profondità che catturano l’ascoltatore. Il ritornello ripetuto con tono incalzante, entra da subito nella mente.

Ancora emozioni intense sono quelle suscitate da Wanderlust, una ballata che a me ha ricordato il miglior Jackson Browne, anche per l’approccio gentile del modo di cantare e la presenza di una melodia che fa della delicatezza il suo maggior pregio.

Spots of Time con i suoi otto e passa minuti è probabilmente il brano più spettacolare dell’intero disco, quello dove le origini di Haynes e la sua frequentazione delle jam band più importanti degli ultimi anni si fa notare di più. Ed in effetti il brano è tutto un susseguirsi di soli, stacchi e ripartenze, quanto mai coinvolgenti, dove ancora una volta è possibile apprezzare la preparazione tecnica dei R.E (quella di Haynes manco a dirsi).

È quindi la volta di Hallelujah Boulevard, una ballata dal sapore anni ’70, caratterizzata dal battito dei tamburi e dal suono del violino. Bella la melodia e il tutto che, a tratti, ricorda il miglior John Mellencamp.

Chiude il lavoro Word On the Wind, ancora un brano di buon valore, che richiama atmosfere care ad alcuni cantautori americani del passato (Mellencamp ancora, ma anche Tom Petty) con una coda che, probabilmente, è quanto di più vicino al rock sia dato di ascoltare nell’intero lavoro.

La versione del disco in mio possesso contiene anche tre demo di brani già presenti sul disco e una versione dal vivo di Halleluja Boulevard che francamente nulla aggiungono o tolgono.

Ashes and Dust è un album bellissimo, necessita di un po’ di tempo e di pazienza per essere ascoltato tutto, perché lungo e perché per nulla commerciale. Ma vi piacerà, ne sono certo. Per ora disco del 2015.

Se non si vuole ascoltare tutto il disco: Is It me or You

Se non ti basta ascolta anche:

John Mellencamp – Life, Death, Love and freedom

Jackson Browne – Standing in the Breach

David Crosby – Croz

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