«Una Chiesa povera per e con i poveri» vuole Papa Francesco, in grado di parlare a tutti gli uomini e donne del nostro tempo, di ogni razza, cultura, religione e sotto ogni latitudine. Come ha parlato a tutti Papa Paolo VI che domenica 19 ottobre viene beatificato da Papa Francesco.
«Chiesa povera per i poveri» è un cammino molto lungo che arriva da molto lontano. Cinquant’anni fa il 13 novembre 1964, davanti ai tremila padri conciliari in San Pietro, Papa Paolo VI si toglie la tiara – che gli avevano regalato un anno prima i milanesi per l’elezione il 21 giugno 1963 – e la depone sull’altare, in segno di spoliazione e povertà. Sarà venduta e il ricavato sarà dato ai poveri. Così Paolo VI di fatto abolisce l’incoronazione: infatti i Papi successivi non la faranno più. Poi invita i padri a contribuire a un fondo per i Paesi poveri.
Montini sottolinea anche visivamente e concretamente la scelta di una Chiesa povera per i poveri, come indica con forza nella prima enciclica «Ecclesiam suam» promulgata il 6 agosto 1964. Poi il 2-5 dicembre 1964 si reca a Bombay (l’attuale Mumbay) in India per il 38° Congresso eucaristico internazionale, dopo essere stato a Orvieto l’11 agosto per il VII centenario dell’istituzione della festa del Corpus Domini. In India il Papa è folgorato dall’impressionante miseria di un popolo immenso.
In un orfanotrofio di un sobborgo poverissimo, di fronte a una bambina focomelica, non riesce a trattenersi e cade in ginocchio. In quel viaggio conosce e incoraggia Madre Teresa di Calcutta a occuparsi dei più poveri. Per dimostrare il suo apprezzamento alla piccola e fragile suora di origini albanesi, che il mondo ancora non conosce, le regala la sua automobile e approva il suo apostolato. Lei accoglie i moribondi.
Dal 22 agosto 1952 nell’immensa Bombay funziona «Casa Kalighat per i morenti» poi chiamata «Nirmal Hriday, casa dei puri di cuore», nata per offrire cure e assistenza ai numerosissimi malati rifiutati dagli ospedali. L’abbandono dei malati era (ed è) un fenomeno diffusissimo perché legato all’assoluta miseria in cui versava (e versa) la popolazione.
L’enciclica «Populorum progressio» (26 marzo 1967) e la lettera apostolica «Octogesima adveniens» (14 maggio 1971) indicano le vie affinché la Chiesa, i singoli cristiani, la comunità internazionale e le persone di buona volontà si convertano a una vera attenzione ai popoli in preda alla miseria, alla fame, al sottosviluppo: il suo motto è «Il progresso è il nuovo nome della pace». Così l’umanità può sentirsi ed essere veramente una famiglia dove la fraternità sia concreta e planetaria.
Ma è necessario che «i popoli dell’opulenza ascoltino i popoli indigenti». Alla globalizzazione del denaro e del profitto, del potere e dell’arroganza, va anteposta la globalizzazione della solidarietà. Le ingiustizie sociali e gli squilibri economici generano guerre atroci e crisi insostenibili. Si tratta di capovolgere le ricette dell’umanità gaudente: non ricchi sempre più ricchi, non poveri sempre più poveri, ma giustizia e solidarietà. Lo insegnano Giovanni XXIII e Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Lo insegna Papa Francesco. Papa Montini sorprese tutti quando, nella parrocchia di una borgata romana abitata da gente povera, disse: «Molti pensano al Papa come a un uomo felice: ebbene sappiate che tutti i dolori del mondo, in qualche misura, si ripercuotono nel suo animo, se vuol essere vicario di Cristo».
È proprio vero. Paolo VI prese su di sé i dolori, i peccati e gli sbagli della Chiesa e del mondo. Un giorno chiese a Giuseppe Prezzolini un consiglio su come entrare in dialogo con i non credenti.
Lo scrittore gli rispose: «Non c’è che un mezzo: cercare uomini buoni, perché nulla attira come la bontà. Di gente intelligente il mondo è pieno, di persone buone no».
Domenica 19 ottobre Papa Francesco proclama beato Giovanni Battista Montini, intellettuale rigoroso, uomo buono, pastore del dialogo tra Cristo e gli uomini, la Chiesa e la modernità. Se il Novecento – secolo di due guerre mondiali, di spietati totalitarismi come il nazifascismo e il comunismo, di brutali genocidi – annovera quattro Papi Santi come Pio X, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II e ora il beato Paolo VI, e altri innumerevoli santi e martiri, significa che Dio continua a manifestare il suo amore all’umanità, che il male non l’ha vinta sul bene, che tanti uomini e donne di Dio vivono con coraggio il Vangelo. Fu un grande «timoniere» della Chiesa e un paziente «seminatore» nel mondo.
Giovanni Battista Montini è eletto Papa per continuare e concludere il Concilio (1962-1965) e per varare le riforme. Deve confrontarsi con i conservatori che lo attaccano con virulenza, con la Curia Romana che frena, con i progressisti che hanno sempre più fretta. Paolo VI guida il Concilio e la Chiesa con mano ferma, con autorità e perseveranza su temi spinosi come: ecumenismo, libertà religiosa, religioni non cristiane, ateismo, rapporto con il mondo. Pubblica sette encicliche, dall’«Ecclesiam suam» (1964) all’«Humanae vitae» (1968) e alla «Populorum progressio» (1967), eco del suo celebre appello rivolto nel 1965 all’assemblea delle Nazioni Unite: «Mai più la guerra».
Riforma radicalmente la Curia Romana (1967): chiama vescovi di diverse Nazioni nelle Congregazioni romane; fissa a 80 e 75 anni i limiti di età per cardinali, vescovi, parroci; inaugura i viaggi nei cinque continenti, da quello storico e travolgente in Terra Santa (1964) all’Estremo Oriente (1970) quando spera di entrare in Cina ma deve fermarsi sulla porta, a Hong-Kong.
Il 1968 segna uno degli anni più amari. Dopo lunga riflessione, il 25 luglio pubblica la «Humanae vitae» in cui condanna i contraccettivi, i metodi artificiali, la «pillola» per il controllo delle nascite. Va controcorrente perché la commissione di biblisti, teologi, moralisti, medici, psicologi e coppie di sposi chiedeva di poter usare la pillola. Imbevuti di cultura laicista e marxista i giornali e gli uomini di cultura lo attaccano pesantemente; lo accusano di essere reazionario e oscurantista; è oggetto di pesante scherno e – si lamenta – di «orribili e calunniose insinuazioni di certa stampa, irriguardosa dell’onestà e della verità», tra cui l’accusa più assurda e ignobile, quella dello scrittore scandalistico francese Roger Peyrefitte che taccia Papa Montini, come tutti i suoi successori, di omosessualità. Come le pesanti e irridenti vignette di Giorgio Forattini su «la Repubblica» di Eugenio Scalfari.
Nel 1978, l’anno più incredibile della storia d’Italia del secondo dopoguerra, i tentativi di colpo di Stato, la legge dell’aborto, le dimissioni forzate del presidente della Repubblica Giovanni Leone e soprattutto il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro mettono il Papa bresciano di fronte al Male assoluto. Alla Messa funebre per Moro in San Giovanni in Laterano il Papa attraversa Roma in auto scoperta mentre i politici si proteggono arrivando in elicottero. Il 1978 è anche l’anno dei tre Papi: il 6 agosto muore Paolo VI, il 26 agosto è eletto Albino Luciani-Giovanni Paolo I, la notte del 28-29 settembre muore Luciani, il 16 ottobre è eletto Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II.
Montini è uomo pensoso, guida illuminata, «ponte» tra la fede e l’ateismo, tra le confessioni e le religioni. Prende sulle spalle la crisi della Chiesa. Contrariamente al predecessore Giovanni XXIII e ai successori Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, Montini non gode di popolarità, è sempre più solo, è oggetto di feroci critiche, di clamorose e ingiuste contestazioni, di aperte derisioni. Ma non arretra di un millimetro. In un appunto scrive che la santità «non va commisurata sulla grandezza eroica, drammatica dei personaggi celebri, è invece un continuo duplice atto di umiltà e di fiducia per disporre l’anima a compiere, come ricevuti in dono, gli atti di fede, di speranza, di amore».
Vive una fede «piena, libera, certa, forte, gioiosa, operosa, umile» come dice in uno dei suoi testi più belli e nobili, il «Credo del popolo di Dio» del 1968.
È un uomo di un’umiltà straordinaria: «Non la nostra mano debole e inesperta è al timone della barca di Pietro, sì bene quella invisibile, ma forte e amorosa, del Signore Gesù. Forse il Signore mi ha chiamato a questo servizio non già perché io vi abbia qualche attitudine, o perché io governi e salvi la Chiesa dalle sue difficoltà, ma perché soffra qualche cosa per la Chiesa, e sia chiaro che Egli, non altri, la guida e la salva».
Umanissimo e cristianissimo il suo testamento: «Ora che la giornata tramonta, e tutto finisce e si scioglie di questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena, come ancora ringraziare Te, o Signore?… Congedandomi dalla scena di questo mondo e andando incontro al giudizio e alla misericordia di Dio, dovrei dire tante cose. Sullo stato della Chiesa: abbia ascolto a qualche nostra parola che per lei pronunciammo con gravità e amore. Sul Concilio: si veda di condurlo a buon termine, e si provveda a eseguirne fedelmente le prescrizioni. Sull’ecumenismo: si prosegua l’opera di avvicinamento ai fratelli separati, con molta comprensione, con molta pazienza, con grande amore, ma senza deflettere dalla vera dottrina cattolica. Sul mondo: non si creda di giovargli assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo… Chiudo gli occhi su questa terra dolorosa, drammatica e magnifica, chiamando ancora una volta su di essa la divina bontà».
Pier Giuseppe Accornero
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