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Il discomane

Soul, gospel, blues La sintesi si chiama(va) Pop Staples: rieccolo

Scomparso una quindicina d'anni fa, grande amico di Martin Luther King, leader degli Staples Singers, Pops lasciò la sua eredità musicale alla figlia Mavis che ora, col leader degli Wilco, ha fatto uscire un disco emozionante: "Don’t Lose This". E Brother Giober, a proposito di artisti scomparsi, questa settimana bissa la recensione "Easy Skanking – Boston 1978", da un concerto di Biob Marley, uno dei suoi beniamini.

Giudizio:

* era meglio risparmiare i soldi e andare al cinema

** se non ho proprio altro da ascoltare…

*** in fin dei conti, poteva essere peggio

**** da tempo non sentivo niente del genere

***** aiuto! Non mi esce più dalla testa

 

ARTISTA: Pop Staples

TITOLO: Don’t Lose This

GIUDIZIO: ****

Capita che vi siano dei periodi, per la verità rari, in cui la musica non sia per me così importante come lo è di solito.

Succede perché non mi capita di ascoltare nulla che mi coinvolga più di tanto per un certo tempo. Allora mi rifugio nei classici, in quegli artisti che frequentano un certo easy listening, ma di classe, e che mi piacciono anche perché il loro ascolto non mi impegna più di tanto. I soliti: Al Jarreau, Style Council, Anita Baker, musica facile, che scivola via.

Poi, questi intervalli vengono di solito interrotti dall’incontro con autori magari sconosciuti, che mi sorprendono, ridestando in me l’interesse e la passione per la musica. Nella maggior parte dei casi, non so il perché, sono artisti non più giovanissimi, altre volte persino scomparsi.

Due anni fa mi capitò con James Cotton ora con Pop Staples e il suo Don’t Lose This. Guarda caso entrambi neri, guarda caso entrambi con solide radici blues.

Pop Staples è scomparso circa 15 anni fa ed è stato leader di un grande gruppo, gli Staples Singers dei quali è stato pubblicato in questi giorni il disco di un loro concerto, veramente emozionante, di alcuni decenni fa.

Pops, artisticamente, è coevo di gente come Muddy Waters, Howlin’ Wolf, discepolo di Robert Johnson, ed è stato grande amico di Martin Luther King e probabilmente oggi, se fosse ancora vivo, sarebbe il testimone di tutto quanto il blues e il gospel hanno saputo dire negli ultimi 50 anni e molto potrebbe raccontarci a proposito delle lotte del suo popolo, quello di colore.

Come musicista ha avuto un ruolo straordinario per come è stato capace di trovare una sintesi perfetta tra soul, gospel e blues, senza mai dimenticare per un attimo le origine religiose di queste musiche.

Non amo, anzi detesto i dischi postumi perché nove volte su dieci altro non sono che lo strumento per arricchire qualche famigliare furbacchione che se ne frega della dignità artistica del parente defunto.

Questo, però, rappresenta un caso a sé stante, perché il titolo (“Non perderlo”) richiama proprio la frase detta da Pops Staples alla figlia Mavis, grande interprete d’oggi, poco prima di morire (siamo nel 2000), riferendosi ad alcune incisioni all’epoca incompiute.

E, Mavis, le registrazioni le ha conservate gelosamente, tanto da portarle nel 2014 a Jeff Tweedy (leader dei Wilco) per completarle, visto il ruolo di quest’ultimo nei lavori solisti di Mavis, One True Vine e del vincitore di un Grammy, You Are Not Alone. Jeff Tweedy ha chiamato a collaborare il figlio Spencer alla batteria ed il risultato è appunto questo disco, nel quale il merito principale del produttore è stato giusto quello di “arredare” il meno possibile la chitarra e la voce di Pops, dando loro la maggiore evidenza possibile. In più una manciata di canzoni assolutamente straordinarie che pescano anche dal vasto catalogo della musica americana, tra cui una Gotta Serve Somebody di Bob Dylan, che risale al suo periodo di forte ispirazione religiosa.

È un lavoro per nulla frivolo e leggero, ma dal tasso altamente emotivo, buono per riconciliarsi con la musica e il ruolo che, almeno a volte, dovrebbe avere.

Somebody Was Watching, è il brano posto all’apertura del lavoro ed ha forti influenze blues e gospel, appena ammodernate dal tocco di basso di Jeff Tweedy. Il cori e la sacralità della voce di Pops danno all’insieme uno spessore ed una profondità che accentuano il tono ipnotico della canzone. L’inizio del lavoro è già da dieci e lode.

Temi dolcissimi sono invece quelli di Sweet Home, anche se ancora caratterizzati da una forte impronta religiosa. Qui è sufficiente un tocco di chitarra che si va ad aggiungere alle voce di Pops, doppiata da quella della figlia Mavis per un dialogo che colpisce al cuore. Siamo in pieno gospel, ma qui è la produzione, abilissima, a creare atmosfere per nulla anacronistiche ma invece assolutamente moderne.

Ritmo più sostenuto è quello di No News is Good News, dove è possibile notare il bel lavoro di cesello della batteria di Spencer Tweedy, neppure ventenne. Il brano ha un atmosfera più leggera dei precedenti ma è incalzante ed è certamente riuscito merito anche del suono della chitarra dello stesso Pops.

La voce principale in Love on My Side è questa volta quella di Mavis Staples, contrappuntata da quelle delle sorelle Cleotha (scomparsa l’anno scorso) e Yvonne, ed è una voce forte, potente, appena venata da un filo di asprezza che però la caratterizza distinguendola da quella di decine altre interpreti di oggi. Il brano in questione vive di atmosfere più orientate al soul e tutto sommato rispetto al resto delle tracce presenti evidenzia un cambio di stile. Certo che nei “crescendo” del brano il tasso emotivo è veramente di altissimo livello.

È bellissima Friendship, giocata su suoni appena accennati, sopra i quali emerge la voce di Pops come quella delle figlie, tutte riunite nell’occasione. Un brano di impronta acustica con un refrain immediatamente memorizzabile e un’interpretazione straordinaria.

Nobody’s Fault But Mine è un classico del blues già proposto mille volte con gli Staples Singers: questa volta solo chitarra e voce ed il brano, benché scontato nella scelta, non perde alcunché della sua carica emotiva.

The lady’s letter ha i sapori del rhythm ‘n’blues e tutto sommato scivola via mentre Better Home solo chitarra, basso e voci, ha i toni e la solennità di una preghiera. Sul finire due classici della canzone americana: Will the Circle Be unbroken, con le sue atmosfere quasi sospese, i cori rispettosi della tradizione e la melodia immortale e a chiudere il tutto Gotta Serve Somebody, dal vivo. Questa volta l’ensemble strumentale è più ampio, i suoni più elaborati e cristallini che altrove. Una gran bella versione che chiude un lavoro che, io credo, resterà.

Musica semplice, ma per nulla facile, fuori dal tempo, testimonianza di un artista di grandissima levatura e che forse, nella sua vita, non ha ricevuto tutti quanto avrebbe meritato. Da ascoltare assolutamente, con un po’ di impegno.

Se non si vuole ascoltare tutto il disco: Friendship

Se non ti basta ascolta anche:

Mavis Staples – You are not alone

Curtis Mayfield – Superfly

Bob Dylan – Street legal

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ARTISTA: Bob Marley & the Wailers

TITOLO: Easy Skanking – Boston 1978

GIUDIZIO: ***1/2

Bob Marley insieme al Boss, all’orso irlandese, all’alcolico Tom, alla sacerdotessa del punk e all’immenso Otis, compongono il mio gotha musicale, quindi immaginiamoci se non sono contento di scriverne, anche se a proposito di un disco di materiale già noto.

La pubblicazione avviene per iniziativa della fondazione Marley che così ha voluto festeggiare quello che avrebbe potuto essere il settantesimo compleanno del grande Bob che cade appunto il 6 febbraio di quest’anno.

Pare che di nastri di questo tipo la fondazione ne abbia ancora molti per cui è lecito aspettarsi nel futuro altri dischi sperando comunque che la loro qualità sia sempre all’altezza della grandezza dell’artista, circostanza che non è così frequente nelle pubblicazioni postume.  

Questa registrazione di un concerto tenuto presso il Music hall di Boston nel tour a sostegno della pubblicazione di Kaja, evidenzia alcune peculiarità soprattutto nella scelta dei brani alcuni dei quali non propriamente classici, benché il periodo sia quello di massimo splendore dell’artista e della pubblicazione di già della maggior parte dei suoi successi commerciali.

Accanto quindi a brani non così scontati come Slave Driver, The Heathen, ci sono invece alcuni dei maggiori classici che però francamente si sono già ascoltati forse troppe volte.

Il concerto parte con Slave Driver, tratto da uno dei primi album di Bob Marley, Catch A Fire, forse il primo di un certo successo commerciale. La versione parte lenta, il ritmo è al solito ipnotico con le voci delle I- Trees sullo sfondo che man mano crescono e con esse il ritmo del brano sino all’entrata della voce del leader. Da lì è un vero e proprio crescendo, la voce di Bob è perfetta e forse ancora salva dalla malattia. Una versione per me strepitosa. Dimenticavo, la registrazione è perfetta.

Dopo arriva Burnin’ and Lootin’, da Burnin’ l’ultimo lavoro attribuito a “The Wailers”, prima che diventassero Bob Marley and the Wailers, un po’ più lenta del solito e impreziosita da una ritmica lieve: il tempo pare sospeso e “il battere” non arrivare mai. Brano di grande atmosfera ancora una volta reso dal vivo in modo trascinante.

Them Belly Fully, tratto da Natty Dread, è un brano di protesta, con un testo duro:  

Stamani mi sono svegliato con il coprifuoco/ Oh Dio, ero anch’io prigioniero – sì/ Non riconoscevo le facce che incombevano su / Tutte abbigliate di uniformi di brutalità / Quanti fiumi dobbiamo guadare / Prima di poter parlare al capo / Tutto quel che avevamo sembra perduto / Dobbiamo proprio aver pagato il prezzo / (E’ per questo che noi) / Stanotte bruceremo e saccheggeremo  / (Dico che bruceremo e saccheggeremo) / Stanotte bruceremo e saccheggeremo / (Ancora una cosa) / Stanotte bruceremo tutta la corruzione (Oh sì, sì)

La versione proposta stupisce soprattutto rispetto ad altre per il lavoro di cesello del percussionista e per la solita forza trascinante del leader che fa letteralmente decollare il brano.

The Heathen, pur non essendo tra i brani più noti, nelle registrazioni live non manca mai, forse per la parti strumentali che concedono maggiori libertà ai musicisti oltre che per il ritmo particolarmente ipnotico e coinvolgente. A colpire è ancora una volta la perfezione della registrazione.

Rebel Music è in una versione assai fedele a tutte quelle già ascoltate in precedenza e introduce uno dei brani più noti di Marley, quella I Shot the Sherif, portata al successo da Eric Clapton (di cui vi segnalo un’esplosiva versione dal vivo in Slowhand the 35th anniversary), qui particolarmente ricca strumentalmente e roboante ma non meno trascinante rispetto ad altre registrazioni.

Easy Skanking, che dà il titolo all’album, è tratta da Kaya, un lavoro nella discografia di Marley dalle atmosfere più rilassate e intimiste rispetto al solito.

La versione dal vivo è più ricca strumentalmente rispetto all’originale e mi pare visibile il tentativo di rendere più “digeribili” all’orecchio americano i suoni giamaicani, anche grazie ad una presenza più marcata di tastiere e basso.

No Woman no cry è leggermente diversa dal solito, essendo le tastiere meno protagoniste. Ne deriva una maggiore leggerezza del brano che però funziona ugualmente.

Lively Up Yourself mantiene tutto il suo impatto abrasivo, con il “solo” di chitarra posto all’inizio del brano che ti arriva dritto al cervello (e al cuore). Qui la versione è un poco più veloce rispetto al solito e la voce di Bob appena un po’ più strozzata. La resa finale è, rispetto ad altre occasioni, superiore alla media .

Su Jamming c’è poco da dire se non che la versione è riuscita, ancora una volta più veloce del normale, più vicina ai suoni del soul che non a quelli del reggae.

War/no more Truble mantiene la solita forza corrosiva, così come Get Up Stand Up un altro brano dai forti contenuti politici, particolarmente adatto per le esibizioni live.

Chiude Exodus con il pubblico che in visibilio. Il brano è reso in una versione scintillante, piena di ritmo, trascinante come mai, forse un po’ debordanti le tastiere sul finire

Beh! Che dire? se tutte le registrazioni postume di Bob Marley saranno come questa che ben vengano anche se la ripetitività dei brani e la poca propensione dell’artista ad introdurre variazioni nelle performance live rendono forse l’acquisto di questo disco non necessario. M

usicalmente siamo in un periodo in cui Bob forte del successo oramai mondiale ha introdotto nella sua arte alcune atmosfere più soul e forse pop, ma a dire il vero il risultato finale resta di altissimo livello.

È inutile quando parlo di Bob Marley, lo so, perdo in obiettività.

Se non si vuole ascoltare tutto il disco: Slave Driver

Se non ti basta ascolta anche:

un disco qualsiasi di Bob Marley

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