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Pillole di Grande Guerra 16 Davide contro Golia: la battaglia di Liegi fotogallery

La battaglia di Liegi, tra il piccolo esercito belga e lo strapotere della seconda armata germanica, fu agli occhi del mondo l'epica lotta di Davide contro Golia: ci vollero 12 giorni ai tedeschi per conquistare la città fortificata. La curiosità: l'entrata in scena degli obici d'assedio da 42 centimetri.

di Marco Cimmino

Uno degli aspetti più solidi della propaganda interventista e, più in generale, dell’Intesa, era stato quello della lotta tra la civiltà latina e la barbarie germanica: ogni mito, però, ha la necessità di alimentarsi partendo dalla realtà. Proprio per questo, all’inizio del conflitto, cominciarono a delinearsi alcuni aspetti che sarebbero entrati a far parte di un vero e proprio repertorio mitologico della prima guerra mondiale.

Il primo momento in cui la realtà sembrò dare ragione ai poeti fu quello della cosiddetta ‘battaglia di Liegi’: di fatto, la prima manovra simile ad una vera battaglia campale che sia avvenuta sul fronte occidentale. Lo scontro durò dodici giorni, dal 5 al 16 agosto del 1914, mentre, in pratica, la Francia e l’Inghilterra si trovavano ancora nella fase preparatoria della guerra.

L’insospettabile resistenza del piccolo esercito belga, contro lo strapotere della seconda armata germanica, comandata da Von Bulow e con un organico di 320.000 uomini, fu, agli occhi del mondo, l’epica lotta di Davide contro Golia, della libertà contro la prepotenza.

Il piano di Bulow era semplice: assediare e conquistare la città fortificata di Liegi, che sbarrava la strada all’invasione del Belgio, tra l’“appendice di Limburgo” e le Ardenne, in modo da permettere all’esercito tedesco quella manovra a tenaglia prevista dal piano Schlieffen-Moltke. La città era difesa da un vecchio sistema di 12 forti (6 di qua e 6 di là della Mosa) costruiti negli anni ’80 del XIX secolo ed armati con circa 400 cannoni, di calibro variabile da 75 a 210 mm.

Il comandante in capo Belga, generale Leman, aveva schierato a difesa di Liegi la maggior parte dei suoi 70.000 uomini: in pratica, quasi tutto l’esercito del piccolo stato. Il primo attacco, sostenuto dalle truppe del generale Emmich, venne respinto nella notte del 5 agosto, con perdite notevoli. Il 7 agosto, la città e la cittadella si arresero, dopo essere state pesantemente bombardate da terra e, grazie ai dirigibili, dall’aria, ma i forti, che distavano dal centro urbano dai 3 ai 10 chilometri, erano decisi a resistere.

Fu a questo punto che i tedeschi decisero di giocare una carta a sorpresa, schierando i loro mostruosi obici d’assedio da 42 cm, parte di fabbricazione Krupp e parte provenienti dalle officine austriache Ŝkoda: si trattava di armi del tutto sconosciute all’Intesa, che non ne immaginava neppure l’esistenza.

Il 16 agosto, sotto il terrificante bombardamento dei proiettili da una tonnellata degli obici superpesanti germanici, la guarnigione dei forti, spesso sconvolta psicologicamente dagli effetti di quel fuoco spaventoso, si arrese: il generale Leman fu portato fuori da uno dei forti in stato di incoscienza. La battaglia per Liegi era conclusa. Il giorno successivo, tre armate tedesche penetrarono in Belgio, spingendo quel che restava dell’esercito belga fino ad Antwerp: il 20 agosto, il comandante della prima armata, Von Kluck, entrava a Bruxelles.

Finiva così la prima battaglia della Grande Guerra, ma iniziava, in un certo senso, un nuovo tipo di battaglia: quella della carta stampata, che avrebbe avuto un’importanza decisiva, nel corso di tutto il conflitto. Poeti e poetesse di mezzo mondo, in quei giorni, composero opere, spesso per nulla memorabili, sulla lotta del piccolo eroico Belgio contro il brutale invasore: le guerre, a volte, si vincono anche così, come vedremo.

LA CURIOSITA'

Nell’assedio dei forti di Liegi apparvero, per la prima volta nella storia militare, due armi destinate a colpire fortemente la fantasia degli osservatori e della gente comune, tanto da diventare, nei libri e sui giornali, quasi un simbolo di quella guerra, tanto moderna quanto terribile: i “420” e gli “Zeppelin”. In Italia vennero battezzati “420” gli obici superpesanti tedeschi ed austriaci da 42 cm: si tenga presente il fatto che i calibri d’artiglieria italiani erano espressi in millimetri, mentre quelli degli Imperi centrali in centimetri, di qui l’apparentemente capziosa differenza.

Il più famoso modello di obice da 42 cm fu quello fabbricato dalla Krupp di Essen, il 42cm Type M-Gerät 14, noto come Die dicke Bertha (la grande Berta), che dovette il proprio nome alle sue dimensioni eccezionali (pesava più di 43 tonnellate) e al fatto che una figlia del suo costruttore si chiamasse, appunto, Bertha. Gli artiglieri germanici chiamavano questo cannone anche Die Fleissige Bertha, Berta la zelante, intendendo il fatto che, quando “cominciava un lavoro”, lo terminava con scrupolo. Questo modello di obice, in servizio fino al 1916, non va confuso con il supercannone che bombardò Parigi nel 1918, noto come Parisgeschűtz, che era un cannone ferroviario da 21 cm, del tutto eccezionale: l’intero pezzo pesava 750 tonnellate, la canna era lunga quasi 28 metri ed era in grado di sparare proiettili di 120 chilogrammi ad oltre 120 chilometri di distanza.

L’abitudine di dare dei nomi ai cannoni più potenti era assolutamente comune, in tutti gli eserciti: nell’Ottocento, anzi, ogni cannone aveva un suo nome, che, spesso, veniva inciso sulla culatta, come ben testimoniano i cannoni campali dell’esercito sardo esposti nel museo di San Martino della Battaglia, vicino Sirmione.

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