Il prezzo del petrolio è in caduta libera, così come le quotazioni internazionali della benzina, ma gli automobilisti che vanno a fare il pieno non potranno gioire di questi ribassi. Al distributore, infatti, il prezzo non scende in proporzione e la colpa sembra essere attribuibile all’Erario, perchè il peso fiscale blocca i listini a una media di 1,7 euro al litro.
L’Opec, organizzazione che riunisce i paesi esportatori di petrolio e gestisce il 60% dell’offerta globale di oro nero, ha deciso che non ci sarà alcun taglio alla produzione di greggio. La conferma è arrivata dal ministro saudita Al-Naimi, che ha comunicato come la produzione petrolifera resterà invariata a 30 milioni di barili al giorno.
Il mancato taglio alla produzione segna la vittoria della linea saudita, poiché i prezzi più bassi potrebbero mettere fuori mercato la produzione di shale oil degli Stati Uniti, che è basata su tecniche di estrazione e trivellazione non convenzionali ed è quindi più costosa. Durante una conferenza ordinaria a Vienna, i rappresentati dei principali paesi esportatori non sono riusciti a trovare, in risposta al crollo delle quotazioni, un accordo per ridurre l’offerta che al momento pare eccessiva.
E di conseguenza il valore del petrolio è sceso ulteriormente fino a tornare ai livelli del 2009, al di sotto dei 70 dollari al barile, contro gli oltre 100 dollari al barile di tre anni fa e i 115 dollari al barile dello scorso giugno. La svalutazione del petrolio dovrebbe riflettersi anche sul costo di benzina e diesel, ma questo non si sta verificando in maniera significativa. La motivazione è rintracciabile nell’aumento delle tasse: oltre all’aumento dell’Iva, sul prezzo dei carburanti pesano soprattutto le accise, aumentate del 29% da 0,56 a 0,73 euro al litro.
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