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Oltre i pregiudizi 4

Senza immigrati: 20mila anziani bergamaschi perderebbero la badante

Continua l'analisi di Bergamonews: come sarebbe Bergamo senza immigrati? Nella nostra provincia, come per il resto dell'Italia, è difficile quantificare il numero reale delle Assistenti Familiari. Tra città e provincia in Bergamasca si contano 12.000 badanti regolarmente operanti, ma secondo i sindacati il numero reale supera le 20mila.

Che cosa sarebbe Bergamo senza immigrati? Alla domanda cerchiamo di rispondere osservando un settore delicatissimo: le assistenti familiari, meglio conosciute come badanti. Nella nostra provincia, come per il resto d’Italia, è difficile quantificare il numero reale delle assistenti familiari: il Ministero a livello nazionale ne stima circa 774mila in regola e altrettante non in regola.

Delle 774mila ben 700mila sono cittadine straniere. A Bergamo e provincia, regolarmente operanti, se ne contano 12mila.

"Abbiamo ragione di ritenere che il numero reale supera le 20mila" affermano all’Anolf (acronimo di Assonazione Nazionale Oltre le Frontiere) della Cisl.

Associazione nata a Roma nel 1989, ma già nel 1990 nasce la sede bergamasca. Segno che il tema dell’immigrazione che bussa alle nostre porte per chiedere lavoro ha un’origine lontana.

Ad accompaganrci per mano in questo viaggio tra le badanti di Bergamo c’è Mimma Pelleriti, dell’Anolf Cisl Bergamo. Sul fenomeno delle badanti, Pelleriti ha anche raccolto in un volume "Blow Up Badanti" le impressioni e le analisi di chi si trova a contatto con le assistenti familiari straniere. "Un giorno mentre seguivo queste donne, la mia amica Rosangela mi ha mandato questo scritto: "Un giorno la paura bussò alla porta,/il coraggio andò ad aprire…/Non c’era nessuno" – racconta Mimma – noi della Cisl le porte per le donne che si prendono cura dei nostri anziani le abbiamo aperte il 19 novembre 2010, il giorno di San Nicola per il calendario ucraino, un santo che per loro è l’equivalente di Santa Lucia".

Che cosa chiedono queste donne a un sindacato? Da dove vengono? Quali difficoltà incontrano?

"Le necessità e le difficoltà che le assistenti familiari straniere incontrano tutti i giorni riguardano non solo gli aspetti contrattuali del lavoro, ma anche previdenziali, vertenziali, normativi e amministrativi legati ai permessi di soggiorno, problemi abitativi, di integrazione e di ricerca di lavoro" risponde Alberto Citerio, già segretario generale della Fisascat-Cisl Bergamo. Donne che provengono da: Russia, Ucraina, Polonia, Albania. Ci sono anche le boliviane. Anche se le donne del Sudamerica, avendo famiglia, si sono concentrate sui lavori domestici, accudiscono i bambini piccoli. 

"Attività che si possono svolgere di giorno, la sera tornano dalla loro famiglia che si è ricongiunta a Bergamo" spiega Pelleriti.

Difficile trovare donne africane. Il colore della pelle è ancora un tabù difficile da affrontare dalle persone anziane e dai loro familiari. Il vero blocco duro delle bandanti è affidato a donne dell’Est Europa. Tra di loro ci sono anche medici e infermiere, ma coloro che reggono magiormente la fatica sono le donne che lavoravano al campagna. In grado di spostare anziani e malati senza incorrere in dolori alla schiena. Donne che lavorano sei giorni su sette: unica pausa la domenica dove si ritrovano ai giardinetti del teatro Donizetti, in Malpensata, alla Comunità Ruah dove con l’Anolf seguono i corsi di Italiano e al Patronato San Vincenzo.

"Queste però sono donne che vivono a Bergamo e nell’hinterland – puntualizza Mimma Pelleriti – per molte badanti che lavorano nelle valli o nei paesi della provincia, l’isolamento è causa di laceranti ferite anche psicologiche".

E’ qui che nasce il male definito come la "sindrome italiana". Il termine è stato coniato da due psichiatri ucraini, Andruy Kleselyov e Anatolij Faifrych nel 2005, per identificare la depressione che colpisce molte donne ucraine tornate nel loro Paese di origini, dopo anni trascorsi in Italia, lavorando spesso come badanti. Al loro ritorno queste donne, trovano i propri figli cresiuti, il rapporto con gli stessi deteriorato dalla distanza e spesso anche il rapporto con la rete familiare allargata modificato in senso negativo, al punto che le stesse donne faticano a reinserirsi nel proprio ambiente di vita. 

"Per questo motivo è importante e basilare che dall’Italia venga un supporto psicologico anche alle madre migranti – conclude Mimma Pelleriti – sia per aiutarle a mantenere un contatto nella distanza con i propri figli e con le proprie famiglie, sia per sostenerle psicologicamente nell’affrontare i lavori che spesso emotivamente complessi di cui esse si occupano nel nostro Paese". 

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