di Pier Giuseppe Accornero
Nella primavera del 1848 usciva anonimo a Lugano il trattato «Delle cinque piaghe della santa Chiesa», opera concepita e scritta dall’abate Antonio Rosmini Serbati (1797-1855).
Dal 18 novembre 2007 il filosofo e teologo roveretano, trapiantato in Piemonte, è beato per decisione di Benedetto XVI. Nel discorso per gli auguri natalizi il 22 dicembre 2014 Papa Francesco ha elencato e spiegato non le «cinque piaghe della Chiesa» ma le «15 malattie della Curia», che «sono un pericolo per ogni cristiano, comunità, parrocchia e movimento ecclesiale».
Ci si aspettava un discorso sul Sinodo 2015 della famiglia e invece ha analizzato i «mali curiali» che ha incontrato in questi 21 mesi di papato.
Senza risparmiare nulla.
1) Sentirsi «immortale, immune, indispensabile» trascurando i controlli. Una Curia che non si autocritica e non cerca di migliorarsi è un corpo malato. «Nei cimiteri vediamo i nomi di tante persone che pensavano di essere immortali, immuni e indispensabili. È la malattia di chi si crede padrone e superiore. È la patologia del potere, il complesso degli eletti, il narcisismo che non vede Dio negli altri. Invece siamo servi inutili».
2) La malattia del «martalismo» (da Marta), l’eccessiva operosità di coloro che si immergono nel lavoro e trascurano «la parte migliore» che è sedersi ai piedi di Gesù. Trascurare il riposo porta stress e agitazione, il riposo è necessario.
3) La malattia dell’«impietrimento», possedere un cuore di pietra; perdere serenità, vivacità, audacia; nascondersi sotto le carte; diventare «macchine di pratiche e non uomini di Dio». Così il cuore indurisce e diventa incapace di amare Dio e il prossimo.
4) La malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo che trasforma in un contabile o un commercialista che vuole pilotare la libertà dello Spirito Santo. Così diventa «sempre più facile e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate. La Chiesa è fedele allo Spirito nella misura in cui non lo regola e addomestica».
5) La malattia del mal coordinamento. Se si perde la comunione si rischia di diventare «un’orchestra che produce chiasso perché le sue membra non collaborano e non vivono lo spirito di comunione e di squadra».
6) La malattia dell’alzheimer spirituale, fenomeno che provoca gravi handicap alla persona rendendola incapace di svolgere attività autonoma e vivendo in assoluta dipendenza dalle sue vedute, spesso immaginarie. «Lo vediamo in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore; in coloro che dipendono dal presente, da passioni, capricci e manie; in coloro che costruiscono intorno a sé dei muri e diventano schiavi degli idoli».
7) La malattia della rivalità e della vanagloria quando l’apparenza, le vesti e le insegne diventano l’obiettivo della vita. Si diventa uomini e donne falsi, si vive un falso misticismo e un falso quietismo.
8) La malattia della schizofrenia esistenziale di coloro che vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli non possono colmare. Una malattia che colpisce coloro che, abbandonando il servizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo il contatto con la realtà e con le persone.
9) La malattia delle chiacchiere, mormorazioni e pettegolezzi, malattia della quale Francesco «ho parlato tante volte ma mai abbastanza. È una malattia grave che inizia per fare due chiacchiere e trasforma la persona in “seminatrice di zizzania”, come satana, e in “omicida a sangue freddo” della fama di colleghi e confratelli. È la malattia delle persone vigliacche che parlano dietro le spalle. Fratelli, guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere».ù
10) La malattia di divinizzare i capi da parte dei cortigiani che sono vittime del carrierismo e dell’opportunismo, onorano le persone e non Dio. «Persone meschine, infelici e ispirate dal proprio fatale egoismo». Malattia che colpisce anche i superiori «quando corteggiano i collaboratori per ottenere sottomissione, lealtà, dipendenza psicologica. Il risultato finale è una vera complicità».
11) La malattia dell’indifferenza verso gli altri, «quando ognuno pensa solo a sé e perde la sincerità e il calore, quando il più esperto non mette la sua conoscenza al servizio dei colleghi, quando si viene a conoscenza di qualcosa e la si tiene per sé, quando si prova gioia nel vedere l’altro cadere».
12) La malattia della «faccia funerea, persone burbere e arcigne, che si dipingono il volto di malinconia e severità e trattano gli altri con rigidità, durezza, arroganza. La severità teatrale e il pessimismo sterile sono sintomi di paura e insicurezza. Bisogna sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra. Non perdiamo lo spirito gioioso, pieno di umorismo autoironico che ci rende amabili».
13) La malattia dell’accumulare beni materiali, non per necessità ma per sentirsi al sicuro. «Ma nulla di materiale potremo portare con noi perché “il sudario non ha tasche” (come gli ha insegnato nonna Rosa, n.d.r.) e tutti i nostri tesori non potranno mai riempire quel vuoto». Spiega: «I gesuiti spagnoli descrivevano la Compagnia di Gesù come la “cavalleria leggera della Chiesa”. Ricordo il trasloco di un giovane gesuita: mentre caricava i suoi tanti averi si sentì dire da un vecchio gesuita: “Questa sarebbe la cavalleria leggera della Chiesa?”».
14) La malattia dei circoli chiusi dove l’appartenenza diventa più forte di quella al corpo: «La malattia schiavizza i membri diventando “un cancro” che minaccia l’armonia e causa tanto male specie ai fratelli più piccoli. L’autodistruzione o “il fuoco amico” dei commilitoni è il pericolo più subdolo» .
15) La malattia del profitto mondano, degli esibizionismi, quando si trasforma il servizio in potere, e il potere in merce per ottenere profitti mondani o più poteri. «È la malattia delle persone che cercano di moltiplicare poteri e sono capaci di calunniare, diffamare e screditare gli altri. Questa malattia fa molto male perché porta a giustificare ogni mezzo pur di raggiungere lo scopo».
Francesco ricorda un sacerdote «che chiamava i giornalisti per raccontargli (e inventare) cose private proprie e riservate dei propri confratelli e parrocchiani. Poverino!». Conclusione: «Una volta ho letto che i sacerdoti sono come gli aerei, fanno notizia solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che volano. Molti criticano e pochi pregano per loro. Chiediamo a Maria di amare la Chiesa come l’ha amata Cristo».
Poi Papa Francesco ha incontrato – ed è la prima volta che accade – i dipendenti vaticani e i loro familiari, coloro che lavorano senza farsi vedere, gli invisibili: giardinieri, addetti alle pulizie, uscieri. Li ha invitati a «curare la vita famigliare dando ai figli non solo denaro, ma soprattutto tempo, attenzione e amore».
Poi curare il lavoro «compiendolo con entusiasmo, umiltà, competenza, passione. So che alcune volte, per conservare il lavoro e per difendersi, si sparla di qualcuno. Capisco queste situazioni, ma la strada non finisce bene. Alla fine, saremo tutti distrutti». Infine «curare che il Natale non sia mai una festa del consumismo, dell’apparenza, dei regali inutili, degli sprechi superflui, ma che sia la festa della gioia di accogliere il Signore nel presepe e nel cuore».
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