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La testimonianza

Fabrizia contro il cancro: “Sono in libertà vigilata ma per ora ho vinto io”

"Hai spalancato la mia vita; l'hai girata, piegata, stropicciata; e uscendo l'hai lasciata mezza aperta su ogni possibile destino..." i suoi dieci mesi con e contro il tumore Fabrizia, che vive e lavora a Bergamo, li ha raccontati alla giornata dell'Istituto Europeo di Oncologia con un commovente brano scritto per l'occasione.

Fabrizia Lorusso ha 45 anni, vive e lavora a Bergamo. Il resto lo racconta lei.

Tu pensi che la vita si mantenga dritta su i binari dove l’hai messa per quarantacinque anni. Poi un giorno arriva il cancro al seno, il treno vacilla e ti porta a fare un sali scendi vertiginoso tra le tue certezze. Ho scoperto il nodulo a maggio 2013; intervento a giugno; radioterapia fino ad agosto; e poi una serie di pesanti complicanze per dieci mesi a cui ho voluto ostinatamente sopravvivere.

Il 7 maggio 2014, ospite della giornata “IEO per le donne”, organizzata dall’Istituto Europeo di Oncologia di Milano dove sono stata splendidamente curata dal prof. Alberto Luini e dal dr. Stefano Martella, ho letto un mio brano che racconta quanto vissuto. Sono in “libertà vigilata” per i prossimi cinque anni; ma per ora, con la testa e col cuore, ho vinto io.

STATO LIQUIDO di Fabrizia Lorusso

Non ti avevo messo in conto. Non ti aspettavo.

Hai spalancato la mia vita; l’hai girata, piegata, stropicciata; e uscendo l’hai lasciata mezza aperta su ogni possibile destino.

Alla cieca, in un marasma di pensieri, ho cominciato a raccogliere le briciole di quel coraggio miracolosamente sopravvissuto a tutto. Ad una ad una le ho salvate, rimpastate, ingoiate come antidolorifico, conservate per quando sarebbe arrivato il freddo, messe in fila a segnare la strada che alla fine mi avrebbe riportato in me.

Ho visto, sullo sfondo, l’idea della morte che si insinuava inedita e silenziosa nei miei meandri.

Più avanti, la mia vita appesa a un paradosso: il male nel mio corpo, il mio corpo l’arma per combatterlo; io contro me stessa, me stessa contro; io a vincere perché comunque, sempre io, perda.

Un misto di onnipotenza e tragedia che ho riversato in una promessa d’amore verso quel fisico più debole della mia mente, più fragile di quanto pensassi.

Il seno che preme, la macchia che appare, la bomba che deflagra, la ferita che lacera, gli aghi che succhiano, cinquantuno rintocchi che cuociono, la carne che muore e poi si scioglie.

Altri aghi, altro bisturi, nuovi tubi, pinze, garze, tutti mescolati a nove mesi di storie che ho continuato ad ascoltare negli sguardi pieni di lacrime come il mio, nell’attesa infinita di salvezza.

Fino in fondo, fino al fondo, fino ad avere la nausea di tutto, del mio dolore e di quello degli altri da cui ho preso le distanze col silenzio per difendere poche gocce di una resistenza oramai allo stato liquido.

Alla fine, al buio, il cancro mi ha spiaggiato.

Guardo le stelle e aspetto che dentro si faccia giorno per riagganciare ai suoi riti la mia normalità.

Ancora non so cosa sia avanzato di prima e di me.

So però di essere viva. E non è poco per un nuovo inizio.

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