di Marco Cimmino
Nel corso di quella grande manovra che seguì la controffensiva franco-inglese sulla Marna e che prese il nome di “corsa al mare”, il fronte prese a stabilizzarsi, intorno ad alcuni centri strategici, che ne sarebbero stati i caposaldi per tutto il conflitto.
Uno di questi, rappresentato dallo “Chemin des Dames”, è già stato oggetto delle nostre pillole: in questa circostanza ne conosceremo altri due, Albert ed Arras, destinati ad una funerea e terribile notorietà. Fino a questo momento, in sostanza, la prima guerra mondiale, sia ad occidente che ad oriente, non aveva messo in luce caratteristiche veramente diverse da quelle di altre guerre moderne, ma, da questo momento in avanti assunse quell’aspetto di sanguinosa paralisi strategica che ne avrebbe determinato la fisionomia e la mitologia.
Episodi fondamentali di questa fase della guerra furono la prima battaglia di Albert e la prima battaglia di Arras, nel settore nord dello schieramento. Come abbiamo già visto, constatato il fallimento sia del piano Schlieffen-Moltke che del Plan XVII, l’esercito tedesco e quello francese manovrarono su linee pressochè parallele, cercando di aggirarsi reciprocamente e spingendosi in direzione del mare.
Questa enorme ricollocazione strategica venne iniziata dai francesi, che attaccarono il fianco avversario scoperto, al di là del fiume Avre, nei pressi di Noyon, con la 2a armata di De Castelnau. Le truppe francesi mossero contro il nemico, che si stava spostando da Reims, il 25 settembre 1914, e subito incontrarono una dura resistenza caratterizzata da numerosi contrattacchi, che si protrassero fino al 29: questa parte dell’azione prese il nome di prima battaglia di Albert. La crescente pressione germanica costrinse il comandante francese a domandare un’immediata azione offensiva alla neonata 10a armata, comandata dal generale Maud’huy, che si trovava più a nord.
Ne derivò un’ulteriore coda della battaglia della Marna, che venne denominata prima battaglia di Arras. Inizialmente, questo poderoso tentativo, iniziato il 1 ottobre e che si sviluppò tra Arras e Lens, sembrò avere successo, con le avanguardie francesi che arrivarono a Douai: poi, però, entrò in scena la 6a armata tedesca, agli ordini del Kronprinz Rupprecht, che era stata trasferita in tutta fretta dalla Lorena in quel settore e che ribaltò i rapporti di forze in campo. Maud’huy fu allora costretto ad ordinare una ritirata. Pressati da corpi della 2a, 3°a e 7a armata nemica, oltre che dall’armata del principe ereditario, i francesi dovettero abbandonare Lens, il 4 ottobre, e trincerarsi ad Arras, dove la linea del fronte si fermò e divenne stabile.
L’epicentro di questo gigantesco gioco strategico, da questo settore, si spostò dunque ulteriormente a nord, verso le Fiandre, dove i tedeschi sembravano avere la meglio sui loro avversari. Anche lì, però come vedremo, ben presto prevalse la logica del fortificarsi, per sopravvivere al terribile fuoco che entrambi gli schieramenti erano in grado di produrre. Alla fine, un unico sterminato campo trincerato si sarebbe disteso sull’Europa, dal canale della Manica alla Svizzera: in questo formicaio enorme, milioni di uomini vissero come trogloditi e morirono, per più di quattro lunghissimi anni.
Curiosità: il paesaggio della guerra
Il terreno su cui si svolsero le principali battaglie della prima guerra mondiale riveste, oggi, grande importanza per quella disciplina fondamentale che è l’archeologia militare. Parlando di archeologia, istintivamente verrebbe da pensare ad epoche remote, a studiosi chini con un pennellino sopra sepolture vecchie di millenni, alle piramidi o a Micene: invece, esiste un vasto e fiorente campo di studi archeologici dedicato a tempi assai più moderni, come quello, appunto della prima guerra mondiale.
Ciò che rimane, oggi, di quelle gigantesche battaglie, di quelle strutture semipermanenti in cui, per anni, milioni di uomini si fronteggiarono, lasciandovi toccanti testimonianze del proprio passaggio, sono un’infinità di rovine e reperti che spiegano l’enormità e l’orrore di quel conflitto molto meglio di qualunque pagina scritta. Non sempre e non ovunque, tuttavia, è possibile riconoscere i segni del passaggio della guerra: le caratteristiche geologiche e naturali di certi settori del fronte sono tali da avere cancellato le terribili ferite inferte al paesaggio da quattro anni di spaventose carneficine.
In genere, dove il terreno sia morbido, umido o molto coltivato, i segni della guerra sono quasi del tutto scomparsi: dove, viceversa, esso è gessoso o pietroso o dove furono costruite grandi strutture in cemento armato e in calcestruzzo, sopravvivono siti di grande interesse archeologico e turistico. Ad esempio, è pressochè inutile cercare segni della guerra nella Champagne o sulla Marna: invece, Verdun conserva quasi intatti i manufatti intorno ai quali si combattè la più sanguinosa battaglia della storia, dal febbraio all’ottobre del 1916. In certi luoghi, poi, le tracce della guerra ci sono, ma bisogna saperle riconoscere: nella zona di Messines, per citare solo un caso, certi crateri di gigantesche esplosioni di mina sono diventati graziosi laghetti, la cui regolarità è l’unico elemento che possa suggerirci la terribile origine dell’ameno specchio d’acqua.
Lo stesso si può dire per il fronte italiano: sul Piave quasi non resta traccia della guerra, mentre in settori caratterizzati da opere fisse e da scavi in roccia e in pietra, rimangono impressionanti testimonianze del conflitto. In realtà, proprio per la natura spesso rocciosa del fronte, l’Italia possiede il più grande museo a cielo aperto della Grande Guerra al mondo: ma, come per tutti gli altri musei meravigliosi di questo meraviglioso Paese, esso è poco conosciuto e pochissimo valorizzato, tanto archeologicamente quanto turisticamente.
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