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The Basement Tapes, il seguito: omaggio a Dylan con Johnny Depp

Flavio Brighenti, su La Repubblica annuncia un evento eccezionale per gli amanti del menestello di Duluth: il doppio album del cantautore del Minnesota, il più ascoltato, analizzato e discusso dai fan e dai critici musicali, archetipo del passaggio dal folk al rock, esaltato per di più dalla storia leggendaria che lo ha generato, avrà un seguito discografico, Lost On the River: the New Basement Tapes.

Flavio Brighenti, su La Repubblica annuncia un evento eccezionale per gli amanti del menestello di Duluth.  

La notizia che i fan di Bob Dylan aspettavano da una vita è arrivata, ed ha la dolcezza di un sogno: The Basement Tapes raddoppia.

Proprio così: il doppio album del cantautore del Minnesota, il più ascoltato, analizzato e discusso dai fan e dai critici musicali, archetipo del passaggio dal folk al rock, esaltato per di più dalla storia leggendaria che lo ha generato, avrà un seguito discografico, Lost On the River: the New Basement Tapes.

Arriverà nei negozi, molto probabilmente, entro la fine dell’anno e non sarà un disco di Dylan ma un omaggio a Dylan, interpretato da alcuni tra i suoi colleghi più devoti che offrono il loro contributo al recupero dei brani "perduti" di quelle vecchie registrazioni del 1967, mai finora utilizzate dal maestro della canzone d’autore americana.

L’elenco dei partecipanti già preannuncia l’autorevolezza e l’appeal dell’operazione. In prima fila ci sono il produttore e chitarrista virtuoso T Bone Burnett, Elvis Costello, Jim James, voce e chitarra dei My Morning Jacket, Marcus Mumford, leader dei Mumford & Sons, Rhiannon Giddens dei Carolina Chocolate Drops, Taylor Goldsmith dei Dawes e, notizia fresca, anche Johnny Depp, che suona la chitarra in un brano intitolato Kansas City.

Ma attenzione: l’attore non partecipa al progetto per semplice malizia promozionale. Johnny Depp è infatti un rispettabile professionista della musica, capace di mettere in mostra le sue virtù con una band ben organizzata – si chiamava P e pubblicò anche un album: c’erano il bassista Flea dei Red Hot Chili Peppers, il chitarrista Steve Jones dei Sex Pistols e Gibson "Gibby" Haynes, voce e chitarra dei Butthole Surfers – e come ospite di Oasis, Marilyn Manson, Black Keys, Aerosmith, Alice Cooper, Eddie Vedder, Paul McCartney, Lemonheads, fra gli altri.

Il progetto è coordinato da T Bone Burnett, il produttore e musicista vincitore di un Oscar, che fu al fianco di Dylan negli anni Settanta avendo preso parte alla Rolling Thunder Revue, il fortunato giro di concerti dell’autunno 1975 ripresi e poi finiti in alcuni spezzoni nel film Renaldo and Clara, scritto e diretto dallo stesso Dylan nel 1978.

L’idea che muove il progetto – avallato da Robert Zimmerman in persona, oggi 73enne e mai stanco di comporre e suonare: attualmente è in tour fra la Nuova Zelanda e l’Australia – è quello di trarre ispirazione dallo scrigno di testi, almeno una trentina, scoperti di recente ma risalenti al fervido periodo creativo di quel Dylan "lontano dal mondo" del 1967, galvanizzato dal suo buen ritiro nella Big Pink di Woodstock.

Le session di registrazione dell’album sono attualmente in corso a Los Angeles, riprese pure dalle telecamere del regista Sam Jones per un documentario il cui titolo provvisorio è Lost songs: the Basement Tapes continued.

The Basement Tapes fu pubblicato dalla Columbia nel 1975. Le sedici canzoni scritte anni prima da Dylan nella cantina (basement in inglese) della Big Pink, la casa rosa che apparteneva a tre membri di The Band – la formazione di Rob Robertson poi immortalata da The Last Waltz di Martin Scorsese – furono pubblicate per disperazione: da anni infatti circolavano in diversi bootleg, i dischi pirata all’epoca ricercatissimi da appassionati e collezionisti.

I nastri che contenevano molte registrazioni di quelle session "segrete" erano stati infatti rubati da ladri molto ben informati.

In compagnia della moglie Sara Lownds e del primo figlio, Jesse Byron Dylan, che era nato da pochi mesi, Dylan si era rifugiato già a fine 1966 in una fattoria di campagna della Woodstock Valley, nei pressi del fiume Hudson. C’era arrivato dopo i traumi di un incidente motociclistico avvolto dal mistero – c’è chi giura che non si sia mai verificato – e giunto provvidenziale a interrompere quel periodo frenetico, concitato e stressante nella carriera del cantautore.

In quel paradiso della natura Dylan trascorse parecchie giornate a oziare, leggere, chiacchierare, strimpellare la chitarra. Poi seppe che non distante da lì, in un’altra fattoria, c’erano anche tre vecchi amici musicisti, quelli della Band che prima si chiamavano Hawks, gli stessi che avevano lavorato con lui su Blonde on Blonde e si disse: perché non fargli una sorpresa e raggiungerli?

Ed ecco che la storia si trasforma in leggenda. Nella casa rosa di Robertson e compagni mr Zimmerman si arrocca stabilmente (e felicemente) nella seconda metà del 1967: niente di meglio per dare corpo alle sue idee, lontano dalla pazza folla.

E in quel clima benedicente improvvisa note e temi di tante nuove canzoni. Scrive, schizza, annota, chiosa, lima, sottolinea, riempie centinaia di fogli smarginati di parole e rime.

E i tre della Band dietro, a dargli corda e complicità, con gli amplificatori accesi.

Da quelle session nacquero canzoni destinate ad altri – Julie Driscoll (This Wheel’s on Fire), The Byrds (You Ain’t Goin’ Nowhere, Nothing Was Delivered), Manfred Mann (Quinn the Eskimo (the Mighty Queen) – e un corpo impressionante di materiale che Dylan volle tenere per sé, oltre le vette epocali del cambiamento stilistico degli album "post folk" John Wesley Harding e Nashville Skykine.

Accadde però l’imprevisto: il furto dei nastri. Così, dopo la diffusione clandestina di alcune delle canzoni registrate all’epoca della fuga nella Casa Rosa, finalmente nel 1975 Dylan e la sua etichetta discografica si decisero a dare la luce le 16 canzoni del doppio The Basement Tapes, sulle quali intanto avevano rimesso le mani lui e la Band di Music from Big Pink.

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