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Letto per voi

Nuova chiesa dell’ospedale “Bella, ma” i punti deboli secondo un sacerdote fotogallery

Monsignor Alberto Carrara, sul sito santalessandro.org, osserva la nuova chiesa dell'ospedale Papa Giovanni XXIII celebrata da tutti come un edificio liturgico tra i migliori riusciti dell'arte moderna, e evidenzia alcuni punti deboli.

Si continua a parlare della nuova chiesa del nuovo ospedale. E, a quanto pare, tutti sono d’accordo nel dire che è “bella”, “molto bella”. Nel mio piccolo e per il poco valore che può avere un banale parere personale, anch’io sono d’accordo: è molto bella. Soprattutto l’architettura dà compiutamente l’idea di qualcosa di azzeccato, di equilibrato, di elegante. Bella.

LO SPAZIO CELEBRATIVO È TROPPO SCHIACCIATO

Era necessario precisare questa sensazione generale per poter rivendicare la libertà di un paio di osservazioni, a questo punto marginali che hanno il poco valore che hanno sia perché marginali sia perché fatte da chi è stato marginale, anzi estraneo ai progetti e alla loro realizzazione. Rivendico, insomma, il diritto di essere un privato cittadino che, di fronte a una interessante opera pubblica dice: “Bella, ma”. Ho già fatto presente in un articolo apparso qualche tempo fa sul nostro settimanale che lo spazio della celebrazione è troppo “schiacciato” in una chiesa così ariosa, troppo tradizionale e scontato in una chiesa di così accattivante modernità. Questa era la prima osservazione, già fatta.

LE IMMAGINI DELL’ALTARE: PIÙ DECORAZIONE CHE RAPPRESENTAZIONE DEL MISTERO

Vorrei adesso tentarne, sommessamente, una seconda a riguardo della decorazione, soprattutto quella dell’abside. Soprattutto quella, perché i profili sfumati di piante sul cemento delle pareti mi sembrano una buona trovata. In fondo, in una chiesa moderna, losanghe e fiorellini non dicono nulla. Dice invece qualcosa, e molto anzi, questo struggente sogno di una natura che arriva a sfregiare il cemento duro delle pareti e perfino lì, all’entrata dell’ospedale e perfino lì, nella chiesa.

Ho invece alcune perplessità sui peraltro preziosi, elaboratissimi vetri dei tre “quadri” dell’abside. Ammiratissimo per la preziosità e leggerezza delle immagini. Perplesso, molto perplesso in rapporto alla loro funzione liturgica.

Quei “quadri”, infatti, dovrebbero essere non una decorazione ma la rappresentazione di un mistero e non di un mistero qualsiasi, ma della morte – resurrezione del Cristo, il cuore del cristianesimo. Si è parlato molto di “albero della vita” a proposito di queste immagini. Ma bisogna osservare che non basta mettere l’immagine di un albero, seppure bello ed elaborato, in una chiesa perché diventi l’albero della vita. In quelle immagini non vedo una sufficiente “distanza” simbolica grazie alla quale si potrebbe dire che una pianta è diventa “albero della vita”. Qui ho l’impressione che è avvenuto il contrario: l’albero della vita è diventato una pianta.

In altre parole: l’aspetto decorativo ha prevalso sul contenuto del mistero.

La decorazione ha sopraffatto la rappresentazione. Il mistero è offerto in superficie, non è scavato in profondità. Certo: la figura del Cristo c’è. Ma è un Cristo d’altri tempi, non moderno, ingenuamente rassicurante. Non patisce come patisco io, sia perché quella immagine appartiene al passato, appunto, sia perché assorbita in questo tripudio decorativo che sta attorno alla croce. In un’intervista, l’artista dice che il cuore dell’immagine sta nel dolore delle donne consolate da Papa Giovanni, mentre il Cristo è già oltre il dolore, nella luce della pasqua.

Bello, ma ambiguo. Lo stesso artista dunque dice che il dolore del Cristo è negato più che affermato e che si è come dislocato sulle donne consolate da Papa Giovanni.

IL CRISTO NON SOFFRE. MA IO SOFFRO

Il risultato finale è che, certo, non si voleva infierire su gente che soffre esibendo un Cristo che soffre. Ma quale deve essere il messaggio da consegnare a gente che sta attraversando l’esperienza del dolore? Se gli dico che il Cristo non soffre lo allontano: è così diverso da me da potersi permettere di volare sopra la mia sofferenza: lui à già nella luce. A me pare invece che sia necessario dire che mentre io passo attraverso la sofferenza, anche lui ci passa.

Altrimenti si rischia una visione disincarnata, monofisita. Il Cristo è talmente Dio da essere assai poco uomo. E questo è un problema che non riguarda solo questa immagine e non riguarda solo la Chiesa di oggi, ma la Chiesa di tutti i tempi. Per questo spero di avere torto, perché altrimenti il Cristo decorativo di queste immagini serve perché lenisce il dolore, ma non lo risolve, serve per piangere di meno ma non dà la risposta a chi non può far altro che piangere.

E questo sarebbe, liturgicamente e teologicamente parlando, un bel disastro in una chiesa che si trova alla soglia dell’ospedale.

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